La responsabilità sanzionatoria del rappresentante di associazione non riconosciuta

16 Ottobre 2020

La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione.
Massima

La responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto. Tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione.

Il caso

La Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 19370 del 17/09/2020, ha chiarito rilevanti profili in tema di responsabilità sanzionatoria del rappresentante di un'associazione non riconosciuta.

Nel caso di specie, l'Amministrazione finanziaria aveva impugnato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia, con cui il giudice di secondo grado aveva accolto l'appello della contribuente e, in riforma della pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale, aveva annullato l'avviso impugnato, per Iva 2003, con cui l'Erario aveva addebitato l'Iva non versata sulla cessione di due canali televisivi, oltre a richiedere i relativi interessi ed irrogare le sanzioni di legge.

L'Agenzia delle Entrate, per quanto di interesse, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 D,Lgs. n. 471/1997 e degli artt. 5 e 11 D.Lgs. n. 472/1997, in combinato disposto con l'art. 2697 c.c, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto la ricorrente, legale rappresentante di un'associazione non riconosciuta, esente da responsabilità per l'omessa presentazione della dichiarazione Iva, e questo nonostante la stessa non avesse fornito prova della propria assoluta mancanza di colpa, non potendo l'esclusione della colpevolezza essere solo presunta.

La questione

La Corte di Cassazione, in tema di sanzioni amministrative per violazioni tributarie, ha statuito, anche di recente (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12901 del 15/05/2019), che, ai fini dell'esclusione di responsabilità per difetto dell'elemento soggettivo, grava sul contribuente, ai sensi dell'art. 5 del D.Lgs. n. 472/1997, la prova dell'assenza assoluta di colpa, con conseguente esclusione della rilevabilità d'ufficio, occorrendo a tal fine la dimostrazione di versare in stato di ignoranza incolpevole, non superabile con l'uso dell'ordinaria diligenza.

Con particolare riferimento alla fattispecie in esame, peraltro, nella quale veniva in rilievo anche il disposto dell'art. 38 cod. civ., che stabilisce la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, la stessa Corte ha poi già precisato (Cass. Sez. V, Sentenza n.25650 del 15/10/2018) che questa non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l'ente ed i terzi.

E sempre la Cassazione ha altresì precisato, al riguardo, che tale responsabilità non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia "ex lege", assimilabili alla fideiussione (cfr., ex plurimis, Cass.civ., sez. III, 24 ottobre 2008, n. 25748 e Cass. civ., sez. III, 29 dicembre2011, n. 29733).

D'altro canto, la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, è volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell'ente, con le esigenze di tutela dei creditori (che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone), e trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente (cfr., Cass., sez. V, 12 marzo 2007, n. 5746).

Le soluzioni giuridiche

Tanto premesso, secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, ne conseguiva che chi invoca in giudizio tale responsabilità, nella specie l'Amministrazione Finanziaria, aveva l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente (cfr., Cass., sez. III, 14 dicembre 2007, n.26290 e Cass., sez. III, 24 ottobre 2008, n.25748).

Il principio della responsabilità solidale, ex art. 38 cod. civ., di coloro che agiscono in nome per conto dell'associazione non riconosciuta, ponendo in essere, a prescindere dalla rappresentanza formale dell'ente, la concreta attività negoziale riferibile all'associazione stessa, è stato, del resto, espressamente ritenuto applicabile dalla Cassazione anche ai debiti di natura tributaria (v. Cass., sez. V, 17 giugno 2008, n. 16344 e Cass., sez. V, 10 settembre 2009, n.19486), pur senza trascurare, tuttavia, una caratteristica fondamentale che connota tali obbligazioni.

La Corte ha infatti in proposito rilevato che il principio in questione non esclude che per i debiti d'imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma "ex lege" al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato.

E ciò nondimeno, il richiamo all'effettività dell'ingerenza, implicito nel riferimento all'aver "agito in nome e per conto dell'associazione", contenuto nell'art. 38 cod. civ., vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura, essendo dunque, come anche nel caso in giudizio, sempre necessario accertare se e in che misura il contribuente oggetto di accertamento abbia concretamente svolto attività di amministrazione.

Con prova, come detto, a carico dell'Amministrazione finanziaria.

Osservazioni

In conclusione, come visto, la responsabilità personale e solidale, prevista dall'art. 38, comma 2, c.c. per colui che agisce in nome e per conto di associazione non riconosciuta, non è in sostanza collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale effettivamente svolta per conto di essa (cfr. anche Cass., Ordinanza n. 1489 del 21/01/2019).

In tali casi è dunque necessario che di tale circostanza venga fornita prova da parte dell'Amministrazione, non essendo a tal fine sufficiente nè la mera rappresentanza dell'associazione, né la conoscenza della gestione economico finanziaria dell'associazione e neppure la partecipazione alla riunione del consiglio direttivo per l'approvazione del rendiconto.

La responsabilità di colui che agisce in nome e per conto dell'associazione non concerne, dunque, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione.

Tale responsabilità trascende, pertanto, la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale, ricollegandosi invece alla concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente.

Muovendo dal criterio funzionalistico, il dato fattuale della gestione sociale deve quindi prevalere sulla qualifica formalmente rivestita, privilegiando il concreto espletamento della funzione.

Tale conclusione trova del resto conferma anche sul piano normativo nell'art. 2639 c.c., che dispone per i reati societari previsti dal codice civile l'equiparazione al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge di chi esercita in materia continuativa e significativa i poteri tipici inerenti alla qualifica o funzione.

Sebbene dettata in materia di reati societari, tale norma è stata infatti ritenuta la codificazione di un principio generale applicabile anche ad altri settori dell'ordinamento, così come in campo civile e tributario.

Questo assume peraltro rilevanza determinante anche nel caso dei cosiddetti prestanome o amministratori di fatto.

Non che questo “liberi” l'amministratore di diritto, che resta comunque solidalmente responsabile con quello di fatto, laddove, il prestanome, che, accettando la carica ha anche accettato i rischi ad essa connessi, si espone comunque alle conseguenze dell'operato dei gestori reali e dunque alla possibilità che questi pongano in essere, attraverso il paravento loro prestato con la carica ricoperta, attività non legali, e questo anche in base alla posizione di garanzia di cui all'art. 2392 cod. civ., in forza della quale l'amministratore deve conservare il patrimonio sociale ed impedire che si verifichino danni per la società e per i terzi (cfr., Cass. 26 gennaio, 2006 n. 7208; Cass., n. 47110 del 19/11/2013).

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