La destinazione a luogo di culto dell'immobile contrasta con il divieto di attività lesive di igiene, decoro dell'edificio e tranquillità dei condomini?
17 Novembre 2020
Massima
L'attività di culto, esercitata da un'associazione culturale nei propri locali condotti in locazione, non costituisce una modifica della destinazione d'uso dell'immobile locato, né un disturbo idoneo a configurare immissioni eccedenti la normale tollerabilità, che di fatto, sarebbe incompatibile con il regolamento condominiale, in quanto i divieti e le limitazioni d'uso della proprietà domenicale dei singoli condomini devono essere chiaramente specificati e risultare da espressioni non suscettibili di dare luogo ad incertezze od interpretazioni estensive. Il caso
Un Condominio evoca in giudizio il condomino e la detentrice di una unità immobiliare chiedendo di condannare il primo, quale locatore, e la seconda, quale conduttrice, alla cessazione immediata della destinazione dell'immobile dato in locazione ed adibito a luogo di culto, per violazione del regolamento condominiale, il quale, prevede con una disposizione ad hoc, che gli appartamenti siano destinati ad uso di abitazione, e che potranno essere destinati ad uso di studio professionale, ambulatorio medico ed uffici in genere, con la precisazione che destinazioni diverse dovranno ottenere la preventiva autorizzazione dell'assemblea con la maggioranza dei due terzi del valore dell'edificio. In particolare, l'art. 4 del regolamento condominiale pone il generale divieto di destinare le singole unità immobiliari allo svolgimento di qualsiasi attività che ab origine possa turbare la tranquillità dei condomini e che sia contraria all'igiene e al decoro dell'edificio. La questione
L'attività di culto religioso svolta in un locale concesso in locazione da un condomino ad un'Associazione Culturale è idonea di per sé a determinare aprioristicamente una turbativa della tranquillità della comunità dei condòmini ovvero a ledere l'igiene e decoro dell'edificio condominiale? Le soluzioni giuridiche
Il Tribunale rigetta la domanda attorea giudicandola manifestatamente infondata, atteso che il Condominio non ha dedotto per quale ragione ed in riferimento a quali fatti, l'attività svolta dalla conduttrice determinerebbe una turbativa della tranquillità dei condomini, e, risulterebbe contraria al decoro dell'edificio. Il giudice adito, condividendo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui i divieti e le limitazioni d'uso della proprietà domenicale dei singoli condomini devono essere chiaramente specificati e risultare da espressioni non suscettibili di dare luogo ad incertezze od interpretazioni estensive, rileva che l'attività indicata dello statuto dell'Associazione Culturale convenuta in giudizio in qualità di conduttrice dell'immobile per cui è causa, non rientra tra le possibili destinazioni vietate da una norma ad hoc del regolamento condominiale. Il Tribunale osserva, quindi, come l'esercizio dell'attività di culto non può da un lato, costituire una turbativa della tranquillità dei condomini, nè essere contraria all'igiene ed al decoro dell'edificio, e, dall'altro, può ritenersi che detta attività non sia estranea a quella svolta dall'Associazione Culturale convenuta, poiché tra le varie finalità di quest'ultima vi è anche quella di formazione ed educazione dei figli degli immigrati al fine di agevolare la conoscenza della propria cultura d'origine, che necessariamente comprende anche l'insegnamento della religione e l'attività di culto. Osservazioni
La sentenza del Tribunale di Udine si conforma all'orientamento giurisprudenziale secondo cui i divieti previsti dal regolamento di condominio non possono vietare - in via generale - di destinare i locali concessi da un condomino in locazione a luogo di culto, postulando, siffatto divieto, che detta destinazione, sia contraria alla tranquillità dei condòmini con una valutazione astratta ed aprioristica che conduce ad una conclusione di diritto non condivisibile, in quanto volta a comprimere ingiustificatamente i poteri di godimento dei proprietari oltre ogni ragionevole limite consentito dal regolamento di condominio. In tale occasione, va quindi preliminarmente rilevato che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n.11126), nell'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale, le quali sanciscano limitazioni alla facoltà di destinazione degli appartamenti oggetto di proprietà esclusiva, si palesa necessaria compiere una fondamentale distinzione, a tale fine, occorrendo considerare se le clausole in esso contenute, prevedono o meno che possa essere formulato, sul piano dell'autonomia negoziale ed a tutela dell'interesse collettivo, un'elencazione delle attività vietate con riferimento ai pregiudizi che si intenda concretamente scongiurare. Conseguentemente, mentre nella prima ipotesi, dovendosi stabilire se una determinata “destinazione” rientri o no nell'espresso divieto, basta che essa sia menzionata nell'elenco dei divieti contenuti nel regolamento condominiale, dovendosi ritenere che già in sede di redazione della clausola in esso contenuta sia stata posta e risolta la questione della dannosità della destinazione stessa della singola unità immobiliare, nella seconda ipotesi, invece, proprio il fatto che tale questione non è stata affrontata e risolta a priori, comporta la necessità di un'indagine volta ad accertare se gli inconvenienti o pregiudizi che si intese evitare all'epoca della sua formulazione, si siano prodotti o meno in concreto. In altri termini, mentre nella prima ipotesi il problema è risolto in forza dell'interpretazione della clausola, secondo i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c., così che è preclusa ogni ulteriore indagine sull'effettiva capacità di danno dell'attività contestata, nella seconda, occorre che proprio tale indagine faccia seguito all'interpretazione della clausola contenuta nel regolamento. Al riguardo, per quanto attiene all'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contenenti il divieto di destinare gli immobili a determinati usi - al fine di tutelare l'interesse generale al decoro, alla tranquillità ed all'abitabilità dell'intero edificio, nonchè ad incrementare il valore di scambio delle singole unità immobiliari - giova infatti ricordare come l'attuale testo dell'art. 1138, comma 4, c.c. prevede che le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli artt. 1118, comma 2, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c. Ciò premesso, le condivisibili esigenze di chiarezza ed univocità invocate dal tribunale nella sentenza in epigrafe, che devono rispettare i divieti ed i limiti regolamentari di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva, comporta che il contenuto e la portata di detti divieti e limiti vengano determinati fondandosi in primo luogo sulle espressioni letterali usate nelle clausole del regolamento condominiale (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2019, n.9402). In tale contesto, conseguentemente, l'interpretazione delle clausole contenute nei regolamenti condominiali richiede al fine dell'individuazione di limiti all'utilizzo dei beni di proprietà esclusiva, che siano adoperate espressioni non equivoche, occorrendo che una certa limitazione al diritto di proprietà derivi da una precisa volontà del predisponente il regolamento condominiale (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016, n.21307). Il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, per il quale, le limitazioni alle facoltà di uso della proprietà individuale previste nel regolamento condominiale devono connotarsi per chiarezza ed inequivocità, trova dunque piena conferma nella soluzione raggiunta nella sentenza in commento, in cui sostanzialmente si afferma che l'attività svolta nell'immobile locato non rientra tra gli usi vietati dal regolamento di condominio, in quanto consiste nella destinazione dello stesso ad una destinazione che non cagiona automaticamente di per sé una turbativa della tranquillità dei condòmini, la quale, non può certo ritenersi sussistente sulla scorta della mera circostanza consistente in un afflusso indiscriminato di persone, non essendo quest'ultimo, di per sé, un fatto idoneo ad arrecare un'apprezzabile disturbo all'intera comunità condominiale. La necessità di valutare tale situazione, comporta quindi che il regolamento condominiale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà, sia mediante un'elencazione delle attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, risultando però inammissibile una aprioristica valutazione espressa nei termini di un'automatica prevalenza della tranquillità dei condòmini rispetto all'esercizio di un legittimo diritto del singolo condominio di utilizzare la sua proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2019, n.32685). In quest'ultimo caso, per evitare ogni possibilità di equivoco in una materia atta ad incidere pesantemente sulla proprietà del singolo condomino, i divieti ed i limiti in parola devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé, alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentate intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela (Cass. civ., sez. VI, 11 settembre 2014, n.19229; in precedenza, v. Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 1997, n.9564). Ciò implica che nell'individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale, non possa prescindersi dall'univocità delle espressioni letterali utilizzate, dovendosi in linea di principio rifuggire da interpretazioni di carattere estensivo (Trib. Torino 25 giugno 2019), sia per quanto attiene all'ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma ancora più per quanto concerne la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione, circa le facoltà di destinazione di norma spettanti al proprietario. In ogni caso, il regolamento condominiale se specifica quale siano gli usi consentiti delle unità immobiliari ubicate nel condominio, ove non indica puntualmente quelli vietati, ciò può essere desunto dall'interpretazione complessiva dello stesso regolamento (Cass. civ., sez.II, 25 ottobre 2010, n.21841). In buona sostanza, il condominio può fare cessare una destinazione contraria alla tranquillità dei condomini adottando le iniziative legali occorrenti a fare osservare il regolamento, ma non può aggiungere altri divieti a quelli già previsti, non essendo consentito al giudice di merito di interpretare in senso estensivo le clausole del regolamento condominiale (Cass. civ., sez.VI, 24 ottobre 2019, n.27257), dando un'interpretazione della tranquillità e del decoro dello stabile condominiale che surrettiziamente modifica il contenuto del regolamento, estendendo ulteriormente i limiti al godimento delle proprietà esclusive in esso già contenuti (App. Genova 13 gennaio 2017). A ciò aggiungasi che il divieto, a carico del condomino, di dare una determinata destinazione alla porzione di sua proprietà esclusiva, traducendosi in una limitazione delle facoltà inerenti al suo diritto dominicale, non può derivare da una deliberazione assembleare, adottata con le maggioranze previste per la regolamentazione dell'uso e del godimento dei beni comuni ex art. 1138, comma 3, c.c., presupponendo un titolo convenzionale, con l'accettazione del vincolo da parte del condomino stesso in sede di acquisto della proprietà esclusiva, ove si tratti di vincolo predisposto dal costruttore od originario unico proprietario dell'edificio, o con separato atto successivo, oppure anche con adesione alla decisione assembleare che introduca il vincolo medesimo. In difetto di tale accettazione, deve quindi escludersi che una determinata utilizzazione dell'immobile di proprietà esclusiva possa di per sé costituire un fatto illecito, avverso il quale sia dato al condominio od agli altri condòmini la facoltà di insorgere, opponendosi, salva restando la tutela di quest'ultimi per gli eventuali pregiudizi che possano loro derivare dal concreto svolgimento delle attività inerenti a detta destinazione, e, dalle relative modalità, laddove integranti immissioni eccedenti la normale tollerabilità, a norma dell'art. 844 c.c. (Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1985, n. 3848). Non da ultimo, la decisione del giudice friulano sembra altresì rispettosa del dettato costituzionale, dovendosi considerare che la compressione della libertà di culto che verrebbe ad essere determinata nella fattispecie scrutinata dal tribunale, per effetto di un'applicazione errata della disposizione contenuta nel regolamento condominiale, senza che sussista alcuna ragionevole giustificazione dal punto di vista del concreto perseguimento delle dichiarate finalità in esso previste a tutela dell'igiene e decoro dell'edificio e della stessa tranquillità dei condòmini, inevitabilmente si risolverebbe nella sostanziale violazione dei princìpi portati dagli artt. 2, 3, comma 1, e 19 Cost. Riferimenti
Nicoletti, Clausole limitative dei diritti del singolo condomino non chiare: da valutare la finalità perseguita, in Condominioelocazione.it; Della Corte, Regolamento condominiale: vietata l'interpretazione estensiva sui limiti alla destinazione degli appartamenti, in Condominioelocazione.it.; Scarpa, La destinazione di un immobile ad assistenza e luogo di culto degli immigrati non è contraria al decoro ed alla tranquillità, in Quotidianogiuridico.it; Ginesi, Limiti posti dal regolamento contrattuale alle proprietà individuali: natura, opponibilità e rilevabilità in giudizio, in Immob. & proprietà, 2018, 296; Monegat, Divieti del regolamento: la diversa destinazione d'uso di singole unità immobiliari prescinde dalle autorizzazioni amministrative, in Immob. & proprietà, 2017, 186; Trotta, Interpretazione del regolamento condominiale: sul vincolo di destinazione, in Giur. it., 2015, 809; D'Auria, Sulla interpretazione del regolamento condominiale: l'ipotesi delle clausole limitative dei diritti individuali, in Giur. it., 2011, 1040; Ceolin, Regolamenti di condominio e vincoli di destinazione, anche alla luce del nuovo art. 2645 ter c.c., in Riv. notar., 2009, 873; De Tilla, Sulle norme del regolamento condominiale che incidono sulla destinazione delle parti dell'edificio di proprietà esclusiva, in Arch. loc. e cond., 1995, 121; Iudica, Criteri interpretativi di una clausola di regolamento condominiale concernente vincolo di destinazione d'uso degli appartamenti, in Giust. civ., 1981, I, 2952. |