È annullabile la delibera viziata da un errato criterio di ripartizione delle spese per lavori straordinari
07 Ottobre 2020
Massima
In tema di condominio, la delibera avente ad oggetto l'errato criterio di riparto di spese condominiali rientra nell'alveo del vizio di annullabilità, e non del sindacato della nullità, sicchè va impugnata nei termini di decadenza ex art. 1137, comma 3, c.c. Il caso
Un condomino impugnava una delibera condominiale, con ricorso, e non con atto di citazione (artt. 163 ss. c.c.) e veniva fissata prima udienza di comparizione e trattazione, ex art. 183 c.p.c., convenendo in giudizio il condominio del proprio stabile per dichiarare la nullità dell'atto collettivo in virtù dell'imputazione illegittima di una quota di spese per i lavori straordinari afferenti la zona box/garage, su una corsia di manovra coperta, non utilizzata da tale condomino, non prima di avere espletato, con esito negativo, il procedimento di media-conciliazione. Si costituiva il convenuto-condominio, nei termini di legge, il quale eccepiva l'infondatezza dell'assunto di parte attrice, poiché i motivi di impugnativa erano da considerarsi tardivi e, pertanto, l'impugnativa a delibera condominiale doveva formularsi nei termini di cui all'art. 1137 c.c., poiché l'oggetto della materia atteneva ad un motivo di annullamento della deliberazione (errato criterio di ripartizione) e non di nullità. La causa non veniva istruita, poiché di natura documentale, il magistrato riteneva la causa matura per la decisione, rinviando la stessa all'udienza per la precisazione delle conclusioni, ed a tale udienza introitava la causa per la decisione, con assegnazione dei termini per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica, ex art. 190 c.p.c. Il Tribunale siciliano rigettava sia la domanda dell'attore, sia l'eccezione preliminare di tardività dell'impugnativa a delibera condominiale formulata dal convenuto e compensava le spese processuali. La questione
Si trattava di accertare e verificare se fossero presenti, al caso posto all'attenzione del Tribunale competente, i motivi di nullità dell'impugnata delibera condominiale e la questione pregiudiziale sollevata in ordine al mancato rispetto dei termini di decadenza dei trenta giorni per tale impugnativa. Tali aspetti sono stati esaminati dal giudicante, che ha rigettato la domanda di parte attrice ed anche l'eccezione pregiudiziale del convenuto, con compensazione delle spese processuali. Le soluzioni giuridiche
In linea di principio, è stata ritenuta corretta l'affermazione contenuta nella pronuncia del Tribunale catanese, in sede monocratica, secondo cui è stata dichiarata l'infondatezza dei motivi di impugnativa a delibera condominiale poste in essere dall'attore-condomino, con compensazione delle spese processuali. Il giudice ha esaminato, in via pregiudiziale, l'eccezione sollevata dal convenuto-condominio in ordine alla tardività dell'impugnativa alla delibera condominale, ritenendo che fosse una fattispecie rientrante nell'alveo dell'annullabilità e non del sindacato di nullità (Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n.4806; Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n.1439). Tale questione pregiudiziale è stata rigettata dal decidente, ritenendo tempestivo il ricorso - il giudizio non era stato, infatti, introdotto con atto di citazione - proposto dal condomino-attore, perché erano stati rispettati i trenta giorni prescritti dalla legge, dall'espletamento del preliminare procedimento di mediazione, con iscrizione a ruolo nei termini. Infatti, la domanda proposta impropriamente dall'attore con il ricorso, invece che con la citazione, è comunque stata ritenuta valida perché presentata al giudice, e non anche notificato, entro trenta giorni previsti dall'art. 1137 c.c. Il magistrato chiariva, altresì, che il caso posto al suo vaglio fosse da considerarsi rientrante nell'ambito dei casi di vizio di annullabilità, poiché afferiva alla ripartizione di spese condominiali per l'esecuzione di lavori straordinari, applicando il criterio previsto dall'art. 1123, comma 1, c.c., posto che le spese di conservazione delle parti comuni, sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive (Cass. civ. sez. II, 21 febbraio 2013, n. 4419). In altri termini, l'art. 1123 c.c., al comma 1, stabilisce che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno”. Dunque, ne consegue che con il rigetto della questione preliminare, il magistrato ha evidenziato nella sua pronuncia che il vizio di nullità della delibera sollevato dall'attore - oggetto della materia del contendere - fosse del tutto infondato. Infatti, le parti dell'edificio che sono destinate ad assolvere una funzione nell'interesse di tutti i condomini (su una corsia di manovra coperta per accedere ai box), rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni (ex art. 1117 c.c.), come ribadito, le cui spese sono ripartirsi con i criteri di proprietà (tabelle millesimali). Pertanto, il ricorrente ha sostenuto la pretesa nullità della delibera basando il tutto (erroneamente), sulla disposizione contenuta nell'art. 1123, comma 2, c.c., secondo cui: “Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne”. Tale convincimento del condomino è infondato, posto che i lavori straordinari deliberati afferiscono tutti i comproprietari dei box, perché le spese relativi all'adeguamento della rampa di accesso ai garages andrebbero ripartite tra tutti i condomini (Cass. civ. sez. II, sez. 27 gennaio 2016, n. 1548). In tal senso, le spese per la conservazione dei beni comuni sono quelle attinenti alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale del detto bene comune; solo allora le spese per la conservazione sarebbero propriamente descritte come obbligazioni propter rem, non rilevando alcun elemento soggettivo nel senso corrente tra l'obbligo di contributo ed il bene, perciò la spesa di conservazione è essenzialmente misurata sulla quota e cioè sulla quantità dell'appartenenza. Le spese per l'uso delle parti comuni, viceversa, derivano dal dato mutevole e fattuale del godimento soggettivo del bene, e perciò si suddividono in proporzione all'utilizzo, indipendentemente dal valore di proprietà; in altre parole, il debito relativo all'uso prescinde dall'attribuzione della res, in quanto non dipende da una predeterminata situazione di con titolarità. In conclusione, i proprietari dei box sono comproprietari pro-quota delle parti comuni per legge e per destinazione, e quindi tutti sono tenuti al pagamento delle spese necessarie per la loro conservazione. Osservazioni
Per la nullità delle deliberazioni condominiali, va considerato il principio, sancito dall'art. 1421 c.c., secondo cui la nullità può essere dedotta in ogni tempo e può essere rilevata d'ufficio, trovando applicazione nell'àmbito del giudizio di impugnazione della delibera condominiale. Il codice civile non distingue tra delibere inesistenti, nulle, annullabili, irregolari, inefficaci ed invalide, tali espressioni sono state, infatti, create dalla dottrina e dalla giurisprudenza. In particolare, la giurisprudenza ha accentrato la sua attenzione sulla distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, distinzione estremamente rilevante sotto il profilo pratico. Spartiacque per la distinzione tra le delibere nulle ed annullabili, in tema di condominio degli edifici è stata la pronuncia della Suprema Corte, a Sezioni Unite 7 marzo 2005, n.4806, la quale confermando la sentenza della Corte di Appello di Roma del 29 aprile 2000, ha tracciato le linee guida per il distinguo, secondo cui, debbono qualificarsi: - Delibere nulle quelle emesse dall'assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, quelle con oggetto impossibile o illecito (contrarie all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume) o che non rientrano nella competenza dell'assemblea, quelle che incidono su diritti individuali dei condomini, sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini. - Delibere annullabili quelle emesse dall'organo deliberativo contenenti vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranze inferiori a quelle prescritte dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione delle prescrizioni legali, convenzionali e regolamentari, attinenti al procedimento della convocazione o di informazione dell'assemblea, nonché quelle che violano norme richiedenti qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. Tale pronuncia della Suprema Corte è stata più volte confermata, sia da sentenze di legittimità che di merito (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2014, n.1439; Cass. civ., sez.VI, 13 febbraio 2013, n.3586; Trib. Torino 1 aprile 2014, n.2396; App. L'Aquila 19 ottobre 2013, n.1035; Trib. Foggia 13 giugno 2012, n. 817). Va, tuttavia, segnalato che, di recente, con ordinanza interlocutoria 1 ottobre 2019, n. 24476, la II Sezione civile della Cassazione ha sollecitato l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di tre questioni, oggetto di contrasto, e segnatamente: a) quale sia il regime dell'invalidità afferente la delibera con cui l'assemblea ripartisca gli oneri condominiali in violazione dei criteri normativi o regolamentari di suddivisione delle spese; b) se, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di oneri condominiali, il limite alla rilevabilità, anche d'ufficio, dell'invalidità delle sottostanti delibere debba, o meno, operare, allorché si tratti di vizi implicanti la loro nullità; c) se il rigetto dell'opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione di contributi condominiali sia idoneo alla formazione del giudicato implicito sull'assenza di cause di nullità delibera sottostante. Per completezza, si evidenzia che il giudizio intrapreso per l'impugnazione della deliberazione condominiale (materia condominiale-annullabilità e nullità), deve essere preceduto dalla procedura di media-conciliazione, così come disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n.28, che regola il procedimento di composizione stragiudiziale delle controversie vertenti su diritti disponibili ad opera delle parti, attuando la direttiva dell'Unione europea n. 52/2008. Con sentenza del 24 ottobre 2012, n. 272, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale parte di tale legge, rendendo facoltativo, e non più obbligatoria la mediazione. Il d.l. 21 giugno 2013, n.69 (decreto c.d. del fare), convertito in l. 9 agosto 2013, n.98, ha ripristinato il detto procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie elencate dall'art.5, comma 1, del d.lgs. n.28/2010, riportando in vigore le norme dichiarate illegittime dalla Corte delle leggi. La mediazione, pertanto, diventava inizialmente obbligatoria sino al 2017, precisamente sino al 22 agosto 2017, per le seguenti materie: condominio, diritti reali, divisione, successione ereditaria, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. Poi la procedura di mediazione è stata istituzionalizzata, nelle predette materie, con l'art.11-ter del d.l. 24 aprile 2017, n.50, inserito in sede di conversione dalla l.21 giugno 2017, n.96. Celeste - Cirla - Cusano - Frivoli - Tarantino, diretto da Celeste, Formulario del condominio, Milano, 2019; Celeste - Chiesi - Di Marzio - Nicoletti, diretto da Celeste, Codice del condominio, Milano, 2018; Celeste, Spese (criteri generali di ripartizione), in Condominioelocazione.it, 2018; Frugoni, Il fondamento e l'applicazione del criterio di ripartizione delle spese condominiali in base all'uso ex art. 1123,2º comma, c.c., in Amministrare immobili, 2015, fasc. 195, 15. |