Danno da ingiustificata interruzione delle trattative: la ricerca della volontà negoziale quale epicentro della responsabilità pre-contrattuale
30 Ottobre 2020
Massima
In tema di responsabilità precontrattuale, al di là delle puntuazioni fatte per iscritto - le quali, pur essendo utili al fine di valutare il comportamento tenuto dalle parti in relazione al programma di conduzione delle trattative, non sono vincolanti tra le parti poiché non assumono valore contrattuale - oggetto della valutazione del giudice dev'essere il comportamento complessivo tenuto dai contraenti sia antecedentemente alla fase precontrattuale, sia durante le trattative ed anche dopo la loro rottura. Il caso
In data 6/12/2005 due soggetti sottoscrivevano una proposta d'acquisto di un bene immobile. Al momento della sottoscrizione la parte proponente consegnava al futuro venditore la somma in deposito di € 25.000,00, che quest'ultimo si impegnava a restituire nel caso in cui fossero sorti impedimenti tecnici tali da paralizzare la stipula del contratto preliminare. Le stesse parti, poi, si obbligavano a stipulare il contratto preliminare entro e non oltre il 31/12/2005. Il futuro venditore, però, in sede di stipula del contratto preliminare innanzi al notaio incaricato, dopo aver preso atto della presenza di impedimenti tecnici riferibili alla presenza di una pratica di condono edilizio pendente sull'immobile e di alcune difformità non ancora condonate, si rifiutava di stipulare il contratto preliminare e restituiva alla proponente la somma ricevuta a titolo di deposito. La proponente riteneva ingiustificato il rifiuto a stipulare il contratto preliminare da parte del futuro venditore e, pertanto, lo citava in giudizio per il risarcimento dei danni subiti innanzi al Tribunale di Firenze che, con sentenza parziale, accertava la responsabilità del convenuto per l'ingiustificata rottura delle trattative. Avverso la suddetta sentenza parziale proponeva appello lo stesso convenuto innanzi alla Corte di Appello di Firenze che respingeva il gravame. Avverso tale decisione la medesima parte proponeva ricorso per cassazione lamentando, per quel che qui interessa:
La questione
Quali sono i limiti imposti al giudice nella qualificazione della domanda? Quali sono i comportamenti che il giudice deve valutare al fine di accertare la responsabilità precontrattuale delle parti? Quale valore hanno le puntuazioni? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte con la decisione in commento:
Osservazioni
È quasi iperbolico, nella prassi negoziale, che un contratto si concluda con il contestuale incontro della proposta e dell'accettazione,secondo lo schema delineato dall'art. 1326 c.c. L'accordo, infatti, viene spesso raggiunto solo in seguito ad una prolungata fase di trattative, soprattutto ove l'affare implichi la risoluzione di questioni tecniche preliminari (come, nel caso de quo, quelle concernenti la regolarità edilizia dell'immobile), attraverso una dialettica fatta di ipotesi, richieste, rifiuti, concessioni e proposte dei contraenti sui diversi elementi dell'accordo (c.d. formazione progressiva del contratto). Stabilire il momento in cui può dirsi conclusa la negoziazione è di fondamentale importanza - sia nell'ipotesi in cui sia già stato sottoscritto un formale accordo che nell'ipotesi di mancato perfezionamento dello stesso - in quanto dall'individuazione di tale momento si andrà a determinare, in uno scenario rimediale:
Una risalente e minoritaria dottrina proponeva di considerare concluso il contratto quando le parti avessero raggiunto l'accordo sugli elementi astrattamente essenziali ed a prescindere dalla determinazione di quelli “accidentali”. Tale opinione, però, presentava l'evidente limite di avvalersi esclusivamente del criterio della completezza contenutistica, prescindendo da un'indagine sulla volontà delle parti di vincolarsi o meno all'assetto di interessi tracciato. Secondo la dottrina prevalente, invece, ciò che rileva al fine di stabilire in che momento possa considerarsi concluso il contratto è il momento in cui si realizza l'incontro delle volontà, considerando dunque necessario ricostruire l'effettiva volontà delle parti quale manifestata nell'accordo formale (scrittura/documento) ed interpretarla secondo i criteri di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Risulta chiaro, secondo tale opinione, che per folcire la natura di accordo definitivo o di semplice minuta contrattuale un documento contenente una regolamentazione di interessi, occorre che dal documento stesso emerga la mancanza di una volontà negoziale. Così come in dottrina anche in giurisprudenza è discussa l'ammissibilità del c.d. preliminare del preliminare poiché si ritiene che gli accordi prodromici al preliminare siano privi di rilevanza negoziale e che vadano qualificati semplicemente come puntuazioni. L'orientamento giurisprudenziale tradizionale negava infatti la configurabilità di un contratto anteriore al preliminare perché non riteneva meritevole di tutela l'interesse di “obbligarsi ad obbligarsi” e, cioè, promettere ora di obbligarsi nuovamente in seguito, anziché promettere immediatamente. Secondo tale orientamento il preliminare di preliminare sarebbe nullo per difetto originario di causa in quanto vi sarebbe l'assenza di un nuovo contenuto che giustifichi l'utilità di avvalersi di un'ulteriore contratto, realizzando una pleonastica duplicazione del momento obbligatorio (bis in idem). Quindi, secondo tale orientamento, l'unica sequenza possibile sarebbe quella del contratto “preliminare chiuso” seguito dal contratto definitivo, il quale sarebbe poco più che una riproduzione “notarile” del primo (Cass. civ., 2 aprile 2009, n. 8038 e Cass. civ., 10 settembre 2009 n. 19557). Un più recente - ed oramai granitico - orientamento (Cass. civ., SS.UU. 6 marzo 2015, n. 4628; Cass. civ., SS.UU., 17 gennaio 2017, n. 923 e Cass. civ., SS.UU.,5 maggio 2017, n. 11033) invece, sposando il predetto principio della formazione progressiva del contratto, considera ammissibile il c.d. preliminare aperto,nel quale i contraenti fissano solo alcuni elementi del contratto rimettendo ad una successiva fase la regolamentazione degli altri, ritenendo dunque possibile una tripartizione delle fasi che conducono al perfezionamento dell'accordo definitivo (pre-preliminare, preliminare formale, contratto definitivo). Tale tesi della c.d. causa concreta pone in rilievo lo scopo effettivamente perseguito dai contraenti a prescindere dal nomen iuris e/o dalla forma negoziale utilizzata, abbandonando la vetusta concezione della “causa” del contratto intesa solo come “funzione economico sociale del contratto” e del relativo rimedio della nullità abitualmente seguito dalla precedente giurisprudenza. La tesi della causa concreta, infatti:
- il primo (puntuazione) destinato a fissare, senza effetto vincolante, il contenuto del successivo negozio (spesso tale momento si concretizza in una proposta irrevocabile: il proponente offre un corrispettivo per l'acquisto del bene seguito dall'accettazione - o dal rifiuto - del futuro venditore); - il secondo,espressamente previsto, rappresentato dal contratto preliminare formale vero e proprio; - il terzo, costituito dal contratto definitivo, avente la forma solenne dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Tale ultimo orientamento ha finalmente riconosciuto piena validità al preliminare di preliminare quale strumento cui i contraenti possono fare ricorso nell'ambito del progressivo procedimento di formazione del contratto, chiarendo che tale accordo, pur non elevandosi a contratto preliminare, può comunque dar luogo:
Il principale onere cui è chiamato l'interprete, dunque, per quanto sinora osservato, è quello di individuare, nell'ambito della formazione progressiva del contratto,la delimitazione tra i “meri intenti” manifestati nel corso delle trattative e la volontà negoziale vera e propria sui vari elementi dell'accordo. Nella decisione in commento la Suprema Corte ha innanzitutto ribadito, in tema di qualificazione della domanda - richiamando il principio “iura novit curia” di cui all'art. 113 c.p.c. - che tale potere spetta al giudice di merito. In virtù di tale principio, pertanto, il giudice, seppur vincolato all'iniziativa delle parti nella ricostruzione dei fatti, è libero di individuare il diritto da applicare alla stessa fattispecie. Tale principio, là dove eleva a dovere del giudice la ricerca del diritto, si riferisce alle vere e proprie fonti di diritto oggettivo, cioè a quei precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità, dovendosi escludere dall'ambito della sua operatività sia i precetti aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi), sia quelli aventi forza normativa puramente interna (come gli statuti degli enti e i regolamenti interni) (Cass. civ., 20 dicembre 2019, n. 34158). Tale potere, tuttavia, deve essere coordinato con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. che può ritenersi violato solo allorché il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuni degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti (Cass.civ., 13 maggio 2020, n. 8870). La Suprema Corte, successivamente, ha altresì precisato che, per valutare se le parti si siano conformate al dovere di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (in virtù di quanto disposto dall'art. 1337 c.c.), occorre considerare il comportamento da esse tenuto sia prima della fase precontrattuale vera e propria, sia durante le trattative ed anche successivamente alla loro rottura. Ai fini della suddetta valutazione il comportamento delle parti deve essere desunto anche dalle puntuazioni formalmente indicate per iscritto seppur le stesse non abbiano un valore contrattuale in quanto rappresentano una mera dichiarazione d'intenti e, pertanto, non integrino la figura del c.d. preliminare del preliminare che, invece, ricorre, come già osservato:
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