Rapporto tra sanzioni penali e tributarie: no all'incostituzionalità della norma sul ne bis in idem

Francesco Brandi
03 Settembre 2020

Con sentenza 114 del 12 giugno 2020 la Corte costituzionale ha sostanzialmente negato l'incostituzionalità dell'art. 649 c.p.p. in relazione cumulo delle sanzioni penali e tributarie relative all'omesso versamento IVA
Massima

Con sentenza 114 del 12 giugno 2020 la Corte costituzionale ha sostanzialmente negato l'incostituzionalità dell'art. 649 c.p.p. in relazione cumulo delle sanzioni penali e tributarie relative all'omesso versamento IVA.

Il caso

La vicenda riguardava la contestazione del reato di omesso versamento IVA ai sensi dell'art. 10-ter del D.Lgs. 74/2000 a cui era conseguito anche un procedimento amministrativo conclusosi in maniera definitiva con il pagamento di sanzioni per 40 mila euro.

Su sollecitazione dell'imputato il Tribunale di Rovigo sollevava – in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) – questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede l'applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato al quale con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale.

La questione

La questione fondamentale trattata dalla pronuncia in commento la compatibilità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. in relazione all'esistenza per lo stesso fatto di una sanzione definitiva comminata all'esito di un procedimento amministrativo (nel caso di specie tributario).

Le soluzioni giuridiche

Nel dichiarare inammissibile la questione sollevata la Corte costituzionale precise che sia la Corte europea dei diritti dell'uomo (grande camera, sentenza 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia), quanto la Corte di giustizia dell'Unione europea (sentenza 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci) non ritengono ex se contraria al divieto di bis in idem la sottoposizione di un imputato a processo penale per il medesimo fatto per il quale egli sia già stato definitivamente sanzionato in via amministrativa, esigendo unicamente la sussistenza di un legame materiale e temporale sufficientemente stretto tra i due procedimenti, da ravvisarsi in presenza di sanzioni che perseguano scopi complementari, della prevedibilità del “doppio binario” sanzionatorio, di forme di coordinamento tra i procedimenti e della proporzionalità del complessivo risultato sanzionatorio.

Secondo la Corte di Strasburgo in linea di principio l'art. 4 prot. 7 CEDU non esclude che lo Stato possa legittimamente apprestare un sistema di risposte a condotte socialmente offensive (come l'evasione fiscale) che si articoli - nella cornice di un approccio unitario e coerente - attraverso procedimenti distinti, purchè le plurime risposte sanzionatorie non comportino un sacrificio eccessivo per l'interessato, con il conseguente onere per la Corte di verificare se la strategia adottata da ogni singolo Stato comporti una violazione del divieto di ne bis in idem, oppure sia, al contrario il prodotto di un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria.

In altri termini è possibile lo svolgimento parallelo di due procedimenti purchè essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico e purchè esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili.

Del resto con la sentenza n. 6993 depositata il 14 febbraio 2018, anche la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla “garanzia europea” di ne bis in idem, ha riscontrato, nel caso specifico, la legittimità della condanna penale intervenuta per un fatto già definitivamente sanzionato in via amministrativa dall'Ufficio fiscale. La presenza di una stretta connessione temporale e sostanziale ha determinato la soluzione della Suprema Corte che ha sottolineato la legittimità della risposta punitiva dello Stato qualora sia il prodotto di un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria.

Nel caso di specie il Tribunale rimettente non aveva dimostrato la non conformità della disciplina censurata a tutti i criteri enunciati dalla giurisprudenza europea.

Osservazioni

Possibile il cumulo delle sanzioni amministrative e penali nel caso di omesso versamento di imposte, a patto gli effetti che si determinano non risultino eccessivi rispetto alla gravità del reato commesso e che, perseguendo un interesse generale, non venga violato il principio di proporzionalità. In tal senso si è pronunciata la Corte di Giustizia UE nella sentenza del 20 marzo 2018, relativa alla causa C- 524/15.

La vicenda riguardava un contribuente italiano al quale veniva irrogata la sanzione amministrativa del 30% in relazione ad un omesso versamento Iva. La sanzione diveniva definitiva a seguito dell'istanza di rateazione presentata dal contribuente e dal successivo pagamento delle prime rate.

Successivamente, nei confronti del medesimo contribuente, e per lo stesso fatto contestato, veniva instaurato un procedimento penale per il delitto di omesso versamento IVA di cui all'art. 10-ter, D.Lgs. 74/2000.

In tale ambito il Tribunale di Bergamo ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale se la previsione dell'art. 50 [della Carta], interpretato alla luce dell'art. 4 [protocollo] n. 7 [della CEDU] e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia già riportato sanzione amministrativa irrevocabile.

La Corte di Giustizia ricorda che è legittima una normativa nazionale come quella italiana che risponda a un obiettivo di interesse generale quale quello di assicurare la riscossione integrale dell'IVA dovuta.

Un tale sistema come quello italiano che prevede per l'omesso versamento dell'IVA sia sanzioni amministrative sia sanzioni penali sicuramente favorisce la riscossione della risorsa dell'Unione, ma potrebbe porsi in contrasto con il divieto del ne bis in idem.

Ciò in quanto – alla luce degli insegnamenti della Corte di giustizia – la sanzione tributaria di cui al citato articolo 13, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, seppure qualificata come “amministrativa” dal diritto nazionale, per la sua finalità repressiva e per il suo grado di rigore e di severità, non può che rivestire natura penale, per cui nel caso di specie si potrebbe configurare una duplicazione di procedimenti e di sanzioni penali.

Al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che garantiscano che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti.

A tal fine fondamentale è l'articolo 21 del D.Lgs. n. 74/2000 che prevede la sospensione dell'esecuzione forzata delle sanzioni amministrative (aventi natura penale) nel corso del procedimento penale, impendendo definitivamente tale esecuzione dopo la condanna penale dell'interessato. Inoltre, il pagamento volontario del debito tributario, purché riguardi parimenti la sanzione amministrativa inflitta all'interessato, costituisce una circostanza attenuante speciale di cui tenere conto nell'ambito del procedimento penale (ora in realtà ai sensi dell'art. 13, comma 1 del D.Lgs. 74/2000 l'integrale pagamento del debito tributario prima dell'apertura del dibattimento costituisce causa di non punibilità, tra l'altro, per il reato di omesso versamento IVA).

La Corte ha quindi concluso che l'articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa

  • sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,
  • contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l'onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e
  • preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

La palla è però rimessa al giudice nazionale il quale deve accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l'onere risultante concretamente per l'interessato dall'applicazione della normativa nazionale, ovvero dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni previste non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.

A livello di giurisprudenza interna si segnala che con la sentenza n. 6993 depositata il 14 febbraio 2018, la Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla “garanzia europea” di ne bis in idem, ha riscontrato, nel caso specifico, la legittimità della condanna penale intervenuta per un fatto già definitivamente sanzionato in via amministrativa dall'Ufficio fiscale. La presenza di una stretta connessione temporale e sostanziale ha determinato la soluzione della Suprema Corte che ha sottolineato la legittimità della risposta punitiva dello Stato qualora sia il prodotto di un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria.

Nel decidere la controversia la Cassazione richiama una pronuncia della Corte EDU del 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, ric. n. 24130/11 e 29758/11 secondo cui “non viola il ne bis in idem convenzionale la celebrazione di un processo penale, e l'irrogazione della relativa sanzione, nei confronti di chi sia già stato sanzionato in via definitiva dall'amministrazione tributaria con una sovrattassa (nella specie pari al 30% dell'imposta evasa), purchè sussista tra i due procedimenti una "connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”.

Secondo la Corte di Strasburgo in linea di principio l'art. 4 prot. 7 CEDU non esclude che lo Stato possa legittimamente apprestare un sistema di risposte a condotte socialmente offensive (come l'evasione fiscale) che si articoli - nella cornice di un approccio unitario e coerente - attraverso procedimenti distinti, purchè le plurime risposte sanzionatorie non comportino un sacrificio eccessivo per l'interessato, con il conseguente onere per la Corte di verificare se la strategia adottata da ogni singolo Stato comporti una violazione del divieto di ne bis in idem, oppure sia, al contrario il "prodotto di un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell'illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria.

In altri termini è possibile lo svolgimento parallelo di due procedimenti purchè essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico e purchè esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili.

Nel caso in esame sussisteva quella stretta connessione temporale tra i due procedimenti che costituisce l'elemento per ritenere che le due sanzioni irrogate possano essere considerate quali parti di un unico sistema sanzionatorio adottato da uno Stato per sanzionare la commissione di un fatto illecito. Ed infatti gli avvisi di accertamento e di contestazione, con i quali venivano mosse le contestazioni e irrogate le sanzioni sono stati notificati, a mezzo lettera raccomandata, nel luglio 2014; il procedimento di primo grado avanti al Tribunale di Bergamo si è concludeva con la pronuncia della sentenza in data 2 dicembre 2014 (mentre il giudizio di appello in data 26 maggio 2015).

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