Sono deducibili i costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti

10 Settembre 2020

Sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti - inseriti o meno in una frode carosello - per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.
Massima

Sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti - inseriti o meno in una frode carosello - per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.

Il caso

La Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate nei confronti della società A. s.n.c. e dei soci avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma.

Quest'ultima, a sua volta, aveva accolto il ricorso proposto dai contribuenti avverso tre avvisi di accertamento e una cartella di pagamento relativi agli anni di imposta 2002, 2003 e 2004 con i quali l'Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza, aveva proceduto alla rideterminazione del maggior reddito imponibile e della maggiore Iva dovuta in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti relative all'importazione intracomunitaria di autoveicoli per il tramite di società "cartiere" fittiziamente interposte all'effettivo cedente comunitario, sul presupposto che fosse provata la fittizietà dell'operazione e la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una frode all'IVA.

Avverso tale statuizione la società A. s.n.c. ed un socio propongono ricorso per cassazione.

La questione

La questione sottoposta alla Corte, in particolare con il quinto ed il sesto motivo di ricorso, attiene alla deducibilità dei costi per fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.

In particolare, secondo i ricorrenti, poiché i beni acquistati non sono stati utilizzati "direttamente" per commettere il reato, ma per essere commercializzati, non è più sufficiente, per escludere la deducibilità dei costi il coinvolgimento, anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, in parziale accoglimento del ricorso, ha osservato che, in relazione alla deducibilità dei costi da attività illecita, l'art. 2 comma 8 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 ha inserito il comma 4-bis dopo il comma 4 della legge n. 537/1993, in base al quale "nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti".

Pertanto, con la Legge n. 289/2002 si è prevista la non deducibilità di costi o spese riconducibili a "reati".

L'art. 8 del D.L. 16/2012, convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 2012, n. 44, sostituendo il comma 4 bis della legge 537/1993, ha, invece, reso possibile la deducibilità di costi collegati a reati, con esclusione però dei costi e delle spese "direttamente utilizzati" per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale.

Il comma 3 dell'art. 8 del d.l. 16/2012, poi, detta la disciplina transitoria, con effetto retroattivo delle norme se più favorevoli al contribuente.

Pertanto, l'indeducibilità sostanziale dei costi opera solo per i costi inerenti l'acquisto di beni e servizi direttamente utilizzati per la commissione di delitti non colposi; sicchè non è sufficiente per escludere la deducibilità dei costi che gli stessi afferiscano genericamente alla commissione del reato doloso, ma è necessario che siano stati sopportati per acquisire beni direttamente utilizzati per la commissione di reati dolosi.

L'art. 8, comma 1, del D.L. n. 16/2012 non concerne i costi relativi ad operazioni in tutto o in parte inesistenti, mentre trova applicazione per i costi relativi a fatture soggettivamente inesistenti, in quanto in tale seconda ipotesi il costo riportato in fattura è effettivo e, di regola, non è utilizzato per la commissione di alcun reato.

Pertanto, a norma dell'art. 14, comma 4-bis, della L. n. 537/1993, nella formulazione introdotta dall'art. 8, comma 1, del d.l. n. 162/2012 (conv. in L. n. 44/2012), poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente "al fine di commettere il reato", bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell'acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall'effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni, anche ove ricorrano i presupposti di cui all'art. 109 del d.P.R. n. 917/1986.

Ne consegue, dunque, che ai soggetti coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, in relazione alla novella, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente "al fine di commettere il reato", ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti.

Osservazioni

Si è già accennato che il legislatore è intervenuto sulla delicata questione della deducibilità dei costi dalla base imponibile delle imposte sui redditi, prevedendo l'indeducibilità solo per quei costi «direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo».

Con riguardo specifico alle operazioni IVA soggettivamente inesistenti, è particolarmente significativa la precisazione contenuta nella relazione di accompagnamento di tale novità legislativa, ove si afferma proprio che «l'indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi...».

Un tale intervento legislativo, pertanto, è pacificamente da intendersi nel senso del riconoscimento della deducibilità dei costi connessi ad operazioni soggettivamente inesistenti, così risolvendo, definitivamente ed in maniera condivisibile, la questione.

Prima di tale intervento legislativo, infatti, sul tema si riscontravano opinioni divergenti.

In particolare, l'Amministrazione finanziaria spesso negava la deducibilità di tali costi, sostenuti nell'ambito di operazioni anche solo soggettivamente inesistenti, ai fini delle imposte dirette, considerandoli «costi da reato» ai sensi del vecchio testo dell'art. 14, comma 4-bis della L. n. 537/1993.

Tale disposizione, infatti, nella versione vigente prima della modifica apportata dal D.L. n. 16/2012, prevedeva che: «Nella determinazione dei redditi ... non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato...».

La tesi dell'Amministrazione, dunque, era nel senso che i costi connessi ad operazioni IVA soggettivamente inesistenti dovevano considerarsi indeducibili ai fini delle imposte dirette, appunto perché riconducibili ad attività «qualificabili» come reato.

In realtà, una tale ricostruzione lasciava seriamente perplessi, soprattutto perché, laddove si tratta di operazioni IVA di acquisto «solo» soggettivamente inesistenti, i costi sono effettivamente sostenuti e tendenzialmente riferibili all'attività d'impresa; alla luce di ciò non si comprendeva la ragione di tale deroga alle regole generali per la determinazione del reddito.

In virtù proprio di tali riflessioni appare sicuramente condivisibile l'attuale soluzione predisposta dal legislatore.

Per completezza, si segnala come alcune sentenze della giurisprudenza di legittimità (Cass., sez. trib., 29 aprile 2011, n. 9537; Cass., sez. trib., 8 settembre 2006, n. 19353; Cass., sez. trib., 22 gennaio 2010, n. 1147), già prima del recente intervento legislativo, riconoscevano la deducibilità dei costi in parola ai fini dell'imposta sul reddito.

Non vi era, peraltro, uniformità di indirizzi in giurisprudenza, per cui la soluzione legislativa è apparsa quanto mai opportuna.

Il legislatore ha inteso circoscrivere l'indeducibilità esclusivamente a quei costi «direttamente utilizzati per» il compimento di un illecito e, cioè, ad esso finalizzati in modo specifico.

Tale diretto utilizzo del costo per la commissione di un delitto non colposo non è rinvenibile nelle operazioni soggettivamente inesistenti.

La portata della novità legislativa è stata, poi, ribadita e chiarita dall'Amministrazione finanziaria che, nel fornire ufficialmente la propria interpretazione, ha precisato: «Poiché, agli effetti della nuova disposizione, l'indeducibilità del costo opera ove vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell'attività delittuosa, ne consegue che i costi relativi all'acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili, ove, ovviamente, ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917» (Agenzia delle entrate, circolare 3 agosto 2012, n. 32/E, § 2.3).

In conclusione, sul punto si ritiene che la soluzione adottata dal legislatore è coerente sia con la dinamica e la finalità delle operazioni in parola, sia con la disciplina normativa del t.u.i.r. Nelle operazioni soggettivamente inesistenti, infatti, come si è sottolineato, l'acquisto di determinati beni (e, quindi, il costo sostenuto), a prescindere dalla fittizietà del cedente, è tendenzialmente finalizzato ad un'effettiva utilizzazione di quei beni nell'ambito dell'attività d'impresa che si svolge.

In tali ipotesi, ove non è posto in dubbio che gli acquisti (e, quindi, i costi) siano stati realmente effettuati, la deducibilità dei costi dalla base imponibile ai fini delle imposte dirette discende dai principi generali sanciti nel t.u.i.r. (inerenza, competenza, etc.).

La novità legislativa in tema di deducibilità dei costi è stata recepita dalla giurisprudenza che ne ha fornito un'immediata applicazione in relazione proprio alle operazioni Iva soggettivamente inesistenti.

L'immediata applicazione ad opera della giurisprudenza di legittimità è stata resa possibile anche dall'espressa efficacia retroattiva del nuovo regime: il D.L. n. 16/2012, all'art. 8, 3o comma, prevede, infatti, che le nuove previsioni sulla deducibilità dei costi si applicano, in luogo di quanto disposto dal previgente comma 4-bis dell'art. 14 della l. n. 537 del 1993, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore delle nuove norme, facendo ovviamente salva solo l'ipotesi in cui i provvedimenti emessi in base al comma 4-bis previgente si siano resi definitivi.

Infatti, la Corte di Cassazione (Cass., sez. trib., 20 giugno 2012, n. 10167), richiamando, peraltro, espressamente la relazione illustrativa al D.L. n. 16/2012, ha riconosciuto la deducibilità dei costi dalla base imponibile, ciò in virtù della considerazione che nelle operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono utilizzati direttamente per commettere un reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere venduti.

Analogamente, si è ribadito che, in virtù del tenore della nuova disposizione, non è più contestabile la deducibilità dei costi (Cass., sez. VI, ord. 11 febbraio 2013, n. 3258).

Si deve, peraltro, segnalare una sentenza della Corte di Cassazione di segno contrario (Cass., sez. trib., 14 dicembre 2012, n. 23078), con la quale si è affermato che «... laddove si versi ... in ipotesi di costi documentati in fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, alla stregua di elementi indiziari forniti dall'amministrazione, tali costi non possono essere dedotti dal committente-cessionario, ove non ricorra la prova dell'assenza dei presupposti dell'illecito penale ...».

Deve, poi, segnalarsi che, di recente, la Suprema Corte (Cass., Sez. 5, 19 dicembre 2019, n. 33915) ha precisato che la disposizione di cui all'art. 8, comma 1, del D.L. n. 16/2012, conv. dalla l. n. 44/2012, secondo cui non sono ammessi in deduzione costi e spese di beni o prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo, è invocabile soltanto in caso di operazioni soggettivamente inesistenti e non anche in caso di operazioni oggettivamente inesistenti.

Quanto affermato in termini di deducibilità dei costi connessi ad operazioni soggettivamente inesistenti offre lo spunto per alcune riflessioni sul tema dell'onere della prova.

Laddove, infatti, l'Amministrazione finanziaria contesti ad un contribuente una operazione IVA soggettivamente inesistente, senza null'altro aggiungere con riguardo ai costi (senza contestare ad esempio, il difetto di inerenza di tali costi, etc.), resta pacifica la deducibilità dalla base imponibile delle imposte dirette di tali costi e in proposito non incombe sul contribuente alcun onere probatorio. L'assenza di tale onere in capo al contribuente sussiste anche laddove l'Amministrazione finanziaria genericamente affermi l'indeducibilità dei costi.

La questione, invece, è diversa se l'Amministrazione, fuori dalle ipotesi di operazioni IVA soggettivamente inesistenti, anziché genericamente affermare l'indeducibilità dei costi, dimostri, ad esempio, che i costi sono direttamente connessi ad una specifica ipotesi delittuosa.

In tal caso, infatti, purché la motivazione è adeguata, deriva automaticamente l'indeducibilità ai sensi del nuovo art. 14; in tale evenienza il contribuente sarà onerato della prova contraria avente per oggetto la non riferibilità del costo ad una specifica ipotesi delittuosa.

Ipotesi analoga dal punto di vista dell'onere della prova ricorre allorquando l'amministrazione, anche nell'ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, contesti il difetto di inerenza dei costi stessi.

In proposito, sia la prassi che la giurisprudenza sottolineano come i costi sono deducibili ai sensi dell'art. 14, comma 4-bis, sempre che, ovviamente, ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal testo unico delle imposte sui redditi.

In altre parole, il cessionario potrà dedurre i costi sostenuti nell'ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, sempre che siano rispettati i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

In tale caso, laddove l'Amministrazione finanziaria contesti specificamente una di queste cause di indeducibilità dei costi, quale ad esempio il difetto di inerenza, graverà poi sul contribuente l'onere di provare l'inerenza del costo.

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