Il quadro della Suprema Corte in tema di indagini finanziarie. Nessuna apertura ma un richiamo ai valori generali del processo

Rossella Miceli
29 Settembre 2020

La sentenza definisce il quadro attuale in materia di garanzie nelle indagini creditizie e finanziarie, che conferma le posizioni consolidate sulle presunzioni e sulla non obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. Richiamando i principi generali in materia di processo la sentenza chiarisce l'ammissibilità delle dichiarazioni di terzi e l'esistenza di un obbligo di analisi della documentazione fornita dal contribuente. La pronuncia risulta condivisibile negli aspetti sul processo ma conservativa nelle impostazioni generali sul procedimento. Le indagini finanziarie mantengono un assetto evidentemente poco garantista, ancora disallineato dai valori generali della collaborazione e della trasparenza.
Massima

La sentenza definisce il quadro attuale in materia di garanzie nelle indagini creditizie e finanziarie, che conferma le posizioni consolidate sulle presunzioni e sulla non obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale. Richiamando i principi generali in materia di processo la sentenza chiarisce l'ammissibilità delle dichiarazioni di terzi e l'esistenza di un obbligo di analisi della documentazione fornita dal contribuente. La pronuncia risulta condivisibile negli aspetti sul processo ma conservativa nelle impostazioni generali sul procedimento. Le indagini finanziarie mantengono un assetto evidentemente poco garantista, ancora disallineato dai valori generali della collaborazione e della trasparenza.

Il caso

Con la sentenza n. 9903 del 13.1.2020 la Suprema Corte di Cassazione affronta diverse questioni relative ad un tema centrale e molto controverso dell'istruttoria tributaria, quello delle indagini sui dati finanziari del contribuente.

In tale assetto la pronuncia assume una certa importanza in quanto fornisce un quadro giuridico generale sui temi che oggi alimentano il dibattito interpretativo nazionale relativo al livello di tutela del contribuente.

Al contempo la sentenza si occupa di alcune questioni che attengono alla ammissibilità ed alla valutazione delle prove nel processo tributario.

In particolare, la vicenda oggetto di cognizione verte su un'indagine effettuata su dati bancari.

La contribuente, pur non svolgendo formalmente alcuna attività lavorativa, non producendo reddito e non presentando una dichiarazione annuale, risultava intestataria di un conto corrente bancario sul quale erano state effettuate operazioni di versamento di somme di denaro.

La contribuente sia in fase procedimentale che in fase processuale ha fornito spiegazioni sulla questione, sottolineando che il conto corrente è cointestato con il suo convivente, il quale aveva effettuato alcune operazioni a lei imputate e che determinati versamenti attenevano a somme che le erano state donate per provvedere a determinate spese.

Tali giustificazioni erano state supportate dalla produzione di diversi riscontri documentali: estratti conto, dichiarazioni dei redditi del convivente che attestavano la considerazione di alcuni ammontari rinvenuti nell'ambito del reddito da quest'ultimo prodotto e dichiarato, una dichiarazione giurata del soggetto terzo (il quale aveva donato le suddette somme) che non era stata ammessa nel corso del processo.

In sede istruttoria era stato emesso l'avviso di accertamento e la pretesa erariale era stata confermata in primo ed in secondo grado di giudizio. Nel corso dell'intero iter processuale la contribuente aveva lamentato l'assenza di garanzie nell'ambito dell'indagine condotta.

La Suprema Corte, nella sentenza in esame, conferma la mancata riferibilità alle indagini bancarie delle garanzie richieste dalla contribuente, ma rileva l'ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario e un obbligo generale del giudice di analizzare gli argomenti di prova presentati dalla parte.

La posizione assunta risulta condivisibile nei contenuti in quanto afferma principi generali e valori indiscussi del processo tributario. Con riguardo alle indagini finanziarie, invece, il quadro fornito dalla Corte di Cassazione evidenzia un assetto evidentemente poco garantista, ancora disallineato dai valori generali della collaborazione e della trasparenza.

La questione

La disciplina delle indagini creditizie e finanziarie e il caso di specie

Come noto, la disciplina delle indagini creditizie e finanziarie - contenuta negli artt. 32 e 33 del d.P.R. n. 600/1973 - regola attualmente la possibilità in capo all'organo investigativo di acquisire dati e informazioni in relazione ai rapporti intrattenuti tra il contribuente e gli istituti di risparmio e di investimento attraverso l'esercizio di poteri istruttori tipici previsti dai suddetti articoli.

L'attuale disciplina delle indagini bancarie costituisce l'esito di una evoluzione storica importante, nel corso della quale si è superata l'intangibilità del segreto bancario (La legge delega del 1971 (L. n. 825/1971) sanciva il segreto bancario e rendeva l'utilizzo delle indagini bancarie controllato ed eccezionale. La conoscenza del contenuto dei conti bancari era subordinata alla realizzazione di presupposti formali e sostanziali e ad una autorizzazione dell'Ispettorato compartimentale delle imposte dirette competente per territorio e del Presidente delle Commissioni tributarie di I grado. Cfr. Tabet, Fisco e segreto bancario: profili procedimentali, in Boll. trib. inf., 1986, 129; Schiavolin, Segreto bancario, dir. trib., in Dig. disc. priv., sez. comm., XIII, Torino, 1996, 355; Bosello, Le deroghe al segreto bancario nei rapporti tributari, in Giur. imp., 1982, 903; Russo, Questioni vecchie e nuove in materia di operatività del segreto bancario in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 1991, 81.) e si è gradualmente definito un assetto permeabile al Fisco nel quale la necessità di acquisire determinati dati e informazioni ha assunto una importanza determinante per una efficace ricostruzione della ricchezza imponibile (In via generale sulla disciplina delle indagini creditizie e finanziarie, D. Carta, L'istruttoria tributaria sui dati finanziari, Napoli, 2019, 113; Cedro, Le indagini fiscali sulle operazioni finanziarie e assicurative, Torino, 2011; passim; R. Miceli, L'attività istruttoria tributaria, in Diritto tributario, a cura di A. Fantozzi, Torino, 2012, 650).

La disciplina attuale prevede singoli atti istruttori che possono essere esercitati soltanto in presenza di una preventiva autorizzazione amministrativa (attualmente l'utilizzo di ogni tipo di potere istruttorio, attinente alle indagini finanziarie, è infatti subordinato ad una preventiva autorizzazione amministrativa, del Direttore centrale dell'accertamento o del Direttore regionale dell'Agenzia delle entrate per i funzionari amministrativi ovvero del Comandante regionale per la Guardia di finanza) e che si esprimono nella possibilità di consultare l'Anagrafe tributaria, di rivolgere una richiesta di informazioni ai contribuenti o agli enti creditizi e finanziari, di effettuare un accesso presso gli enti creditizi e finanziari in presenza di specifici presupposti.

Tuttavia l'elemento che rende le indagini in esame molto efficaci nella realtà operativa è riconosciuto nella presunzione di versamenti e di prelevamenti, contenuta nell'art. 32, comma 1, n. 2).

L'acquisizione dei dati finanziari consente all'organo procedente di utilizzare tali risultanze nella ricostruzione del presupposto di imposta; tale ricostruzione è supportata da una particolare previsione che ammette in presenza di dati rinvenuti nei conti (versamenti e prelevamenti) e non giustificati dal contribuente di desumere in modo automatico l'esistenza di un reddito imponibile non dichiarato. La norma contiene, secondo l'opinione dominante della giurisprudenza e della dottrina, una presunzione legale relativa che produce l'effetto di invertire l'onere della prova in capo al contribuente, chiamato a dover dimostrare che le somme rinvenute sono state considerate nella determinazione del reddito imponibile o non hanno rilievo in tal senso (In tal senso, Cost. 225/2005; Cost. 228/2014; Cass. 6906/2011; Cass. 23852/2009. A favore di questa ricostruzione, Schiavolin, Appunti per una nuova disciplina delle indagini bancarie, in Riv. dir. trib., 1992, I, 40; Cordeiro Guerra, Questioni aperte in tema di accertamenti basati su dati estrapolati dai conti correnti bancari, in Rass. trib., 1998, 561; Cipolla, La prova tra procedimento e processo tributario, Milano, 2005, 155).

Si tratta di una disposizione molto rigorosa e ampiamente discussa, oggetto di alcuni interventi da parte della Corte Costituzionale che ha difeso il contenuto di tale disciplina, limitandosi a correggere gli aspetti meno garantisti e più controversi (Cfr. Cost. 228/2014; Corte Cost. 225/2005. Sul tema Boria, Un leading case della Corte Costituzionale in materia di presunzioni bancarie; in Riv. dir. trib., 2014, II, 228; G. Fransoni, Il coraggio della Consulta, il valore indiziario dei prelevamenti bancari e il principio di Al Capone, in Riv. dir. trib., 2014, 260; id., La presunzione di ricavi fondata sui prelevamenti bancari nell'interpretazione della Corte Costituzionale, in Riv. dir. trib., 2005, I, 967).

Nel caso in esame si è proceduto all'acquisizione di una copia dei conti, ad una richiesta di chiarimenti verso la contribuente, all'emanazione di un avviso di accertamento fondato sulla presunzione di versamenti ex art. 32, comma 1, n. 2.

Nel corso dell'istruttoria e poi durante il processo la contribuente, come anticipato, ha presentato diversi documenti e una dichiarazione di terzo.

Il materiale fornito dalla contribuente a sua difesa non è stato valutato in quanto ritenuto generico e poco circostanziato nella sua totalità. La suddetta dichiarazione invece è stata reputata non utilizzabile nel processo tributario sulla base della argomentazione che non è ammessa la prova testimoniale.

Nel corso dei diversi gradi di giudizio ed anche in sede di legittimità la contribuente ha lamentato la mancata applicazione delle garanzie previste in materia di indagini tributarie, effettuando una articolata difesa basata sulla necessaria applicazione dell'art. 12 della L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente) e sulla non riferibilità della presunzione di versamento al caso di specie.

Le ampie ed approfondite difese hanno pertanto imposto alla Corte di Cassazione di effettuare un punto generale sul tema.

La soluzione giuridica

La conferma dell'indirizzo dominante sulle garanzie nelle indagini creditizie e finanziarie

La sentenza in esame definisce un quadro generale delle garanzie in materia di indagini bancarie, affrontando le note questioni della riferibilità a tali indagini dell'art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000) e dell'ambito di applicazione della presunzione di versamenti e di prelevamenti.

Dalla ampia disamina rimane escluso solo il tema della autorizzazione alle indagini creditizie e finanziarie, anch'esso oggetto di un importante dibattito interpretativo finalizzato ad un recupero in termini di garanzia del ruolo dell'autorizzazione stessa nell'ambito delle indagini in esame (si rinvia a R. Miceli, Autorizzazione alle indagini finanziarie: la giurisprudenza di legittimità nega ogni tutela al contribuente, in Giurisprudenza tributaria, 2015, 698).

Il primo principio che viene espresso è relativo alla mancata riferibilità dell'art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente alle indagini creditizie e finanziarie, confermando in questo modo l'indirizzo interpretativo che valorizza il dato formale della disposizione, testualmente rivolta alle sole indagini presso l'attività imprenditoriale o professionale del contribuente attraverso l'esercizio dei poteri di accesso, ispezione e verifica (cfr. Cass. 24636/2017; Cass. 17426/2016; Cass. 21391/2014).

In tal senso soltanto queste ultime indagini sono destinatarie dell'applicazione della suddetta norma in base alla quale è previsto un diritto del contribuente di essere informati sulle ragioni e sull'oggetto della verifica, un dovere dei verificatori di redigere un verbale delle operazioni compiute e un obbligo in capo alla Amministrazione procedente di attendere il decorso del termine dilatorio di 60 giorni prima di emettere l'avviso di accertamento nel corso del quale si configura un diritto del contribuente a difendersi presentando memorie.

La Corte di Cassazione afferma che nel caso in esame, ove si era realizzata un'indagine esclusivamente articolata nell'acquisizione di copia dei conti e nell'invio di un questionario alla contribuente, non si configura la fattispecie per l'applicazione della suddetta disciplina e comunque nessun dovere di espletare un contraddittorio endoprocedimentale. Il contradittorio nel corso delle indagini sui dati finanziari è considerato facoltativo.

Su tale ultimo punto la Corte di Cassazione è granitica da anni (cfr. Cass. 4581/2018; Cass. 10767/2014, Cass. 1682/2013; Cass. 14026/2012; Cass. 16874/2009; Cass. 25142/2009; Cass. 20268/2008).

Il riconoscimento di un diritto di difesa nella fase delle indagini creditizie e finanziarie è un tema di notevole importanza e ampiamente sostenuto dalla dottrina. Si tratta pertanto di una questione generale che travalica il contenuto dell'art. 12, comma 7, dello Statuto che assumerebbe nel caso di specie soltanto la funzione di paradigma normativo di riferimento per la disciplina procedimentale.

In altre parole, è lo stesso art. 32, comma 1, n. 2) che espressamente prevede la necessità di un confronto con il contribuente nel momento in cui l'organo procedente si avvale della presunzione di versamenti o prelevamenti (l'art. 32, comma 1, lett. b) sancisce testualmente che i dati e gli elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni sono posti a base degli accertamenti se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine).

Pertanto il riconoscimento di un diritto al contraddittorio non necessiterebbe di un riferimento all'art. 12, comma 7 che potrebbe assumente soltanto la funzione di individuare la modalità e i tempi di espletamento del contraddittorio stesso.

Il contraddittorio, in tal caso, risulta necessario a controbilanciare una presunzione fortemente gravosa e penalizzante per il contribuente nonchè a rendere più efficace ed efficiente l'azione amministrativa, evitando accertamenti illegittimi o infondati.

Nonostante l'evidenza di tali argomenti, la Corte di Cassazione ribadisce anche in quest'ultima pronuncia che un diritto al contraddittorio con il contribuente non opera nel caso di indagini creditizie e finanziarie, ove prevalgono esigenze di funzionalità degli uffici e di efficienza dell'azione amministrativa.

Il secondo punto oggetto di analisi è quello relativo alla natura e all'ambito di applicazione della presunzione di versamenti. In ossequio alla evoluzione interpretativa della suddetta norma (cfr. Corte Cost. 228/2015; Cass. 1519/2017; Cass.25572/2018.), la Corte precisa che la disposizione sui versamenti è applicabile alla generalità dei contribuenti, mentre quella sui prelevamenti soltanto ai titolari di reddito di impresa, aderendo anche questa volta ad una interpretazione letterale della norma. (In tal senso mentre il primo periodo dell'art. 32, comma 1, n. 2), del d.P.R. n. 600/1973, ha una portata generale in quanto attribuisce rilievo ai dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni bancarie/finanziarie relative a tutti i contribuenti, il secondo periodo della norma stante il riferimento ai “ricavi o compensi” e alle “scritture contabili” si renderebbe applicabile soltanto nei confronti degli imprenditori e degli esercenti arti e professioni. In tal senso Corte Cost. n. 228/2014).

Entrambe le disposizioni contengono una presunzione legale relativa utilizzabile dall'organo procedente senza necessità di ulteriori requisiti (gravità, precisione e concordanza ex art. 2729 c.c.); tale presunzione inverte l'onere della prova e pone in capo al contribuente il gravame della dimostrazione della mancata rilevanza delle somme in ordine alla determinazione del reddito.

Il modo di procedere degli uffici amministrativi - basato sulla automatica applicazione della presunzione in assenza di un confronto difensivo con il contribuente - si conferma quindi corretto anche alla luce di questa pronuncia.

L'ammissibilità e il valore probatorio delle dichiarazioni di terzi

Un elemento centrale nella pronuncia è relativo all'ammissibilità delle dichiarazioni dei terzi e alla loro consistenza probatoria, con riferimento specificamente alla dichiarazione giurata nella quale un soggetto terzo dichiarava di aver donato somme ingenti alla contribuente per far fronte alle spese proprie e della madre.

In materia tributaria la questione della rilevanza delle dichiarazioni dei terzi nel procedimento e nel processo è stata travagliata tanto da richiedere un intervento del giudice delle leggi che esplicasse autorevolmente in che rapporto le dichiarazioni dei terzi si ponevano con il divieto di prova testimoniale ex art. 7, comma 4, d. lgs. 546 del 1992. La Corte Costituzionale ha chiaramente escluso che l'ammissione delle dichiarazioni dei terzi potesse collidere con il divieto di prova testimoniale, legittimando in tal modo la possibilità di utilizzare dichiarazioni rese da terzi sia nel corso del procedimento di indagine, sia del processo, sia a favore dell'Erario, sia a favore del contribuente (Cfr. Corte Cost. 18/2000).

La posizione in esame si rendeva necessaria soprattutto a favore del principio di parità delle armi nel processo tributario, in quanto da sempre nel corso delle indagini l'organo investigativo acquisiva dichiarazioni di terzi nei verbali e pertanto la medesima facoltà doveva essere riconosciuta anche al contribuente (Cfr. Pistolesi, L'efficacia probatoria delle informazioni rese da terzi nel processo tributario, in Corr. trib., 2007, 2363; Colli Vignarelli, La Corte di cassazione si pronuncia ancora in tema di dichiarazioni di terzi, in Boll. trib., 2019, p. 971 e, in particolare, la recente Cass. 24531/2019).

A seguito di questa storica pronuncia le dichiarazioni dei terzi sono state gradualmente ammesse nel processo tributario (Cfr. Cass. 3526/2002; Cass. 16033/2005; Cass. 25104/2008; Cass. 4746/2010; Cass. 7707/2013 in merito alle dichiarazioni di terzi raccolte dai verbalizzanti nel processo verbale di constatazione. Cfr. Cass. 14774/2000; Cass. 4269/2002; Cass. 5957/2003; Cass. 9958/2008 in merito al diritto del contribuente a produrre in giudizio dichiarazioni di terzi; Cass. 3161/2012; Cass. 23523/2018 in merito alla possibilità per il contribuente di opporsi alle pretese degli uffici presentando dichiarazioni di terzi raccolte nelle forme della dichiarazione sostitutiva di atto notorio, tema sul quale si erano registrati alcuni contrasti interpretativi).

Coerentemente con questo percorso interpretativo la Suprema Corte nella sentenza in esame censura l'operato dei giudici di merito e conferma la possibilità in capo al contribuente di utilizzare dichiarazioni di terzi a propria difesa in ossequio ai principi generali di parità delle armi nel processo e di effettività del diritto di difesa. Precisa in tal senso come tali dichiarazioni non possano essere qualificate come una testimonianza, prova orale (costituenda) che si acquisisce nel processo con le garanzie del contraddittorio.

Le dichiarazioni dei terzi possono essere acquisite e sono così destinate ad assumere un valore di argomento di prova. Tali fattispecie saranno valutate con gli altri elementi forniti e concorreranno a formare il convincimento del giudice.

L'obbligo di valutazione delle difese di parte

Con riferimento alla dichiarazione giurata presentata dalla contribuente e agli altri documenti viene definito un generale obbligo di valutazione da parte dei giudici. La Suprema Corte infatti cassa la sentenza, rinviandola alla Commissione tributaria regionale perché valuti accuratamente il materiale presentato.

Nel caso di specie, infatti, la documentazione fornita dalla contribuente a propria difesa è stata sostanzialmente ignorata e qualificata come generica, poco circostanziata e non ammissibile. Questo costituisce un comportamento grave ed altamente censurabile che si pone in contrasto con i principi del nostro sistema processuale.

Tali valutazioni assumono una maggiore gravità con riferimento al contesto analizzato.

Siamo nell'ambito di una disciplina normativa, quella delle indagini creditizie e finanziaria, già di per sé estremamente penalizzante per il contribuente e, come evidenziato, non adeguatamente bilanciata in termini di garanzia e di difesa.

Una disciplina connotata da una presunzione legale che definisce un automatismo argomentativo a favore dell'Amministrazione finanziaria in sede di accertamento, considerato peraltro il fatto che il contraddittorio endoprocedimentale è ritenuto facoltativo.

Alla luce di ciò appare veramente censurabile che non si valutino accuratamente gli argomenti che il contribuente faticosamente propone nelle maglie di un sistema così complesso e che si debba giungere in sede di giudizio di legittimità per ottenere attenzione in merito alle proprie difese.

Osservazioni

La sentenza in esame fotografa il quadro attuale in materia di indagini creditizie e finanziarie, consentendoci di prendere atto, ancora una volta, del disallineamento di tali indagini rispetto ai canoni generali cui dovrebbe ispirarsi l'istruttoria tributaria. Come evidenziato, si confermano le posizioni consolidate che escludono un obbligo di contraddittorio e sottolineano la natura legale relativa della presunzione sui dati bancari e l'ambito di applicazione generale della presunzione di versamenti. In tali aspetti la pronuncia in esame risulta conservativa e non lascia intravedere spazi di evoluzione.

Secondo altra prospettiva la sentenza invoca i principi generali in materia di giusto processo (ex art. 6 CEDU) ed i valori della parità delle armi e dell'effettività del diritto di difesa ed impedisce l'affermazione di precedenti interpretativi antistorici.

Alla luce di ciò la decisione conferma l'ammissibilità delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario e sottolinea con fermezza un obbligo degli organi procedenti di analizzare accuratamente la documentazione fornita dal contribuente nel corso del contenzioso. Si tratta di un importante richiamo alla responsabilizzazione dei giudici e all'effettività del processo tributario.

La pronuncia consente in questo modo di prendere atto di un ulteriore passaggio.

Mentre il procedimento tributario è ancora lontano dai canoni del giusto procedimento, il processo tributario ha superato le risalenti difficoltà e compie dei passi importanti verso l'affermazione dei principi del giusto processo.

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