Il riparto di giurisdizione nell'esecuzione tributaria

13 Novembre 2020

Le Sezioni Unite della Cassazione portano a compimento quanto statuito con la precedente sentenza n. 34447/2019, resa in ambito di contribuente sottoposto a procedura fallimentare. In quel caso, la Corte aveva riconosciuto la cognizione del giudice delegato, in sede di formazione dello stato passivo, sulle questioni relative alla sopravvenuta estinzione dell'obbligazione tributaria dopo la notifica della cartella esattoriale. Le Sezioni Unite, con l'ordinanza n. 7822/2020, fissano adesso la cognizione del giudice tributario sui fatti incidenti sulla pretesa fiscale verificatisi fino alla notifica della cartella ovvero fino al pignoramento in caso di notifica invalida della stessa.
Massima

Le Sezioni Unite della Cassazione portano a compimento quanto statuito con la precedente sentenza n. 34447/2019, resa in ambito di contribuente sottoposto a procedura fallimentare.

In quel caso, la Corte aveva riconosciuto la cognizione del giudice delegato, in sede di formazione dello stato passivo, sulle questioni relative alla sopravvenuta estinzione dell'obbligazione tributaria dopo la notifica della cartella esattoriale.

Le Sezioni Unite, con l'ordinanza n. 7822/2020, fissano adesso la cognizione del giudice tributario sui fatti incidenti sulla pretesa fiscale verificatisi fino alla notifica della cartella ovvero fino al pignoramento in caso di notifica invalida della stessa.

Al giudice ordinario spetta invece la cognizione sulle questioni inerenti la legittimità formale del pignoramento, a prescindere dalla notifica della cartella, oltreché la cognizione sui fatti incidenti sulla pretesa azionata verificatisi dopo la notifica della cartella e comunque una volta che l'esecuzione tributaria sia stata avviata.

Il caso

Una società adiva il Tribunale di Roma con ricorso proposto avverso l'agente della riscossione dei tributi, ex art. 57, d.P.R. n. 602/1973 ed artt. 617, comma 2, e 615, comma 2, c.p.c.

La ricorrente, in detta sede, impugnava un atto di pignoramento presso terzi notificatole nel corso del 2017 dall'agente della riscossione ed a carico di una società del “Gruppo Equitalia S.p.a.”, quale terzo debitor debitoris.

Il pignoramento faceva seguito a due cartelle esattoriali notificate nel 2016, e non impugnate, aventi ad oggetto iscrizioni a ruolo a titolo di tributi regionali sulle concessioni di beni demaniali, nonché di canoni demaniali, oltre accessori ed oneri esattivi.

La società rilevava che il soggetto indicato quale terzo pignorato era inesistente, sotto il profilo giuridico, poiché le società del “Gruppo Equitalia” erano state sciolte e cancellate dal Registro Imprese, ex art. 1, comma 1, D.L. n. 193/2016.

In via pregiudiziale, il pignoramento doveva considerarsi improcedibile e/o inammissibile; nel merito, poi, il contribuente eccepiva la illegittimità/nullità del pignoramento, essendo venuti meno i titoli sui quali si fondavano le due cartelle di pagamento.

In particolare, quanto alla prima cartella (anno 2008), l'ente impositore nel liquidare il tributo regionale ometteva di considerare che la società aveva ottenuto il diritto di vedersi rideterminata la base imponibile per gli anni precedenti, con effetti che si sarebbero estesi anche al 2008.

Quanto alla seconda cartella (anno 2015), avente ad oggetto canoni demaniali, non era stato considerato il fatto che l'Amministrazione finanziaria aveva accolto un'istanza di rateizzazione del carico fiscale presentata dal contribuente e che il piano di pagamento era stato regolarmente onorato sino a tale momento.

Il giudice dell'esecuzione sospendeva l'esecuzione: valutata l'inammissibilità dell'opposizione a motivo della illegittimità della notifica delle due cartelle, concedeva termine per proporre reclamo al collegio ovvero per introdurre causa di merito avanti la competente commissione tributaria.

Il contribuente non proponeva reclamo e dava corso al giudizio tributario.

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, rilevato che la società aveva eccepito solo in sede d'impugnazione del pignoramento la sopravvenuta insussistenza della pretesa creditoria, riconosceva la cognizione del foro ordinario.

I giudici tributari rimettevano così gli atti alle Sezioni Unite della Cassazione affinché fosse risolta la questione di giurisdizione sulla controversia in oggetto, ex art. 59, comma 3, L. n. 69/2009. Le Sezioni Unite, con l'ordinanza in esame, hanno rilevato che ai fini della soluzione del conflitto di giurisdizione assume rilevanza l'ordine con il quale le domande siano proposte al giudice ordinario.

Il contribuente aveva domandato, in via pregiudiziale, che fosse accertata la improcedibilità e/o la inammissibilità del procedimento esecutivo, stante l'inesistenza, sotto il profilo giuridico, del terzo debitor debitoris.

Nel merito, la società aveva rilevato la illegittimità e/o nullità dell'atto di pignoramento in ragione della presunta insussistenza della sottostante pretesa tributaria portata dalle due cartelle di pagamento.

La Suprema Corte, nell'introdurre il tema della tutela sulla cognizione e, dunque, della riconducibilità, in tutto o in parte, al foro ordinario delle contestazioni in oggetto, ha preliminarmente richiamato la sentenza additiva n. 114/2018 della Corte Costituzionale.

La questione

La sentenza della Corte Costituzionale n. 114/2018

Il caso esaminato dalla Consulta traeva origine da un giudizio promosso avanti al giudice ordinario avente ad oggetto l'opposizione alla riscossione pure attuata in forma di pignoramento presso terzi. Il soggetto passivo aveva dedotto l'illegittimità dell'esecuzione in ragione della operatività degli effetti sospensivi di una moratoria concessa al contribuente dall'Amministrazione finanziaria, ex art. 7, comma 1, lett. m), D.L. n. 70/2011. Tale norma prevedeva che in caso di richiesta di sospensione giudiziale degli atti esecutivi l'agente non potesse procedere all'esecuzione se non dopo la decisione del giudice competente e, comunque, non prima del centoventesimo giorno. Il giudice a quo riteneva che il vizio dedotto dal contribuente non poteva essere oggetto di cognizione da parte del foro tributario, in mancanza di un atto impugnabile, ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992.

D'altra parte – rilevava il rimettente –, l'art. 57, comma 1, lett. a-b), d.P.R. n. 602/1973 limita le opposizioni ex artt. 615-617 c.p.c. alle sole fattispecie ivi individuate (pignorabilità dei beni, regolarità formale del titolo esecutivo, notificazione dello stesso). Ed il caso dedotto non rientrava fra tali fattispecie, interessando un profilo inerente l'opposizione all'esecuzione erariale occorso dopo la notifica della cartella di pagamento.

Il giudice dell'esecuzione dubitava della legittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, d.P.R. n. 602/1973, là dove limita la possibilità di proporre gravame contro l'esecuzione tributaria ai soli vizi ivi indicati.

Da ciò conseguiva – secondo il giudice a quo – che ove i rilievi mossi dal contribuente contro l'azione esecutiva fiscale esulino da tali specifiche “patologie”, lo stesso rimarrebbe privo di tutela giurisdizionale.

La Consulta, condividendo la prospettazione del rimettente, dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui prevede che nelle controversie inerenti gli atti dell'esecuzione successivi alla notifica della cartella non siano ammesse le opposizioni di cui all'art. 615 c.p.c.

Secondo la Corte Costituzionale, a mente dell'art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, la linea di demarcazione della giurisdizione è segnata dalla notifica della cartella esattoriale (ovvero della intimazione ad adempiere), ex art. 50, comma 2, d.P.R. n. 602/1973.

Sino a tale momento (notifica del titolo esecutivo), la cognizione sull'atto, quale espressione del potere impositivo, è devoluta al foro tributario.

Al di là di tale confine, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e, segnatamente, al giudice dell'esecuzione.

Si tratta – secondo la Consulta – di un riparto della giustizia.

La tutela del giudice tributario, per gli atti a monte della cartella, e di quella del giudice ordinario, per gli atti a valle, assicura al contribuente una garanzia giurisdizionale “a tutto tondo” (artt. 24-113 Cost.).

Secondo la Corte Costituzionale, il richiamato art. 57, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 assume, in realtà, una valenza a doppio effetto, nella prospettiva della tutela del contribuente.

Da un lato, infatti, tale norma non ammette l'opposizione all'esecuzione avanti al foro ordinario qualora il soggetto passivo contesti la validità dell'atto su cui si fondi la riscossione (es., accertamento esecutivo, cartella di pagamento, ruolo).

La relativa controversia, in questo caso, è devoluta alla giurisdizione tributaria, attraverso il ricorso ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, non verificandosi dunque alcun “vuoto” di tutela per il contribuente.

Dall'altro, l'art. 57, comma 1, d.P.R. n. 602/1973 lascia “sguarnito” il contribuente, là dove sancisce con l'inammissibilità l'opposizione ex art. 615 c.p.c. per i casi in cui la giurisdizione tributaria non sia configurabile, vertendosi su contestazioni che sorgono “a valle” della notifica della cartella.

Rientrano, fra tali fattispecie, le ipotesi di sopravvenuto adempimento dell'obbligazione tributaria (es., pagamento), come quelle di sopravvenuta causa di estinzione della pretesa fiscale (es., prescrizione).

In tali casi, la cognizione sulla controversia spetta al foro ordinario, collocandosi, la relativa controversia, oltre il confine della giurisdizione tributaria, ex art. 2, D.Lgs. n. 546/1992.

Il rimedio per il contribuente assoggettato a riscossione coattiva tributaria dovrebbe essere, allora, l'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., contestandosi la validità della procedura esecutiva.

E però, stante la lettera dell'art. 57, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 602/1973, tale rimedio avanti al foro ordinario non sarebbe ammissibile, con conseguente carenza di tutela in capo al contribuente.

Per queste considerazioni, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 57, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 602/1973, nella parte in cui esclude l'opposizione ex art. 615 c.p.c., con riferimento alle controversie inerenti gli atti dell'esecuzione successivi alla notifica della cartella o dell'intimazione ad adempiere.

La soluzione giuridica

Le Sezioni Unite, con l'ordinanza in commento, hanno rilevato come il giudice ordinario sia preliminarmente tenuto a vagliare la questione relativa della giurisdizione con riferimento alla domanda posta dal ricorrente in via pregiudiziale.

Nella fattispecie, tale domanda riguardava l'accertamento della improcedibilità/inammissibilità del procedimento esattoriale avente ad oggetto il pignoramento presso terzi, stante l'eccepita inesistenza giuridica del debitor debitoris. Tale domanda non attiene al diritto di procedere all'esecuzione da parte dell'ente impositore, attenendo invece alle concrete modalità di realizzazione di tale diritto, secondo quanto accade in ambito di opposizione agli atti esecutivi exart. 617 c.p.c. Secondo la Suprema Corte, la cognizione su tale questione appartiene al giudice ordinario poiché l'inesistenza del terzo pignorato rappresenta una causa di nullità, “in sé”, del pignoramento, a prescindere dalla regolarità della notifica delle cartelle esattoriali.

Nel caso in esame, il giudice ordinario, dopo aver deciso sulla domanda principale, ed aver accertato la propria giurisdizione, avrebbe dovuto decidere sulla cognizione circa le domande subordinate, tenuto conto del nesso di subordinazione.

Il Supremo Collegio dava atto che il contribuente non aveva contestato la validità della notifica delle due cartelle di pagamento, essendosi limitato ad impugnare il successivo atto di pignoramento attraverso la formulazione di una domanda subordinata avente, peraltro, una duplice valenza.

Da un lato, il contribuente aveva domandato che fosse riconosciuta la illegittimità/nullità dell'atto di pignoramento, in tutto od in parte; dall'altra, analoga domanda era stata formulata, in via mediata, in relazione alle due cartelle di pagamento.

In pratica, secondo la Corte, due erano i petita e, dunque, due dovevano essere i vagli che il giudice ordinario, sciolto il nesso di subordinazione, avrebbe dovuto eseguire con riferimento a ciascuna domanda.

In primo luogo, il contribuente aveva eccepito la illegittimità/nullità del pignoramento a motivo della rilevata insussistenza del diritto di procedere all'esecuzione da parte dell'agente della riscossione.

In particolare, il ricorrente aveva sostenuto, quanto al primo rapporto (2008), che l'ufficio non aveva tenuto conto delle concordate rideterminazioni della base imponibile del tributo, quanto al secondo (2015), che non era stata considerato il piano rateale di pagamento, il quale aveva comportato una riduzione nell'entità del carico iscritto a ruolo. In relazione all'anno d'imposta 2008, la Corte ha rilevato come il contribuente avesse contestato, sin dal 2009, la pretesa fiscale.

Il soggetto passivo avrebbe potuto proporre rituale ricorso avverso la cartella esattoriale, notificatagli nel 2016 (la cartella non fu invece impugnata dal contribuente).

I fatti dedotti non integrano circostanze successive alla notifica della cartella, di talché non è ammissibile l'opposizione ex art. 615 c.p.c., secondo quanto statuito dalla Consulta con la ricordata sentenza n. 114/2018.

Il contribuente, introducendo il giudizio avanti al giudice ordinario, aveva contestato la sussistenza della pretesa tributaria non già con una specifica domanda d'annullamento della cartella, bensì attraverso un'indistinta domanda di caducazione del pignoramento.

In base al criterio del petitum sostanziale ex art. 386 c.p.c., la domanda di annullamento del pignoramento, come formulata dal ricorrente, atteneva a fatti non idonei a giustificare una translatio della controversia avanti al giudice tributario.

Nell'ottica del riparto di giurisdizione, un problema di translatio si pone qualora sia introdotta una domanda ex artt. 615-617 c.p.c. fondata su un petitum mediato (che attenga, cioè, anche alla validità, formale e sostanziale, della cartella).

In tal caso, la cognizione da parte del giudice tributario è giustificata poiché la domanda mediata attiene ad un atto riconducibile alla giurisdizione fiscale, ex art. 19, D.Lgs. n. 546/1992.

Laddove, viceversa, il petitum mediato attenga al solo ambito dell'esecuzione tributaria, la domanda ex artt. 615-617 c.p.c. risulta – come rilevato dalle Sezioni Unite – “manifestamente infondata, in iure, sulla base della sua stessa prospettazione e, come tale, scrutinabile dalla giurisdizione ordinaria”.

In questo quadro, il pignoramento può essere ricondotto alla cognizione tributaria solo qualora rappresenti l'occasione per impugnare la pretesa contenuta in altro prodromico atto del procedimento che si assuma non essere stato legalmente conosciuto (es. vizio notifica).

In relazione, poi, all'anno d'imposta 2015, il fatto dedotto dal soggetto passivo a giustificazione dell'inesistenza del diritto alla riscossione era stato assunto con riferimento ad una raccomandata inviata all'ente impositore dopo la notifica della cartella esattoriale.

Riferendosi la contestazione ad un fatto occorso successivamente alla notificazione della cartella di pagamento, la relativa cognizione non era devolvibile al giudice tributario.

A mente della ricordata sentenza della Consulta, la censura “competeva” al foro ordinario a mezzo dell'opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. (fatto modificativo del quomodo della pretesa consacrata nella cartella notificata).

Pertanto, con riferimento ad entrambi i rapporti tributari, il giudice ordinario, una volta sciolto il nesso di subordinazione, avrebbe dovuto regolare le contestazioni confermando la propria giurisdizione anche sulla domanda subordinata, con riferimento alla pretesa illegittimità dell'atto di pignoramento.

Quanto, infine, alla domanda subordinata circa l'annullamento delle due cartelle di pagamento, ove lo scioglimento del nesso di subordinazione ne avesse reso necessario l'esame, la cognizione sarebbe stata di pertinenza del giudice tributario. Il petitum mediato avrebbe, infatti, legittimato l'impugnazione delle due cartelle avanti alla competente commissione tributaria territoriale quale atti impugnabili ex art. 19, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 546/1992.

Osservazioni

Riepilogando, il discrimine fra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria circa le contestazioni che sorgano con riferimento all'esecuzione tributaria può essere così delineato:

  • appartiene al foro tributario la cognizione su ogni questione relativa al pignoramento in relazione ai fatti che incidano sulla pretesa tributaria, verificatisi fino alla notifica della cartella di pagamento, se validamente effettuata. In caso di vizi relativi a tale notificazione (mancanza, inesistenza, nullità), spetta al foro tributario la cognizione su ogni circostanza inerente ai profili di forma e contenuto degli atti nei quali si sia espressa la pretesa tributaria, nonché alla esistenza ed al quomodo sostanziale del credito fiscale, verificatasi fino al momento del pignoramento;
  • appartiene al foro ordinario la cognizione relativa ad ogni questione inerente la legittimità formale del pignoramento, quale atto “in sé”, sia che lo stesso sia stato preceduto da una valida notifica della cartella, sia che non sia stato preceduto da alcuna valida notifica. Spetta altresì al foro ordinario la cognizione sui fatti che incidano sulla pretesa azionata verificatisi dopo la valida notifica della cartella. In caso di vizi relativi a tale notificazione, compete ancora al foro ordinario la cognizione sui fatti che incidano sulla pretesa azionata verificatisi dopo l'atto di pignoramento (esso assumendo la funzione di mezzo di conoscenza della cartella).

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