Clausola compromissoria e decreto ingiuntivo

28 Ottobre 2020

Il Tribunale di Lecce conferma la giurisprudenza prevalente in ordine alla competenza del solo giudice ordinario ad emettere decreti monitori pur in presenza di una clausola compromissoria. Con l'opposizione dell'ingiunto, che sollevi la excepio compromissi, tuttavia, cessa detta competenza e il decreto ingiuntivo viene dichiarato nullo.
Massima

L'esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, posto che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l'emissione di provvedimenti inaudita altera parte e attesa la non rilevabilità d'ufficio del difetto di competenza. In sede di opposizione ex art.645 c.p.c., se il debitore ingiunto eccepisca la competenza arbitrale, si verificano i presupposti fissati nel compromesso, venendo quindi a cessare la competenza del giudice ordinario, il quale, accertata l'esistenza di una valida clausola compromissoria, non potrà che dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo e rimettere la controversia al giudizio degli arbitri.

Il caso

Il Tribunale di Lecce è stato investito dell'opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto da un'impresa nei confronti di un condominio per conseguire il parziale pagamento del corrispettivo avente titolo in due diversi contratti di appalto per l'esecuzione di interventi edilizi sulle parti comuni.

Con riferimento ad uno dei due contratti il condominio opponente eccepiva, preliminarmente alla contestazione di vizi e difetti, la presenza, nel contratto di appalto, di una clausola arbitrale.

L'impresa di costruzione, dal canto suo, ribatteva come, in difetto di contestazioni in ordine alla esecuzione dei lavori nella fase stragiudiziale, la clausola arbitrale non fosse applicabile.

Espletata l'istruttoria, il Tribunale ha accolto la exceptio compromissi e revocato il decreto monitorio, dichiarando la propria incompetenza limitatamente al contratto per il quale l'eccezione era stata sollevata.

La questione

La vicenda sottoposta all'esame del Tribunale salentino riguarda, in particolare, l'opposizione a decreto ingiuntivo fondata sull'operatività della clausola compromissoria contenuta nel contratto intercorso tra le parti e analizza diverse questioni collegate all'argomento.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, si evidenzia la natura di eccezione di parte del rilievo dell'esistenza di una clausola compromissoria; le conseguenze della non rilevabilità ufficiosa e il valore di rinuncia implicita attribuita al mancato rilievo.

Sull'interpretazione della convenzione di arbitrato, il Tribunale richiama la costante giurisprudenza - cui il giudicante aderisce - anche in ordine ai rapporti specifici tra la tutela monitoria e la clausola compromissoria che non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere il decreto ingiuntivo, ma mantiene però ferma la competenza del collegio arbitrale in caso di opposizione.

Rimane, infatti, nella facoltà dell'intimato eccepire l'improponibilità della domanda dinanzi al giudice dell'opposizione ed ottenere la declaratoria di nullità del decreto ingiuntivo. Se tempestivamente proposta, come nel caso in esame, l'eccezione impone al giudice la declaratoria di nullità (e quindi improponibilità) del decreto monitorio e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5265; nella giurisprudenza di merito, Trib. Palermo 14 marzo 2013; Trib. Nola13 marzo 2007; Trib. Bari 20 febbraio 2006; Trib. Padova 30 maggio 2005).

In un breve passaggio, il Tribunale di Lecce affronta il tema della “natura” dell'eccezione di compromesso che viene sollevata dal condominio opponente solo con riferimento all'ultimo, in ordine di tempo, dei due contratti di appalto azionati in sede monitoria.

Con riferimento al primo contratto, il giudice rileva come la parte opponente non avesse tempestivamente formulato alcuna eccezione di incompetenza ritenendo, quindi, “la medesima oggetto di implicita rinuncia”.

In effetti, l'exceptio compromissi è eccezione in senso stretto - come precisa anche di recente la Suprema Corte - avente natura processuale, non rilevabile d'ufficio, in quanto di natura non funzionale, quantomeno nelle ipotesi in cui oggetto della clausola compromissoria e/o del compromesso non sia una controversia inerente a diritti non disponibili, ma solo dalla parte, in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto (o l'opponente ex art.645 c.p.c.) non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza: “l'art. 819-ter c.p.c. assoggetta l'eccezione di arbitrato al medesimo regime previsto per quella d'incompetenza, stabilendo che essa dev'essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta e precisando che la mancata proposizione dell'eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio; la mancanza di una specifica indicazione in ordine al termine entro cui l'eccezione deve essere sollevata impone di fare riferimento alla disciplina generale dettata dall'art. 38 c.p.c., il quale dispone che l'incompetenza, tanti per materia quanto per valore o per territorio, dev'essere eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata” (Cass.civ., sez.VI, 6 novembre 2015, n.22748; Cass. civ., sez. un., 20 gennaio 2014, n.1005; v. anche Trib. Firenze 16 marzo 2018, n. 814).

La decadenza dalla proposizione tempestiva dell'eccezione comporta il radicamento presso il giudice adito del potere di decidere in ordine alla domanda proposta (così anche Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153, che ha ribadito la natura non negoziale ma giurisdizionale del lodo rituale e, quindi, del relativo arbitrato).

La rinuncia implicita ad avvalersi della clausola arbitrale si è avuta anche nel caso esaminato dal Tribunale di Lecce.

L'ingiunzione, infatti, era fondata anche su altro contratto di appalto, per una piccola parte di ulteriori lavori. Il condominio per esso non ha sollevato l'eccezione di incompetenza, con ciò rinunciando di fatto a sottoporre la controversia, per questa parte, agli arbitri.

Osservazioni

Sulla portata della rinuncia, la giurisprudenza ha precisato, poi, che va distinta la rinuncia a sollevare la specifica eccezione nella singola controversia dalla rinuncia - più generale - alla compromettibilità in arbitri della controversia: quest'ultima abdicazione va esplicitamente formulata e non è desumibile neanche in conseguenza dell'eventuale proposizione di una domanda riconvenzionale (domanda che presupporrebbe la competenza del giudice avanti il quale è formulata) o dell'instaurazione di altra e distinta controversia in relazione allo stesso rapporto: “non si è in presenza di alcuna rinuncia (tacita e meno che mai espressa) da parte dell'opponente alla compromettibilità in arbitri dell'odierna controversia né con riferimento alla proposizione di domanda riconvenzionale in questo giudizio né, a maggior ragione, con riferimento ad altre iniziative giudiziarie dell'attrice nei confronti del medesimo convenuto”.

Sul punto si veda anche Trib. Roma 28 settembre 2015, n. 19215, con richiami a Cass.civ.,sez.II, 20 febbraio 2015, n. 3464: “In tema di arbitrato, la clausola compromissoria è riferibile a tutte le controversie civili o commerciali attinenti a diritti disponibili nascenti dal contratto cui essa accede, sicché la rinunzia ad avvalersene in occasione di una controversia insorta tra i contraenti non implica, di per sé, una definitiva e complessiva abdicazione alla stessa in relazione ad ogni altra controversia, a meno che le parti - con accordo la cui validità presuppone il rispetto della condizioni di forma e di sostanza proprie di un patto risolutivo degli effetti del patto compromissorio - non abbiano rinunziato definitivamente alla clausola compromissoria nel suo complesso”.

Il Tribunale rappresenta come il tenore della clausola compromissoria che rimetteva agli arbitri “qualsiasi controversia inerente l'interpretazione e l'applicazione” del contratto di appalto non poteva che involgere anche il contenzioso relativo al pagamento del corrispettivo giacchè, si legge, “il vaglio della fondatezza della richiesta di pagamento del corrispettivo, siccome postulante la verifica dell'esatto adempimento delle previsioni negoziali, ricade, con tutta evidenza, nel novero delle controversie sottoposte all'intervento degli arbitri”.

Sul punto, va rilevato che il contratto di appalto oggetto dell'esame del Tribunale pugliese, e la relativa convenzione di arbitrato, risultano stipulati in data 3 settembre 2012, quindi, in epoca successiva al 2 marzo 2006, data di entrata in vigore dell'art. 808-quater c.p.c. (“Interpretazione della convenzione d'arbitrato”), introdotto dall'art. 20 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 che sul tema ha fugato ogni dubbio.

La norma, infatti, non ha carattere innovativo, essendosi limitata a recepire il diritto vivente scaturente da un orientamento di legittimità già diffuso al momento della sua emanazione, secondo il quale ogni possibile controversia che trovi la propria origine in pretese aventi causa in un determinato contratto cui abbia acceduto la clausola compromissoria, in mancanza di espressa volontà contraria, ricade nell'ambito di operatività della convenzione di arbitrato (così anche Cass.civ., sez.I, 22 dicembre 2005, n.28485; Cass.civ.,sez.II, 20 giugno 2011, n.13531 e, più di recente, Cass.civ.,sez.III, 31 ottobre 2019, n.28011, quest'ultima con riferimento all'interpretazione delle clausole compromissorie stipulate prima della entrata in vigore del d.lgs. n. 40/2006).

Pertanto, il Tribunale pugliese mostra di dare applicazione al principio, in ordine alla generale interpretazione estensiva della clausola compromissoria che, nel dubbio, va letta nel senso di ascrivere alla competenza arbitrale tutte le controversie che si riferiscono a pretese aventi la causa petendi nel contratto cui detta clausola è annessa.

Del resto, nelle clausole in cui i compromittenti indicano le liti da devolvere ad arbitri con riferimento a determinate fattispecie astratte, quali ad esempio la “interpretazione” e la “applicazione” del contratto, la portata della convenzione arbitrale va ricostruita sulla base della comune volontà dei medesimi e dei criteri, anzitutto, di cui all'art. 1362 c.c. In particolare gli istituti giuridici richiamati dalla clausola - interpretazione ed applicazione del contratto - sono di tale ampiezza da rendere errata, secondo i canoni interpretativi di cui all'art. 1362 citato, la limitazione dell'ambito della clausola in modo da escludere la pronuncia di condanna. Peraltro, già prima della innovazione normativa (art. 808-quater c.p.c) si evidenziava come un'interpretazione restrittiva della clausola avrebbe comportato la necessità di adire due diversi organi (arbitro e giudice) per la decisione di questioni strettamente collegate tra loro, con una dilatazione dei tempi di giudizio e possibilità di decisioni contrastanti (Cass. civ., sez.VI, 22 ottobre 2018, n. 26553).

Il Tribunale di Lecce ha riconfermato che il contemperamento del principio in base al quale la clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, con il regime di cui alla clausola stessa (id est “non rilevabilità d'ufficio della incompetenza”), comporta che il giudice ordinario deve emettere il decreto ingiuntivo richiesto da una delle parti: grava, poi, sul debitore ingiunto l'onere di sollevare, nell'atto di citazione introduttivo del giudizio di opposizione, l'exceptio compromissi, rilevando l'improponibilità della domanda (in caso di arbitrato irrituale) o il difetto di competenza del giudice statale (in caso di arbitrato rituale), entrambe non rilevabili d'ufficio, ma sempre e solo su eccezione (in senso stretto) della parte interessata (tra le molte, v. ad esempio Cass. civ., sez. I, 9 luglio 1989, n. 3246; Cass. civ., sez. I, 28 luglio 1999, n. 8166; Cass. civ., sez. I, 30 maggio 2007, n. 12684; Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5265).

Pertanto, una volta eccepita, come nel caso all'esame del Tribunale di Lecce, la competenza arbitrale (in caso di arbitrato rituale), si verificano, a seguito della contestazione del credito, i presupposti fissati nel compromesso e viene a cessare la competenza del giudice ordinario, il quale, accertata la esistenza di una valida clausola compromissoria, deve dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo e rimettere la controversia al giudizio degli arbitri (nella giurisprudenza di legittimità, v., ex multis, Cass. civ., sez. un., 21 settembre 2018, n. 22433; per la giurisprudenza di merito v. Trib. Imperia 4 febbraio 2019; Trib. Modena 14 gennaio 2019; Trib. Milano 18 maggio 2018; Trib. Treviso 3 novembre 2016; Trib. Torino 10 febbraio 2016).

Tanto si ricava dall'inequivoco disposto dell'art. 819-ter c.p.c. - introdotto dall'art. 22 del d.lgs. n. 40/2006 - che, nel regolare i “rapporti tra arbitri ed autorità giudiziaria”, assoggetta, tra l'altro, al regolamento di competenza ex artt. 42 e 43 c.p.c., “la sentenza con la quale il giudice” abbia affermato o negato “la propria competenza in relazione a una convenzione d'arbitrato”.

Il decreto monitorio, emesso nonostante l'esistenza della clausola, va revocato attesa la “incompetenza” del giudice emittente a decidere nel merito la questione sottoposta al suo esame (Cass. civ., sez. un., 21 settembre 2018, n. 22433; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 2016, n. 8690; Cass. civ., sez. I, 23 ottobre 2015, n. 21666; Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2011, n. 5265; con riguardo all'arbitrato irrituale, Cass.civ., sez. un., 30 settembre 2016, n. 19473 e, per il merito, Trib. Milano n. 5450/2018).

Il principio è stato ribadito anche dall'ordinanza della Suprema Corte n. 21550 del 18 settembre 2017, con la quale, a Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza di un difetto di giurisdizione del giudice ordinario nazionale in presenza di una clausola compromissoria internazionale, fondando il proprio ragionamento sulla natura propria dell'execeptio compromissi, ha confermato che la previsione di una clausola compromissoria non esclude il ricorso al procedimento monitorio per l'ottenimento del decreto ingiuntivo, dal momento che “il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza”.

Le conclusioni del Tribunale di Lecce sono largamente condivise dalla dottrina e giurisprudenza e variamente supportate.

Nella pronuncia in esame, il giudicante fa propria la motivazione fondata sulla stessa disciplina del processo arbitrale, che non consente al giudice laico l'adozione di provvedimenti inaudita altera parte o, più in generale, a carattere sommario (Cass. civ., sez. un., 21 settembre 2018, n. 22433, cit.; App. Reggio Calabria 8 gennaio 2019; Trib. Milano 18 maggio 2018, cit.; Trib. Roma 15 febbraio 2018; Trib. Pordenone 16 maggio 2017).

Gli studiosi della materia hanno proposto ulteriori argomentazioni fondate: sul principio dell'irrilevabilità officiosa, ex art. 819-ter, comma 1, c.p.c., del difetto di potestas judicandi del giudice investito della domanda d'ingiunzione (il quale sarebbe dunque tenuto all'emanazione del provvedimento richiesto pur nella consapevolezza della propria incompetenza); sulla insussistenza, nella fase sommaria del procedimento monitorio, di una controversia caratterizzata dal contraddittorio tra le parti e quindi deferibile alla cognizione degli arbitri (Trib. Modena 14 gennaio 2019, cit.; Trib. Velletri 24 novembre 2009).

La pronuncia in esame offre lo spunto per considerazioni più generali: la rinuncia alla giurisdizione statale, operata con l'adesione al patto compromissorio, riguarda unicamente il processo cognitivo ordinario e non si estende al “procedimento d'ingiunzione” (libro IV, titolo I, capo I del codice di rito) da cui una vera e propria incompetenza degli arbitri ad emettere i decreti monitori.

La tutela arbitrale risulta, infatti, concepita come equivalente della (sola) tutela cognitiva ordinaria: ciò si evince da una serie di indici normativi.

In primo luogo, dalla previsione dell'art. 806, comma 1, c.p.c., che individua il proprium dell'attività degli arbitri nel “decidere una controversia”, e cioè nello svolgimento di un giudizio in forme equivalenti a quelle tipiche dell'ordinaria cognizione regolata dal libro II del codice di rito.

Inoltre, la disciplina della c.d. domanda di arbitrato, quale introdotta dagli artt. 25 e 26 della l. 5 gennaio 1994, n. 25, prevede che il procedimento arbitrale prenda l'avvio mediante «l'atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri»: le disposizioni predette delineano un modello processuale nel quale l'instaurazione del contraddittorio è sempre antecedente alla decisione della causa, diversamente dal procedimento monitorio nel quale manca la vocatio in jus del convenuto.

Ulteriore argomento si può trarre dalla previsione dell'art. 818 c.p.c., che vieta agli arbitri di concedere “sequestri” o “altri provvedimenti cautelari”. La norma non è, invero, applicabile oltre i confini dei provvedimenti sommari in essa specificamente contemplati, ma tuttavia, è espressione di un principio - quello, per cui la funzione arbitrale si esaurisce nel conoscere e nel giudicare, in forme equivalenti a quelle proprie della cognizione ordinaria, in vista di una “decisione” su diritti - che appare incompatibile con la decretazione monitoria.

Come, dunque, l'arbitrato non può porsi quale valida alternativa al processo cautelare, allo stesso modo non compete agli arbitri l'emanazione di provvedimenti ingiuntivi, che, per quanto connotati da decisorietà e idoneità al giudicato al pari delle sentenze, si differenziano da queste ultime proprio sotto il profilo della cognitio (meramente sommaria e parziale) che ne costituisce il fondamento.

Inoltre, l'art. 816 (oggi 816-bis), ultimo comma, c.p.c. fa divieto di provvedimenti incidentali a rilevanza esterna, imponendo agli arbitri di pronunciare ordinanze non soggette a deposito, alle quali perciò non è mai data forza esecutiva o idoneità alla trascrizione o iscrizione (ciò che priva di basi normative, non solo provvedimenti cautelari intrinsecamente esecutivi, ma anche altri provvedimenti anticipatori non cautelari, come quelli monitori o misure incidentali - artt. 186-bis e 186-ter c.p.c. - che tendono mediante accertamento sommario alla anticipazione degli effetti di un titolo esecutivo).

Ancora, appare assai difficile trasporre nell'arbitrato - stante la carenza di poteri coercitivi e cautelari in capo al giudice laico - la disciplina in tema di concessione e sospensione dell'efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo (artt. 642, 648 e 649 c.p.c.).

Tutto ciò induce a concludere che gli arbitri non siano abilitati a concedere provvedimenti monitori essendo riservata l'indicata potestà al giudice ordinario, fino a che - lo abbiamo visto - la parte interessata a reclamare l'efficacia della clausola compromissoria non rivendichi il trasferimento della potestas decidendi agli arbitri.

Guida all'approfondimento

Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile, Roma, 1956, 65;

Bergamini, Clausola compromissoria e tutela monitoria, in Riv. arb., 2012, 61;

Villata, Arbitrato e procedimenti sommari, in Riv. dir. proc., 2013, 889;

Ricci, Commento all'art. 818 c.p.c., in Arbitrato, Commentario diretto da Carpi, Bologna, 2016, 592.

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