Risarcibilità del danno per canoni non riscossi e risoluzione della locazione

Roberta Nardone
10 Novembre 2020

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte prende posizione in ordine alla risarcibilità in astratto del danno da mancato guadagno in caso di risoluzione della locazione per inadempimento del conduttore, sul presupposto che la mera restituzione del bene potrebbe non essere sufficiente a ristorare la parte rimettendola nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata in mancanza dell'inadempimento della controparte.
Massima

Il locatore, che abbia chiesto ed ottenuto la risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, ha diritto anche al risarcimento del danno per l'anticipata cessazione del rapporto, da individuare nella mancata percezione dei canoni concordati fino al reperimento di un nuovo conduttore. L'ammontare del danno risarcibile costituisce valutazione del giudice di merito, che terrà conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Il caso

Nell'àmbito di un rapporto di locazione commerciale, la conduttrice agiva in giudizio per sentir dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte - a suo dire “colpevole” di non averle fornito la documentazione tecnica necessaria per l'adeguamento del certificato di prevenzione incendi - chiedendone anche la condanna al risarcimento del danno.

La locatrice resisteva, deducendo che era la conduttrice ad essersi resa inadempiente al pagamento dei canoni, per i quali aveva infatti chiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo, opposto.

Riuniti i procedimenti, il Tribunale di Roma rigettava le domande della conduttrice e, dato atto del pagamento parziale dei canoni, revocava il decreto ingiuntivo, condannando l'ingiunta al pagamento delle somme maturate fino alla data di riconsegna formale dell'immobile.

Respingeva, invece, la domanda proposta dalla locatrice a titolo risarcitorio per il pagamento degli ulteriori canoni, maturati e maturandi successivamente al rilascio fino alla scadenza naturale del contratto, originariamente stipulato per sei anni.

Tale ultima domanda trovava parziale accoglimento in appello e l'importo dei canoni dovuti veniva quantificato computando la differenza tra il canone pattuito tra le parti e quello minore ottenuto dalla locazione dell'immobile ad altra società.

La sentenza di appello riceveva l'avvallo della Suprema Corte la quale, aderendo all'orientamento giurisprudenziale prevalente, sanciva la risarcibilità del danno rappresentato anche dai canoni non riscossi dopo lo scioglimento del contratto e maturati fino alla rilocazione e all'eventuale differenza tra il canone originariamente pattuito e quello della nuova locazione.

La questione

La pronuncia in commento affronta la problematica che la stessa Corte definisce della “parametrazione funzionale della pretesa risarcitoria da inadempimento contrattuale”. Ovvero: una volta risoltosi per inadempimento del conduttore un contratto di locazione relativo ad un immobile a seguito di domanda giudiziale proposta dal locatore ed una volta avvenuta la riconsegna dello stesso con corresponsione dei canoni dovuti fino ad essa, conformemente a quanto prevede l'art.1591 c.c., si può configurare, in generale, l'esistenza di un diritto del locatore al risarcimento di un danno derivato dall'inadempimento del conduttore - genericamente garantito dall'art.1453, comma 1, c.c. - commisurato al canone che, se la locazione fosse continuata fino alla sua scadenza convenuta o ex lege, sarebbe stato dovuto dal conduttore quale corrispettivo del godimento dell'immobile fino al termine naturale del contratto, salva l'incidenza dell'art.1227 c.c.?

Il punto nodale è se l'art.1453, comma 1, c.c. attribuisca alla parte che subisce l'inadempimento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione dell'interesse contrattuale positivo (c.d. interesse all'adempimento) ovvero il solo ristoro corrispondente all'interesse contrattuale negativo.

Le due prospettive hanno caratterizzato i due orientamenti che si sono formati sull'argomento.

Una parte della giurisprudenza ha escluso che il locatore possa - in astratto - lamentare un danno per la mancata percezione dei canoni locativi esigibili fino alla scadenza contrattuale, trattandosi di canoni che non avrebbero mai fatto parte del suo patrimonio a causa dell'intervenuta risoluzione, dallo stesso locatore pretesa e scelta (rispetto al mantenimento della locazione). Né - è stato aggiunto - la mancata percezione dei canoni predetti potrebbe essere configurata come mancato guadagno poiché il canone rappresenta il corrispettivo per il godimento del bene e, quindi, l'equivalente della privazione della possibilità di esercitare il godimento dello stesso in via diretta, ripristinato con il rilascio dell'immobile, momento dal quale, quindi, il locatore può nuovamente (direttamente) godere dell'immobile disponendone materialmente a suo piacimento (Cass. civ., sez.VI, 10 dicembre 2013, n.27614, cui da ultimo ha aderito anche Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2017, n.1426).

Si legge nella sentenza di primo grado (Trib. Roma 26 giugno 2014, n. 14370) che la mancata percezione da parte del locatore dei canoni che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza convenzionale “non configura di per sé un danno da perdita subita, né un danno da mancato guadagno, non ravvisandosi in tale mancata percezione una diminuzione del patrimonio del creditore-locatore rispetto alla situazione nella quale egli si sarebbe trovato se non si fosse verificato l'inadempimento del conduttore, stante il carattere corrispettivo del canone rispetto alla privazione del godimento”. Poiché, quindi, la riottenuta disponibilità del bene tiene luogo della sua utilità nella sfera giuridica del locatore, questi null'altro potrà richiedere a titolo risarcitorio: con la riconsegna il locatore viene posto nella condizione di esercitare il godimento sul bene sia in proprio sia conferendolo in locazione o uso a terzi, a titolo oneroso o gratuito.

L'orientamento maggioritario, invece, condiviso dalla sentenza esaminata, riconosce al locatore non inadempiente - “per maggiore coerenza sistematica” - il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute (c.d. interesse contrattuale positivo), detratto l'utile ricavato, o che, con l'uso della normale diligenza, il locatore avrebbe potuto ricavare dall'immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto (in senso conforme, anche Cass. civ., sez.III, 13 febbraio 2015, n.2865).

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ripercorre l'iter argomentativo dei richiamati orientamenti evidenziando come l'art. 1611 del codice del 1865 risolvesse specificamente la questione prevedendo che “nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell'inquilino, questi è obbligato a pagare la pigione pel tempo necessario ad una nuova locazione, ed a risarcire i danni che fossero derivati dall'abuso della cosa locata”.

L'eliminazione della disposizione predetta, non chiarita neanche nella relazione illustrativa al codice vigente, viene ricondotta alla superfluità di una norma ad hoc sui danni risarcibili in caso di risoluzione della locazione per inadempimento del locatore per la cui individuazione sarebbero sufficienti le regole generali in tema di risoluzione e, in particolare, l'art.1453 c.c., con il contemperamento (ignoto al previgente codice) offerto dall'art.1227 c.c. in particolare dal comma 2, con la previsione che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza.

Pertanto, l'art.1453 c.c. sopra richiamato, facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte adempiente al risarcimento dei danni, ricomprende anche quelli da mancato guadagno, giacchè la circostanza che la parte adempiente preferisca chiedere la risoluzione piuttosto che l'adempimento non consente, di per sé, di escludere il risarcimento per equivalente, atteso che la mera restituzione del bene potrebbe non essere sufficiente a ristorare la parte rimettendola nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata in mancanza dell'inadempimento della controparte.

Infatti - seguendo il ragionamento della Corte - il locatore aveva già palesato la scelta di godere indirettamente dell'immobile attraverso la locazione, preferendo tale opzione sia a quella di esercitarvi direttamente un'attività produttiva, sia al non utilizzo e che è stata frustrata dall'inadempimento della conduttrice e dalla successiva risoluzione, privando definitivamente il locatore dei crediti derivanti dal rapporto ormai risoltosi.

Sicchè la riacquisita disponibilità del bene frustrerebbe comunque l'interesse contrattuale positivo del locatore, pari all'incremento patrimoniale netto che la parte non inadempiente avrebbe conseguito dall'esecuzione del contratto, ovvero la scelta a suo tempo operata dal locatore che continuerebbe a subire il pregiudizio derivante dalla risoluzione sino alla successiva rilocazione del bene.

La Corte ribadisce il diritto del locatore ad ottenere il ristoro anche del c.d. interesse contrattuale positivo. Anche cioè di quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute o che, con l'uso della normale diligenza, avrebbe potuto ricavare dall'immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto.

La quantificazione del danno risarcibile - aggiunge la Corte - è valutazione riservata al giudice di merito, da effettuare tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Osservazioni

L'opzione di principio operata dalla Suprema Corte ci appare condivisibile, mentre ci preoccupa il rischio di automatismi risarcitori indotti da una lettura affrettata della decisione in commento che contiene precisazioni fondamentali in punto di prova.

La Corte ha richiamato l'art. 1453 c.c. che, facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte adempiente, che chiede la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, al risarcimento dei danni ricomprende tra i danni “astrattamente” (ci permettiamo di sottolineare) risarcibili anche il mancato guadagno “se e in quanto” - parole della Suprema Corte - “esso costituisca conseguenza immediata e diretta ex art.1223 c.c. dell'evento risolutivo”. Tale pregiudizio si può - sì - individuare nell'incremento patrimoniale netto che la parte non inadempiente avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto e costituisce un danno non automatico, ma “potenziale e futuro la cui concreta risarcibilità postula l'effettività della lesione dell'interesse del creditore all'esecuzione del contratto”, il che comporta che “la mancata percezione di un canone mensile nel periodo successivo al rilascio per effetto della pronuncia risolutiva sia dipesa da causa diversa dalla volontà del locatore di non locare nuovamente l'immobile riservandosene la disponibilità materiale”.

È vero, infatti, che, se il proprietario (o colui che aveva la disponibilità dell'immobile), non consegue l'interesse contrattuale voluto, consistente nella percezione di un canone, si determina un danno che non viene meno per la sola riacquistata diponibilità del bene, occorre pure sempre che si dia prova che detto pregiudizio costituisce conseguenza immediata e diretta, ai sensi dell'art. 1223 c.c., del verificatosi evento risolutivo.

Tale pregiudizio in sostanza, tendenzialmente individuabile nel canone che sarebbe stato ricavabile dal negozio risolto spetta al locatore - diversamente dalla somma (prevista invece ex lege) dall'art. 1591 c.c. e corrispondente alla prosecuzione del pagamento dell'indennità equivalente al canone di locazione fino all'esecuzione effettiva della restituzione del bene ancora occupato dal conduttore - non in modo automatico, occorrendo che il locatore, proprio in quanto creditore del relativo danno, provi che quest'ultimo si sia concretamente realizzato, allegando, prima, e dimostrando, poi, di aver diligentemente e seriamente posto in essere univoche condotte orientate a rilocare l'immobile (ovvero ad alienarlo) e, quindi, ricollocandolo sul mercato, a renderlo nuovamente produttivo.

Infatti, la riottenuta disponibilità del bene da parte del locatore non soddisfa appieno l'interesse economico del locatore che aveva preferito la scelta di immetterlo sul mercato e non utilizzarlo direttamente, ma è anche vero che della non equivalenza tra i due risultati va fornita prova e il danno da mancato guadagno non è automatico ma solo potenziale e futuro. La sua concreta risarcibilità, sulla base del criterio liquido degli introiti non riscossi, postula l'effettività della lesione dell'interesse del creditore all'esecuzione del contratto il che richiede che, una volta ottenuta la disponibilità materiale del bene, il locatore abbia effettivamente rimesso l'immobile sul mercato delle locazioni, non essendo, altrimenti, possibile profilare l'esistenza di un danno che trovi fonte nell'inadempimento del debitore (v. al riguardo anche Trib. Roma 6 marzo 2019, n. 3724).

In applicazione del principio generale che onera la parte creditrice della specifica dimostrazione dell'esistenza del danno si ritiene, quindi, che gravi sul locatore l'allegazione, prima , e l'onere di dimostrare, poi, di avere inutilmente tentato di locare l'immobile ovvero della sussistenza di altre analoghe situazioni pregiudizievoli (come ad es. il reperimento di offerte di locazione meno vantaggiose). Il locatore dovrà, quindi, dare conto dei concreti propositi di utilizzazione dell'immobile, atteso che la relativa dimostrazione, anche in ragione del criterio di vicinanza della prova, non potrà far carico al conduttore.

Diversamente opera, invece, a livello di distribuzione dell'onere della prova, il richiamo all'art. 1227, comma 2,c.c. contenuto anche nella sentenza in commento e che assume rilievo, solo una volta che il locatore abbia adempiuto all'onere probatorio della dimostrazione del danno da mancato guadagno, in ordine alle determinazioni assunte circa l'utilizzo dell'immobile (tali argomentazioni in punto di onere probatorio venivano enucleate già in Cass.civ., sez.III, 14 gennaio 2014, n.530, che, tuttavia, finiva per limitare il danno risarcibile al locatore, a titolo di lucro cessante, al periodo di preavviso previsto per il recesso del conduttore).

Al danneggiante, conduttore, spetterà - come evidenziato nella sentenza in commento - “fornire la prova che il creditore/danneggiato avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento usando l'ordinaria diligenza la relativa circostanza formando oggetto di una eccezione in senso stretto e come tale non rilevabile d'ufficio” (in tali termini, v. anche Cass.civ., sez.III, 27 aprile 2015, n.15750).

Guida all'approfondimento

Amendolagine, Inadempimento e risoluzione anticipata della locazione: quando scatta il diritto al risarcimento del danno, in Corr. giur., 2015, fasc. 6, 757;

Carrato, Risoluzione anticipata del contratto di locazione per inadempimento del conduttore ed onere della prova, in Corr. giur., 2014, fasc. 7, 916.

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