Scioglimento della comunione ordinaria: ex uno plures … ma non sempre!
31 Agosto 2020
Massima
In tema di divisione di beni comuni, gli artt. 1119 e 1112 c.c. hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele: il primo contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell'unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva; il secondo costituisce un'eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall'art. 1111 c.c., tutela la destinazione d'uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l'idoneità all'uso a cui è stato destinato.
Il caso
Tizio, comproprietario assieme a Caia e Sempronio di un cortile sito all'interno di uno stabile condominiale, conviene in giudizio i predetti al fine di ottenere lo scioglimento della comunione sul cortile, mediante assegnazione del bene in proprio favore, in caso di ritenuta indivisibilità dello stesso. Nella resistenza dei convenuti, i quali si difendono assumendo l'indivisibilità del cortile, siccome privo di autonoma funzione, per essere utilizzato dai diversi condomini per vari tipi di attività, tali da renderlo incompatibile alla destinazione d'uso esclusivo di uno dei comproprietari, il Tribunale rigetta la domanda, ritenendo applicabile non già l'art. 720 c.c. quanto, piuttosto, l'art. 1119 c.c., che ammette la divisibilità delle parti comuni del condominio solo ove ciò non renda più incomodo a ciascun condomino l'uso della proprietà singola, servita dalla parte comune e vi sia l'assenso di tutti i condomini alla divisione. La decisione viene confermata dalla Corte d'Appello. Avverso quest'ultima sentenza propone ricorso Tizio, affidato a tre motivi, i primi due dei quali sono così riportati in motivazione: “il ricorrente contesta l'applicazione dell'art. 1119 c.c. al bene in oggetto, in quanto questa si baserebbe sull'erronea convinzione che il cortile fosse da considerare come un bene condominiale; il cortile non sarebbe incluso nella comunione condominiale in base al titolo, atto ad escludere la presunzione di condominialità, ai sensi del 1117 c.c., ma sarebbe solo gravato da un diritto di passaggio pedonale e veicolare in favore di altri condomini; non sarebbe quindi applicabile il 1119 c.c., in quanto norma eccezionale, applicabile ai soli beni condominiali; contesta, quindi, il ricorrente che la corte d'appello avrebbe operato un asservimento della proprietà del cortile alla mera accessorietà; inoltre, che occorre distinguere tra utilità oggettiva del cortile - dare luce e aria all'edificio - e l'uso soggettivo corrispondente all'attività dei vari proprietari dei piani; il primo resterebbe invariato anche in caso di divisione, mentre il secondo sarebbe un uso anonimo, inadatto a determinare una destinazione condominiale; […] la designazione del cortile come bene pertinenziale non può tradursi in un impedimento assoluto alla divisione, in quanto il nesso strumentale va sempre verificato in concreto, pena un'ingiustificata compressione del diritto del proprietario alla divisione; si contesta anche la statuizione della sentenza d'appello laddove considera varie attività dei condomini, come funzione primaria del cortile (posteggio di veicoli, scarico merci, passaggio); ad avviso del ricorrente, dette attività rappresentano, in realtà, mere funzionalità, rispetto alla funzione principale del cortile che è quella di fornire aria e luce all'edificio, e non possono costituire un impedimento alla divisione”. La questione
La questione in esame è la seguente: entro che limiti è possibile procedere allo scioglimento di un bene soggetto al regime della comunione ordinaria? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte muove da una considerazione preliminare, da cui discende l'individuazione della disciplina applicabile al caso concreto: effettivamente il cortile in questione non è soggetto al regime proprietario del condominio, risultando su di esso - in base ai titoli di provenienza - una comunione ordinaria tra le parti del giudizio. Trova, dunque, anzitutto applicazione, nella specie, un fondamentale principio, di basilare importanza nella dogmatica di settore, alla cui stregua la soggezione al regime condominiale dei beni contenuti nell'elencazione di cui all'art. 1117 c.c. (ovvero ad essi assimilabile) va esclusa in presenza di un titolo contrario (cui è assimilata la destinazione del bene o del servizio, per oggettive caratteristiche strutturali dello stesso, in modo esclusivo all'uso o al godimento di una porzione in proprietà esclusiva), idoneo a superare la “presunzione” (sia pure in senso atecnico, v. Cass. civ., sez.un., n. 7449/1993) che la richiamata norma pone (Cass. civ., sez. II, n. 3852/2020; Cass. civ., sez. II, n. 6458/2019; Cass. civ., sez. II, n. 16070/2019; Cass. civ., sez. II, n. 10073/2018; Cass. civ., sez. II, n. 12980/2016; Cass. civ., sez. II, n. 7704/2016; Cass. civ., sez. II, n. 1680/2015; Cass. civ., sez. II, n. 12572/2014; Cass. civ., sez. II, n. 16306/2012). Da tale premessa, origina l'inevitabile conseguenza per cui non può trovare applicazione la disciplina speciale dettata per il condominio dall'art. 1119 c.c., ma quella ex artt. 1111 e 1112 c.c., volta a disciplinare lo scioglimento della comunione ordinaria. Scioglimento della comproprietà che, però, non può avvenire in maniera indiscriminata, giacché “la divisione del bene in comunione - osserva nell'occasione la Corte - non è automaticamente conseguente alla domanda, dovendosi valutare i suoi effetti sulla destinazione d'uso” e, a ben vedere, “la destinazione d'uso di un cortile non è solamente quella principale, oggettiva, di fornire aria e luce, ben potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo prevedendo delle funzioni accessorie che vanno ad integrare la destinazione d'uso”. L'uso dei beni in comune, infatti, può avvenire in vario modo, ed essere adattato alle esigenze individuali, nei limiti di quanto consentito dall'art. 1102 c.c.; così, avuto riguardo al cortile, al di là della funzione - principale - di fornire aria e luce agli immobili che vi si affacciano, la giurisprudenza ha ritenuto, tra l'altro, legittime: a) l'escavazione del sottosuolo del cortile per installarvi tubi finalizzati all'allacciamento di un bene di sua proprietà esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali (Cass. civ., sez. II, n. 18661/2015; Cass. civ., sez. II, n. 9785/1997; Trib. Salerno 12 febbraio 2013, a proposito della posa in opera delle tubazioni per il passaggio dei cavi dell'impianto citofonico); b) la costruzione di sporti, balconi e pensili sul cortile realizzata in modo da non pregiudicare né la normale funzione del cortile né le possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini (Cass. civ., sez. II, n. 172/1993; Cass. civ., sez. II, n. 54/2014; Cass. civ., sez. II, n. 12569/2002); c) l'installazione, nel cortile comune, di una colonna di ascensore, tanto più nell'ipotesi in cui tra i condomini utilizzatori dell'impianto installato vi siano dei soggetti portatori di disabilità, beneficiari delle previsioni di cui alla l. n. 13/1989 (ora d.P.R. n. 380/2001) in tema di superamento delle barriere architettoniche (Cass. civ., sez. II, n. 14096/2012); d) l'apertura di luci e vedute sul cortile (Cass. civ., sez. II, n. 13874/2010; Cass. civ., sez. II, n. 4386/2007); e) la realizzazione di c.d. bocche di lupo che pongano in comunicazione gli scantinati di proprietà esclusiva di un condomino ed il cortile comune (Cass. civ., sez. II, n. 1378/1970); f) la piantagione di essenze arboree e floreali nel cortile comune (Cass. civ., sez. II, n. 3188/2011). Sicché - conclude la Corte - poiché lo scioglimento della cosa comune può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d'uso, quando siffatta volizione trovi concreta attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione, il bene è indivisibile ex art. 1112 c.c. Né in tal modo le due discipline - quella della comunione ordinaria e quella condominiale - si sovrappongono, giacché mentre l'art. 1119 c.c. contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale e, conseguentemente, contiene la prescrizione dell'unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva, l'art. 1112 c.c., al contrario, costituisce un'eccezione alla regola generale della divisione della comunione disposta dall'art. 1111 c.c., tutela la destinazione d'uso del bene e, per questo, ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l'idoneità all'uso a cui è stato destinato. Osservazioni
La decisione, benché dettata in tema di comunione ordinaria, offre lo spunto per alcune riflessioni di carattere generale sulla cessazione del regime di condominialità che, a ben vedere, si origina de facto, per effetto della semplice compresenza di parti in proprietà esclusiva e parti in proprietà comune mentre, al contrario, è minuziosamente regolamentata dal legislatore quanto alle modalità di sua “fine”, dettandosi un'apposita disciplina per il caso di divisione di una o più parti comuni (art. 1119 c.c.) - limitatamente alle quali, solo, il regime condominiale viene meno - ovvero per il caso di perimento dell'edificio (art. 1128 c.c.) ovvero, ancora, di scioglimento del condominio, sia che l'evento riguardi un edificio unico, che una pluralità di edifici legati tra loro dalla contitolarità di beni e servizi comuni (artt. 61 e 62 disp. att. c.c.). La spiegazione è da rinvenire nella considerazione per cui, mentre nella comunione, la divisione - ossia l'atto di ripartizione del bene comune tra i compartecipi, che trasforma le quote della comunione in singole porzioni di proprietà esclusiva - rappresenta una fase, per così dire, fisiologica, essendone la sua naturale evoluzione e conclusione (il diritto di chiedere lo scioglimento della comunione rappresenta, infatti, un diritto potestativo di ciascun comunista, che può essere sempre esercitato dai compartecipi, salvo che la comunione abbia ad oggetto beni che, se divisi, cesserebbero di servire all'uso cui sono destinati ovvero che sia stato convenzionalmente contemplato un divieto - che, a propria volta, non può però superare i dieci anni o i cinque, ove tale previsione sia contenuta in una disposizione testamentaria), uno degli elementi distintivi del condominio è la sua indivisibilità. In proposito, si segnala un'ulteriore recente pronunzia con cui la Corte si è soffermata sulla nuova formulazione dell'art. 1119 c.c., chiarendo che la norma, nel nuovo testo modificato dall'art. 4 della l. n. 220/2012, va interpretata nel senso che “le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione”, a meno che - per la divisione giudiziaria - “la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino" e - per la divisione volontaria - a meno che non sia concluso contratto che riporti, in scrittura privata o atto pubblico, il "consenso di tutti i partecipanti al condominio", requisito non richiesto per la divisione giudiziaria. |