Quali valori tabellari per il danno non patrimoniale da morte?

Marco Bona
07 Settembre 2020

Qual è in concreto il trattamento risarcitorio da riconoscersi ai fratelli della vittima, destinatari in base alla «tabella milanese» di importi minori rispetto ad altri congiunti?
Massima

Va respinta la tesi per cui, al fine di stabilire se la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dall'uccisione di un prossimo congiunto sia stata equa od iniqua, occorre avere riguardo non già al quantum concretamente liquidato dal giudice di merito, ma alla c.d. “tabella” da cui l'ha ricavato, sicché, mutata la tabella nelle more del giudizio, qualsiasi importo accordato sulla base della tabella meno recente sarebbe, per ciò solo, erroneo.

Il caso

Il caso aveva ad oggetto un decesso a seguito di sinistro stradale occorso nel 2003 cui seguiva l'azione risarcitoria esperita dalla madre e dai fratelli della vittima. In primo grado le domande venivano accolte con liquidazione alla madre della somma di Euro 260.000 ed a ciascuno dei fratelli della somma di Euro 134.000. Per quanto qui d'interesse, la Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza 5 ottobre 2017 n. 1712, riformava la sentenza in punto quantum debeatur. In particolare: -) accordava alla madre un incremento del danno non patrimoniale ad Euro 275.000 per tenere conto dell'invalidità psichica patita dalla donna in conseguenza della morte del figlio; -) rideterminava il risarcimento dovuto a ciascuno dei fratelli nella minor somma di Euro 120.140,14 (oltre interessi compensativi), ravvisando nella sentenza impugnata un errore di calcolo nell'operazione di detrazione, dal credito risarcitorio, degli acconti pagati dall'assicuratore del conducente responsabile.

La questione

Al centro di questa ordinanza si pongono essenzialmente due questioni rilevanti per la liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione del congiunto: 1) sino a quale punto si sospinge il diritto del danneggiato all'applicazione della versione più aggiornata della «tabella milanese» e, conseguentemente, entro quali termini può essere fatta valere la violazione di tale principio? 2) qual è in concreto il trattamento risarcitorio da riconoscersi ai fratelli della vittima, destinatari in base alla «tabella milanese» di importi minori rispetto ad altri congiunti?

Di fatto l'ordinanza in disamina affronta una questione di fondamentale rilievo: quale valenza è possibile attribuire alla «tabella milanese» sul danno non patrimoniale da violazione del rapporto parentale?

Le soluzioni giuridiche

Una prima questione riguardava la doglianza per cui la Corte d'appello avrebbe liquidato il danno non patrimoniale applicando le tabelle milanesi “vigenti” al momento del verificarsi del danno, invece che al momento della liquidazione. In particolare, i ricorrenti avevano dedotto che, se la Corte d'appello avesse applicato le tabelle diffuse dal Tribunale di Milano nell'anno 2014 (le ultime disponibili al momento della decisione d'appello), i danneggiati avrebbero avuto diritto ad una liquidazione maggiore, dal momento che quelle tabelle prevedevano quale massimo ristoro a favore della madre della vittima la somma di Euro 327.900, ed a favore dei fratelli la somma di Euro 142.420, ben maggiori di quelle liquidate dal Corte territoriale.

Orbene, la Suprema corte, precisando ulteriormente il suo consolidato indirizzo per cui le tabelle vanno applicate in sede di merito nelle loro versioni più aggiornate (cfr. in questo senso già Cass. civ., Sez. III, 11 maggio 2012, n. 7272, Cass. civ., Sez. III, 18 maggio 2012, n. 7932, Cass. civ., Sez. III, 4 marzo 2008, n. 5795), si è opposta nettamente alla tesi, giustappunto sostenuta dai ricorrenti, per cui, per stabilire se la liquidazione del danno non patrimoniale derivante dall'uccisione di un prossimo congiunto sia stata equa od iniqua, occorrerebbe avere riguardo non già al quantum concretamente liquidato dal giudice di merito, ma alla c.d. «tabella» da cui l'ha ricavato, sicché, mutata od aggiornata la tabella nelle more del giudizio, qualsiasi importo accordato sulla base della tabelle meno recente sarebbe, per ciò solo, erroneo.

In particolare, la Cassazione del 1° luglio 2020, prendendo la questione alla larga, ha così specificato i precedenti approdi:

- vero è che per la stima del danno non patrimoniale da uccisione d'un prossimo congiunto, in mancanza di criteri legali, larga diffusione ha avuto la «tabella milanese», la quale, tuttavia, per ciascun tipo di vincolo parentale prevede una somma variabile tra un minimo ed un massimo con importi «molto divaricati tra loro», sicché «la scelta del risarcimento concretamente dovuto nel caso specifico è rimessa alla valutazione equitativa del giudice»;

- vero è pure che, d'altro canto, la Cassazione, in occasione della nota sentenza Cass. Civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408, stabilì che tale tabella dovesse costituire «d'ora innanzi, per la giurisprudenza di questa Corte, il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità» (statuizione, peraltro, posta in discussione – come segnalato dall'ordinanza qui in commento da «talune decisioni dissonanti», tra le quali la stessa segnala Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495 secondo cui «nella liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale […] le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale»);

- nondimeno, «un sistema che lascia al giudice la facoltà di scegliere il risarcimento ritenuto equo tra un minimo ed un massimo molto distanti tra loro è, nella sostanza, un sistema equitativo puro, con l'unico temperamento del divieto di scendere al di sotto, o salire al disopra delle soglie tabellari», sicché, per l'appunto trattandosi di un «sistema equitativo puro», «lo stabilire se la misura del risarcimento più adatta a ristorare il danno nel caso concreto sia quella minima, quella media o quella massima prevista dalla “tabella” è una valutazione di puro fatto, riservata al giudice di merito ed insindacabile» in sede di legittimità.

Pertanto, nel momento in cui il giudice del merito, pur sulla base di una precedente versione della «tabella milanese», abbia liquidato un importo ricompreso tra i limiti minimi e massimi recati dalla tabella più recente, di cui si lamenta la mancata applicazione, tale liquidazione non è più censurabile sotto il profilo in questione, giacché - a parte il fatto che il giudice di merito ha correttamente fatto riferimento alla tabella diffusa dal Tribunale di Milano e, quindi, non ha violato l'art. 1226 c.c. così come interpretato dalla sentenza n. 12408/11 - non ha neppure violato il principio per cui, nella liquidazione del danno non patrimoniale, occorre fare riferimento alla tabella più recente in uso al momento della decisione, proprio perché «l'importo liquidato è compreso nel range previsto dalla tabella in uso al momento della decisione».

La Corte ha poi aggiunto quanto segue: «Nè è consentito a questa Corte sindacare se, per le peculiarità del caso concreto, quell'importo avrebbe dovuto attestarsi sulla misura massima, su quella media o su quella minima prevista dalla tabella».

In pratica, stando a questa impostazione, il principio dell'applicazione delle tabelle in vigore al momento della liquidazione potrebbe giustificare un ricorso in Suprema corte soltanto nel caso – invero non particolarmente frequente – della liquidazione da parte del giudice del merito negli importi minimi o massimi delle vecchie tabelle (per un caso di questo tipo cfr. Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495, che condivisibilmente ha censurato la sentenza della Corte territoriale, che, dopo avere identificato nelle «tabelle milanesi» il parametro equitativo per la liquidazione ad una madre del danno non patrimoniale per la perdita del figlio, aveva deviato radicalmente dalle basi del suo ragionamento, giungendo - senza spiegarne i motivi - ad una quantificazione corrispondente a circa un terzo dell'importo minimo della tabella).

Ovviamente, come precisato da ultimo da Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 30 giugno 2020, n. 13000, affinché l'ultima versione della tabella possa essere assunta in considerazione, occorre che essa sia prodotta in giudizio, poiché «le tabelle di liquidazione del danno alla persona non costituiscono norme di diritto nè rientrano nella nozione di fatto di comune esperienza, di cui all'art. 115 c.p.c., per cui non fanno parte del normale patrimonio di conoscenza del giudice» (prospettiva questa, invero, che sarebbe meritevole di ulteriori riflessioni sol considerandosi come dovrebbe ritenersi inconcepibile che un magistrato, il quale si occupi di materia risarcitoria, ignori le tabelle in questione e le loro evoluzioni).

Altra questione affrontata dall'ordinanza in commento riguardava il trattamento risarcitorio da riservarsi ai fratelli della vittima, giacché nel giudizio di merito il danno non patrimoniale patito dalla madre della vittima era stato liquidato nella misura media rispetto agli standard previsti dalle tabelle, mentre quello accordato ai fratelli era stato liquidato nella misura massima.

Orbene, la Suprema corte ha censurato l'«assioma» per cui «il dolore morale sofferto dai fratelli di persona tragicamente deceduta non potrebbe non essere di intensità inferiore a quello sofferto dalla madre»: «una regola di questo tipo non costituisce affatto una massima di comune esperienza, nè una legge scientifica: non tutte le madri sono Medea, e non tutti i fratelli sono Castore e Polluce. E', per contro, potere-dovere del giudice di merito, secondo quanto le parti hanno allegato e provato, accertare con gli strumenti a sua disposizione quale sia stata la reale entità del danno nel caso concreto».

In pratica in base a questa esatta soluzione il giudice è sicuramente legittimato a valorizzare il danno non patrimoniale patito da un fratello o da una sorella in ipotesi anche in misura pari o superiore a quello riconosciuto od ipotizzabile per un genitore od un coniuge, dunque superando i valori individuati in tabella per tale categoria, come, per esempio, accaduto di recente nella interessante sentenza Trib. Cuneo, 5 dicembre 2019, n.998, (in www.ridare.it, con nota di L. Berti). In tale caso, che concerneva la perdita di una sorella gemella, atteso che l'attrice aveva dimostrato di avere avuto «un rapporto eccezionalmente stretto, non paragonabile ad un comune rapporto tra sorelle» , «effettivamente “simbiotico”, sviluppatosi come tale dalla nascita e sino al giorno del sinistro, senza soluzione di continuità» (frequentazione delle medesime scuole, lauree il medesimo giorno nella stessa materia, percorso professionale comune, ecc.), il Tribunale ha sì disatteso la richiesta attorea di applicare i parametri previsti per i genitori e per il partner («trattandosi di relazioni non paragonabili tra loro»), ma ha personalizzato l'importo massimo incrementandolo del 40%, anche in considerazione che l'attrice si era trovata a condividere con la sorella pure il momento della morte, assistendo personalmente a tale perdita.

Osseravazioni

Nell'ordinanza in disamina la Cassazione, con estensore il Consigliere Rossetti, sembra avere lasciato aperta la questione della valenza da riconoscersi alla «tabella milanese» per il danno non patrimoniale parentale, ricordando sì l'orientamento consolidato, ma altresì sottolineando un indirizzo «dissonante» (individuato nella pronuncia Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495) e, dunque, concludendo sul punto con la seguente sibillina affermazione: «Nella presente sede […] non è necessario stabilire quale delle due dissenzienti opinioni sia preferibile».

Peraltro, come si è innanzi riferito, nell'ordinanza in disamina si legge pure che la «tabella milanese» per i casi mortali sarebbe eccessivamente indeterminata ed in definitiva si risolverebbe in un «sistema equitativo puro».

Di fronte a questi due passaggi, sorge spontanea una domanda fondamentale: siamo dinanzi ad un cauto tentativo di riaprire la questione della valenza da attribuirsi alla «tabella ambrosiana» per il danno da perdita parentale?

In effetti, la sentenza Cass. civ., Sez. III, 14 novembre 2019, n. 29495, rimasta sinora in ombra forse anche a causa del successivo intervento dell'emergenza sanitaria «Covid-19», reca una delimitazione della portata del leading case Cass. civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 senz'altro meritevole di riflessione.

In particolare, tale rilettura del noto precedente del 2011 viene così articolata dalla pronuncia del 14 novembre 2019 (cfr., in particolare, §§ 4.4 e 4.5):

  • la sentenza n. 12408/2011 «giunge al principio di diritto che afferma l'applicazione delle tabelle milanesi come concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale riferendosi al “danno non patrimoniale alla persona da lesione dell'integrità psico-fisica... in difetto di previsioni normative (come l'art. 139 codice delle assicurazioni private...)», sicché «tale principio non investe la determinazione del danno da lesione del rapporto parentale»;
  • in ragione di ciò, in relazione al danno non patrimoniale da violazione del rapporto parentale «non è configurabile di per sè nelle tabelle milanesi la concretizzazione dell'equità per risarcirlo».

Tralasciando il fatto che un precedente da solo non può costituire un orientamento e volendo ignorare che la giurisprudenza di legittimità successiva al leading case Cass. n. 12408/2011 lo ha inteso nel senso di «nazionalizzare» anche la «tabella ambrosiana» sui danni da morte, ad onor di cronaca può osservarsi come la stessa motivazione addotta dalla sentenza del 7 giugno 2011 per l'elevazione delle «tabelle milanesi» per il danno alla persona a parametro nazionale giustifichi da sola l'attribuzione di pari valenza alla «tabella ambrosiana» sul danno non patrimoniale dei congiunti.

In particolare, la sentenza n. 12408/2011 ha fatto leva sulla «inopportunità che la Corte di legittimità contrapponga una propria scelta a quella già effettuata dai giudici di merito di ben sessanta tribunali, anche di grandi dimensioni (come, ad esempio, Napoli) che, al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale»; orbene, la scelta di tali Tribunale ha riguardato costantemente anche la «tabella milanese» per il danno parentale, soprattutto a seguito delle sentenze delle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008.

In altri termini, se, come ricavabile dalle storiche sentenze Cass. civ., Sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 e Cass. civ., Sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402, l'obiettivo è quello del trattamento uniforme a livello nazionale e la scelta maggioritaria dei Tribunali assurge a fattore dirimente, indubbiamente non è dato distinguere tra tabelle per i danni psicofisici e tabella per i casi di morte o di ferimento dei congiunti. Dunque, anche per il danno non patrimoniale dei congiunti i parametri ambrosiani «concretizzano» l'equità, all'opposto di quanto suggerito dalla sentenza del 14 novembre 2019.

In breve, non appare fondato riaprire la questione circa la tariffazione di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale da violazione del rapporto parentale sulla base della delimitazione della portata del leading case del 2011, laddove evidentemente la sua ratio decidendi con riferimento ai casi di menomazioni psicofisiche sorregge la medesima conclusione per i casi mortali o di ferimento del famigliare.

Sennonché ci si trova dinanzi al rilievo – sottolineato dall'ordinanza in commento – per cui in fondo la «tabella ambrosiana» sarebbe eccessivamente imprecisa sino ad ammontare ad un «sistema equitativo puro», rilievo logicamente in teoria tale da legittimare i giudici del merito ad altre soluzioni.

Come ovvio, sovviene innanzitutto la «tabella romana», che, per quanto concerne il risarcimento del danno da morte (e pure da ferimento) del congiunto, propone un modello «a punti», che, coniugando così individuazione dei parametri di base e personalizzazione «standard», tiene conto di cinque fattori: 1) il rapporto parentale; 2) l'età della vittima; 3) l'età del superstite; 4) lo stato di convivenza o meno con la vittima; 5) la composizione del nucleo familiare. Questo modello tabellare è, dunque, tale da permettere una determinazione del danno non patrimoniale per ciascun congiunto non solo più precisa, ma anche più uniforme rispetto all'impostazione milanese.

Sovviene, altresì, l'impostazione seguita dalla pronuncia App. Trento, sez. I civ.,12 novembre 2019, n. 275, che, nel liquidare il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale dei fratelli e dei nipoti non conviventi della vittima deceduta in un sinistro stradale, ha impiegato quali parametri monetari le somme intermedie tra l'importo minimo fissato dalla tabella di Milano e gli importi indicati dalla tabella di Roma (cfr. su questa soluzione M. Bona, Parametri intermedi tra tabelle milanesi e tabelle romane per il danno ai congiunti?, in www.ridare.it, 8 Dicembre 2019).

Tuttavia, come già si osservava in relazione a tale ultimo precedente, è lecito domandarsi se il ricorso alla «tabella romana», ad altre tabelle locali od a soluzioni ibride si ponga in linea con l'impostazione della Cassazione di cui alla sentenza n. 12408/2011 circa l'applicazione dell'art. 1226 c.c.. La risposta a questo quesito dovrebbe risultare negativa per quanto già si rilevava nel citato contributo.

Appare, comunque, sempre più evidente come la giurisprudenza di legittimità debba fornire indicazioni più univoche al fine di scongiurare incertezze sui parametri di riferimento.