Legittimo sia il sequestro conservativo che l'azione revocatoria in caso di illegittima costituzione del fondo patrimoniale

21 Settembre 2020

È legittimo il sequestro conservativo del fondo patrimoniale, ottenuto dall'Agenzia delle Entrate in epoca anteriore all'esercizio dell'azione pauliana, sussistendo comunque un interesse concreto dell'Amministrazione ad agire al fine di ottenere l'inopponibilità nei propri confronti dell'atto con il quale i contribuenti abbiano conferito i propri immobili.​
La massima

È legittimo il sequestro conservativo del fondo patrimoniale, ottenuto dall'Agenzia delle Entrate in epoca anteriore all'esercizio dell'azione pauliana, sussistendo comunque un interesse concreto dell'Amministrazione ad agire al fine di ottenere l'inopponibilità nei propri confronti dell'atto con il quale i contribuenti abbiano conferito i propri immobili.​

Il caso

Nel caso in esame la Corte d'appello di Genova aveva confermato la decisione del Tribunale, che, in accoglimento della domanda proposta dall'Agenzia delle Entrate, aveva dichiarato l'inefficacia, ai sensi dell'art. 2901 c.c., dell'atto con il quale i contribuenti (debitori dell'Amministrazione finanziaria) avevano disposto la costituzione di un fondo patrimoniale mediante il conferimento di alcuni beni immobili propri.

A fondamento della decisione assunta, il giudice di appello aveva evidenziato la correttezza della decisione di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto il ricorso di tutti i presupposti, di natura soggettiva e oggettiva, ai fini dell'accertamento della fondatezza dell'azione revocatoria esercitata dall'Amministrazione finanziaria, con particolare riguardo all'effettiva sussistenza:

  1. del credito (sia pure contestato) dell'Agenzia delle Entrate nei confronti dei convenuti;
  2. dell'interesse ad agire della stessa; e
  3. dei requisiti dell'evento di danno e della scientia damni in capo ai disponenti.

I contribuenti proponevano allora ricorso per cassazione, censurando la sentenza per violazione degli artt. 100, 112 e 132 c.p.c. in relazione gli artt. 2901 e 2906 c.c., per avere la corte territoriale, a loro avviso erroneamente, ritenuto sussistente l'interesse ad agire in revocatoria dell'Agenzia delle Entrate, nonostante quest'ultima avesse già ottenuto un sequestro conservativo su beni degli stessi ricorrenti, fino alla concorrenza dell'importo di euro 263.657,00 per ciascuna parte.

Con un secondo motivo di impugnazione, i ricorrenti censuravano poi la sentenza per violazione dell'art. 2901 c.c., in relazione all'art. 19 del D.Lgs. n. 546/92, per avere il giudice di appello, a loro avviso erroneamente, ritenuto che l'atto costitutivo del fondo patrimoniale fosse stato compiuto in epoca posteriore al sorgere del credito dell'Amministrazione finanziaria, atteso il completamento della verifica fiscale della Guardia di Finanza in epoca successiva alla costituzione di detto fondo, e tenuto conto della natura costitutiva dell'accertamento fiscale in relazione all'insorgenza dell'obbligazione tributaria.

Infine, con una terza censura, i ricorrenti deducevano la violazione dell'art. 2901 c.c. per avere la Corte d'Appello, a loro avviso erroneamente, ritenuto sussistente il requisito dell'eventus damni e della scientia fraudis in capo ai disponenti, tenuto conto del carattere meramente eventuale e indeterminato del credito dell'Amministrazione finanziaria, della sussistenza di diversi atti di garanzia ipotecaria sull'immobile conferiti nel fondo patrimoniale e dell'idoneità delle residualità patrimoniali dei disponenti a soddisfare le ragioni creditorie della stessa Amministrazione.

La questione

L'art. 167 c.c. stabilisce che “Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia…”.

L'art. 170 c.c., a sua volta, dispone che “La esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia”.

In tema di riscossione coattiva delle imposte, l'iscrizione ipotecaria di cui all'art. 77 del d.P.R. n. 602/1973 è ammissibile dunque anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale, alle condizioni indicate dall'art. 170 c.c..

La scelta di costituire un fondo patrimoniale rappresenta del resto uno dei modi legittimi di attuazione dell'indirizzo economico familiare, secondo quanto enucleato anche dalla giurisprudenza civile.

Viceversa, solo quando sia dimostrata l'idoneità della costituzione del fondo patrimoniale ad ostacolare il soddisfacimento dell'obbligazione tributaria tale strumento giuridico finisce per costituire uno dei vari mezzi di sottrazione del patrimonio alla garanzia di adempimento del debito contratto con il Fisco, essendo peraltro irrilevante qualsiasi indagine riguardo alla anteriorità del credito rispetto alla costituzione del fondo, in quanto l'art. 170 c.c. non limita il divieto di esecuzione forzata ai soli crediti (estranei ai bisogni della famiglia) sorti successivamente alla costituzione del fondo, ma estende la sua efficacia anche ai crediti sorti anteriormente, salva la possibilità per il creditore, ricorrendone i presupposti, di agire in revocatoria ordinaria (cfr. Cass., nn. 3251/96, 4933/05).

In conclusione, l'istituto del fondo patrimoniale, che consiste, in sostanza, in un vincolo posto nell'interesse della famiglia su di un complesso di beni determinati (immobili, mobili registrati o titoli di credito) e realizza la costituzione di un patrimonio separato o destinato, finalizzato all'esclusivo soddisfacimento dei diritti di mantenimento, assistenza e contribuzione esistenti nell'ambito della famiglia, giustifica il divieto di esecuzione sui beni destinati al fondo (e sui relativi frutti).

Questi, in virtù della loro specifica destinazione, rispondono soltanto per obbligazioni assunte nell'interesse della famiglia, laddove l'articolo 2901, in tema di revocatoria ordinaria, stabilisce comunque che “Il creditore, anche se il credito è soggetto a condizione o a termine, può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni:

  1. che il debitore conoscesse il pregiudizio che l'atto arrecava alle ragioni del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, l'atto fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicarne il soddisfacimento;
  2. che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione…”.
Le soluzioni giuridiche

Tornando dunque al caso in giudizio, quanto al primo motivo di impugnazione, il Collegio osserva come la corte territoriale, nel riconoscere l'effettivo interesse dell'Agenzia delle Entrate ad agire in sede revocatoria, nonostante il già ottenuto sequestro conservativo sui beni dei ricorrenti, si fosse correttamente allineata all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale il creditore che abbia ottenuto la concessione di un sequestro conservativo su un bene immobile conserva comunque l'interesse ad agire con azione revocatoria ex art. 2901 c.c., qualora il medesimo bene venga in seguito alienato dal debitore ad un terzo, atteso che tale azione consente di ottenere una tutela tendenzialmente più ampia rispetto a quella assicurata dal sequestro, in quanto ha ad oggetto l'intero immobile, non è soggetta ai limiti derivanti dall'importo fino a concorrenza del quale sia stata autorizzata la misura cautelare, esclude il concorso con gli altri creditori (che si realizza, invece, per effetto della conversione del sequestro in pignoramento), e non è infine condizionata dagli esiti del giudizio di merito sulla sussistenza del diritto cautelato (cfr., Cass., Sentenza n. 22835 del 29/09/2017; Cass., Sentenza n. 997 del 08/02/1996).

Nella specie, peraltro, la Corte d'Appello aveva espressamente sottolineato come il sequestro conservativo, ottenuto dall'Agenzia delle Entrate in epoca anteriore all'esercizio dell'odierna azione pauliana, fosse stato autorizzato fino alla concorrenza di un importo largamente inferiore all'entità complessiva del credito in relazione al quale l'Amministrazione finanziaria aveva agito ex art. 2901 c.c., in tal senso confermando, anche per tale aspetto, la concreta sussistenza di un interesse ad agire al fine di ottenere l'inopponibilità nei propri confronti dell'atto con il quale i ricorrenti avevano conferito i propri immobili nel fondo patrimoniale impugnato.

Anche la seconda censura, secondo la Corte, era infondata.

Al riguardo, osserva il Collegio, il giudice di secondo grado, nel confermare la decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto che l'atto costitutivo del fondo patrimoniale fosse stato compiuto in epoca posteriore al sorgere del credito dell'Amministrazione finanziaria, si era infatti correttamente allineato all'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale i crediti tributari nascono ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti, e non già per effetto dell'atto amministrativo di accertamento posto in essere dall'Amministrazione finanziaria, con la conseguenza che, ove tali presupposti si siano verificati prima del compimento dell'atto dispositivo impugnato con l'actio pauliana, i crediti medesimi devono ritenersi anteriori a tale atto, ai sensi dell'art. 2901 c.c., anche se non (ancora) accertati in tutto o in parte, od iscritti nei ruoli (cfr., Sez. U, Sentenza n. 4779 del 28/05/1987).

E quindi, avendo i contribuenti posto in essere l'atto di disposizione costitutivo del fondo patrimoniale in data 8/8/2008, del tutto correttamente il giudice di merito aveva evidenziato la posteriorità di tale atto rispetto all'epoca in cui la Guardia di Finanza aveva accertato (nel febbraio del 2008) l'esistenza di documentazione extracontabile riferita all'attività commerciale e avviato poi una verifica fiscale nei loro confronti (nel febbraio-marzo del 2008), giungendo a richiedere al Presidente della Commissione Tributaria Provinciale (in data 7 luglio 2008) il sequestro conservativo degli immobili, con evidenza riferito a un credito di natura fiscale necessariamente sorto in epoca anteriore.

Infondata era infine anche la terza censura, avendo la corte territoriale correttamente ritenuto sussistente il requisito dell'eventus damni in relazione al compimento, da parte dei ricorrenti, dell'atto impugnato, trovando nella specie applicazione il consolidato insegnamento della giurisprudenza, ai sensi del quale il credito “litigioso”, che trovi fonte in un atto illecito o in un rapporto contrattuale contestato in separato giudizio, è comunque idoneo a determinare l'insorgere della qualità di creditore abilitato all'esperimento dell'azione revocatoria ordinaria avverso l'atto dispositivo compiuto dal debitore, senza che il relativo giudizio debba ritenersi soggetto a sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., poiché tale accertamento non costituisce l'indispensabile antecedente logico giuridico della pronuncia sulla domanda revocatoria, né può ipotizzarsi un conflitto di giudicati tra la sentenza che, a tutela del credito, dichiari inefficace l'atto di disposizione e la sentenza negativa sull'esistenza del credito (Cass., Ordinanza n. 3369 del 05/02/2019).

Così come doveva ritenersi corretta la decisione impugnata nella parte in cui aveva ritenuto irrilevante l'avvenuta sottoposizione dei beni conferiti nel fondo patrimoniale a diverse, precedenti, iscrizioni ipotecarie, trovando applicazione, nella specie, l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, in tema di azione revocatoria ordinaria, l'esistenza di una ipoteca sul bene oggetto dell'atto dispositivo, ancorché di entità tale da assorbirne, se fatta valere, l'intero valore, non esclude comunque la connotazione di quell'atto come eventus damni (presupposto per l'esercizio della azione pauliana), atteso che la valutazione tanto della idoneità dell'atto dispositivo a costituire un pregiudizio, quanto della possibile incidenza, sul valore del bene, della causa di prelazione connessa alla ipoteca, va compiuta con riferimento non al momento del compimento dell'atto, ma con giudizio prognostico proiettato verso il futuro, per apprezzare l'eventualità del venir meno, o di un ridimensionamento, della garanzia ipotecaria (cfr., Cass., Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).

Infine, secondo la Cassazione, erano del tutto inammissibili le deduzioni in ordine alla piena idoneità delle residualità patrimoniali dei ricorrenti a soddisfare le ragioni creditorie dell'Amministrazione finanziaria, trattandosi di riproposizione, in sede di legittimità, di una valutazione riferita ai fatti di causa, per sua natura riservata alla discrezionalità del giudice di merito, e a sua volta fondata sull'esame degli elementi probatori acquisiti nel corso del giudizio.

Osservazioni

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova infine effettuare le seguenti osservazioni.

Come ha anche ribadito la pronuncia in commento è possibile procedere a revocatoria anche in caso di costituzione di un fondo patrimoniale, non essendo peraltro richiesta, a fondamento dell'azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito, laddove l'onere di provare l'insussistenza di tale rischio incombe sul convenuto che eccepisca la mancanza dell'eventus damni (cfr Sez. 2, Sentenza n. 1902 del 03/02/2015).

L'azione revocatoria ordinaria presuppone del resto, per la sua esperibilità, la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, con la conseguenza che, gli atti dispositivi del contribuente, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono sempre soggetti alla predetta azione, ai sensi dell'art. 2901, n. 1, prima parte, cod. civ., in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore.

La costituzione del fondo patrimoniale può essere dunque dichiarata inefficace a mezzo di azione revocatoria ordinaria, laddove ne sussistano le condizioni (esistenza di un valido rapporto di credito, effettività del danno, inteso come lesione della garanzia patrimoniale a seguito del compimento da parte del debitore di un atto traslativo, ricorrenza, in capo al debitore, ed eventualmente in capo al terzo, della consapevolezza che, con l'atto di disposizione, venga a diminuire la consistenza delle garanzie spettanti ai creditori).

E, attraverso la revocatoria potrà essere ricostituita la garanzia assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, al fine di permettergli appunto il soddisfacimento coattivo del suo credito, avendo peraltro la revocatoria efficacia retroattiva, in quanto l'atto dispositivo risulta viziato sin dall'origine (cfr Cassazione, sentenza n. 19131/2004).

Secondo la Corte, inoltre, sotto il profilo dell'elemento soggettivo, nei casi di costituzione in fondo patrimoniale successiva all'assunzione del debito, è sufficiente la mera consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore scientia damni, la cui prova può essere fornita anche tramite presunzioni, senza che assumano viceversa rilevanza l'intenzione del debitore medesimo di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore consilium fraudis, né la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.

Si ricorda infine comeil conferimento di beni nel fondo patrimoniale può anche concretizzare il delitto ex art. 11 del Dlgs. n. 74/2000, che sanziona chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, per un ammontare complessivo superiore a 50.000,00 Euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni, idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

Attraverso l'incriminazione della condotta prevista dall'art. 11 del Dlgs. n. 74/2000, il legislatore ha quindi inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche, creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell'Erario, laddove l'oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell'obbligato.

Il delitto è, in sostanza, un reato di pericolo concreto, potendo peraltro essere la diminuzione della garanzia anche solo parziale, purché effettivamente in grado di mettere a rischio l'esazione del credito, mentre il carattere fraudolento presuppone che l'attività sia nascosta attraverso lo schermo formale di attività o documenti solo apparentemente regolari.

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