Ritornare sul luogo del sinistro con lesioni, dopo essersi allontanati, esclude la punibilità per il reato di fuga?
24 Novembre 2020
Massima
In caso di incidente con danni alle persone, il reato di fuga ex art. 189, comma 6, del Codice della Strada si perfeziona istantaneamente nel momento in cui il conducente del veicolo coinvolto viola l'obbligo di fermarsi, ponendo in essere, con il mero allontanamento, una condotta contraria al precetto di legge sicché a nulla rileva, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, il comportamento post delictum di ritornare sul luogo dell'incidente. Il caso
Il conducente di un veicolo, coinvolto in un sinistro stradale con lesioni a danno dell'altro soggetto coinvolto, veniva tratto a giudizio avanti il Tribunale e condannato, per quanto qui di interesse, per il reato di fuga di cui all'art. 189, comma 6, del Codice della Strada per essersi temporaneamente allontanato dal luogo dell'incidente. Interposto gravame, la Corte d'Appello respingeva la richiesta di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., avanzata dal conducente in ragione della modestia delle lesioni riportate dalla persona offesa, comunque dallo stesso aiutata a sedersi sul ciglio della strada ed affidata ad un astante, e del suo ritorno sul luogo dell'incidente, confermando la condanna per il reato di fuga. Avverso detta sentenza, il conducente ricorreva in Cassazione per l'annullamento della sentenza impugnata. La questione
Il “ripensamento” del conducente che, dopo essersi allontanato per un certo lasso di tempo, ritorna sul luogo dell'incidente stradale dal quale sono conseguite lievi lesioni a danno dell'altro soggetto coinvolto, può costituire elemento valutabile ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.? Le soluzioni giuridiche
La S.C., con la sentenza in commento, rigetta il ricorso del conducente ritenendo esente da vizi di legittimità la pronuncia della Corte territoriale che, nella prospettazione dell'imputato, sarebbe affetta da nullità per omessa motivazione in ordine al motivo di appello, specificamente proposto, inerente alla richiesta di proscioglimento per tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., essendosi limitata ad affermare che il reato è integrato anche in ipotesi di sosta momentanea, senza, tuttavia, affrontare la questione della condotta post delictum e dell'assoluta modestia delle lesioni riportate dalla persona offesa. Ad avviso della S.C., la Corte territoriale non è incorsa in alcun vizio di motivazione in ordine alla conferma della responsabilità del conducente avendo chiarito, seppur in maniera indiretta con le argomentazioni complessivamente svolte nel corpo della motivazione, le ragioni dell'insussistenza delle condizioni di applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p. Nello specifico, la S.C. rileva come la Corte territoriale, premesse le emergenze processuali dalle quali era risultato che il conducente, dopo aver soccorso la persona offesa, aiutandola a sedersi sul ciglio della strada, ed averla affidata ad un astante, si era allontanato dal luogo dell'incidente, per poi tornarvi dopo un certo lasso di tempo, giustificando il suo comportamento con la volontà di cercare aiuto da un conoscente che abitava lì vicino, tuttavia abbia ritenuto di non poter valorizzare la circostanza del ritorno, perché non vi era alcuna necessità di allontanarsi ben potendo lo stesso cercare aiuto utilizzando il telefono cellulare di cui l'astante era fornito. Inoltre, la Corte territoriale, correttamente, ha ritenuto che il semplice “ripensamento” del conducente di ritornare sul luogo dell'incidente (comportamento post delictum), non costituendo elemento valutabile ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, era del tutto irrilevante atteso che la norma di cui all'art. 131-bis c.p. correla l'esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell'entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all'art. 133, comma 1, c.p., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al comma 2, includenti la condotta susseguente al reato. Pertanto, poiché l'assenza dei presupposti per l'applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto può, invero, essere rilevata anche con motivazione implicita, atteso che, nel passaggio della motivazione della sentenza della Corte territoriale, risultava affrontata, seppur in modo indiretto, la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. al caso di specie, la sentenza impugnata deve ritenersi, pertanto, esente da vizi di legittimità in relazione alla conferma della responsabilità per il reato di cui all'art. 189, comma 6, del Codice della Strada, con conseguente rigetto del ricorso e condanna del conducente al pagamento delle spese processuali.
Osservazioni
Per inquadrare i termini della questione in esame è opportuno prendere le mosse dal dettato normativo (art. 189 C.d.S.), rubricato “Comportamento in caso di incidente”, che, al comma 1, prevede che “l'utente della strada in caso di incidente comunque ricollegabile al suo comportamento, ha l'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza occorrente a coloro che, eventualmente, abbiano subito danno alla persona” ed, al comma 6, che “chiunque nelle condizioni di cui al comma 1, in caso di incidente con danno alle persone non ottempera all'obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente da uno a tre anni”. Dal tenore letterale della norma, come più volte osservato dalla S.C., è evidente come il Legislatore abbia introdotto, nella materia della circolazione stradale, la presunzione che il verificarsi di un incidente determini una situazione di pericolo per l'incolumità delle persone ed abbia, conseguentemente, individuato nei soggetti coinvolti nel sinistro i titolari della posizione di garanzia, imponendo loro di fermarsi per prestare assistenza agli altri utenti onde proteggerli dal potenziale pericolo di un danno alla persona derivante da un ritardato soccorso (Cass. Pen., Sez. IV, 9 marzo 2018, n.10736; Cass. Pen., Sez. IV, 9 novembre 2017, n. 52539; Cass. Pen., Sez. IV, 11 luglio 2017, n. 33761). La posizione di garanzia trova, all'evidenza, la sua ratio nel dato di comune esperienza per cui i protagonisti del sinistro sono in condizione di percepirne, nell'immediatezza, le conseguenze dannose o pericolose e, dunque, di attivarsi senza indugio onde evitare, indipendentemente dall'ascrivibilità agli stessi di tali conseguenze, che dal ritardato soccorso delle persone ferite possa derivarne un danno alla vita o all'integrità psico-fisica. Infatti, la norma in questione non prevede quale antefatto necessario del reato di fuga che l'utente della strada sia responsabile, in tutto o in parte, dell'incidente bensì solo che lo stesso sia “comunque ricollegabile al suo comportamento” sicché l'obbligo di fermarsi è legato al semplice verificarsi dell'incidente con lesioni e non alla consumazione ed all'accertamento di un reato (Cass. Pen., Sez. IV, 1 aprile 2014, n. 15040). Inoltre, l'ampia dicitura dell'art. 186, comma 1, del Codice della Strada non presuppone che vi sia stato un urto tra veicoli ma solo il verificarsi di un incidente “comunque ricollegabile al suo comportamento” (Cass. Pen., Sez. IV, 9 novembre 2017, n. 52539; Cass. Pen., Sez. IV, 11 luglio 2017, n. 33761; Cass. Pen., Sez. IV, 21 dicembre 2011, n. 34138). Da quanto precede, risulta evidente che l'obbligo di fermarsi, pena l'imputazione per il reato di fuga a carico del conducente coinvolto in un sinistro con lesioni, è indipendente sia dalla eventuale responsabilità nella causazione del sinistro che dalla effettiva necessità di assistenza da parte delle persone ferite nel medesimo sinistro (Cass. Pen., Sez, IV, 9 novembre 2017, n. 52539). Infatti, nella previsione incriminatrice manca qualsiasi rapporto che condizioni la esistenza dell'obbligo di fermarsi alla qualificazione come reato della condotta dell'utente della strada poiché ciò che la norma intende tutelare è la situazione di potenziale pericolo originatasi dall'incidente indipendentemente dalla sua causa di talché è irrilevante la distinzione tra responsabile del sinistro e colui che, indipendentemente dalla colpa, vi si sia trovato coinvolto. Pertanto, la sola condizione per la esigibilità della condotta descritta dall'art. 189, comma 6, del Codice della Strada e la punibilità della sua omissione è posta nella generalissima relazione di collegamento “a qualsiasi titolo” tra incidente e comportamento di guida dell'utente della strada (Cass. Pen., Sez. IV, 9 marzo 2018, n.10736; Cass. Pen., Sez. IV, sent. 21 dicembre 2011, n. 34138). Nondimeno, come più volte evidenziato dalla S.C., poiché il reato di fuga ha natura di reato omissivo di pericolo che va accertato con valutazione ex ante e non ex post, una volta verificatosi l'antefatto previsto dal comma 1, da intendersi come sinistro “comunque ricollegabile al suo comportamento”, sarebbe incompatibile con l'oggetto giuridico del reato e con la natura di reato di pericolo asserire che l'obbligo di fermarsi sia escluso per colui che, pur coinvolto nel sinistro, non ne sia responsabile (Cass. Pen., Sez. IV, sentenza 3/6/2009, n. 34335). Una simile interpretazione della norma, invero, condurrebbe all'assurda conseguenza per cui il dovere di fermarsi sarebbe escluso per ogni altro soggetto coinvolto nel sinistro, ove l'incidente fosse attribuibile in via esclusiva alla persona ferita. Inoltre, per consolidato orientamento della S.C., il reato di fuga si perfeziona “istantaneamente” nel momento in cui il conducente del veicolo coinvolto “non ottempera all'obbligo di fermarsi” inteso, non già formalisticamente come semplice arresto della marcia, bensì teleologicamente con riguardo cioè allo scopo, di natura pubblicistica prima ancora che privatistica, che il Legislatore si è prefissato che è quello di fare in modo che il destinatario del precetto si fermi per comprendere appieno l'accaduto, per verificare l'eventuale presenza di feriti e, laddove necessario, prestare l'assistenza occorrente, per conservare immodificato, compatibilmente con la salvaguardia della sicurezza della circolazione, lo stato dei luoghi, per preservare, ove possibile, le tracce utili alla ricostruzione dell'accaduto ed al conseguente accertamento delle responsabilità, per constatare i danni ai veicoli e per identificare i conducenti nella prospettiva di eventuali azioni risarcitorie (Cass. Pen., Sez. V, 10 gennaio 2020, n. 660; Cass. Pen., Sez. IV, 8 giugno 2017, n. 44616; Cass. Pen., Sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 11195). Pertanto, affinché la previsione di cui al comma 6 dell'art. 189 del Codice della Strada possa dirsi rispettata, il conducente deve effettuare una fermata che, per le concrete modalità, sia in grado di soddisfare le esigenze sottese allo scopo pubblicistico della norma che richiede che la condotta dei consociati, in presenza di sinistro stradale da cui potrebbero derivare lesioni alla persona, si atteggi ad un obbligo di solidarietà e di intervento che ha come fulcro l'assistenza del consociato; si tratta in particolare di una condotta al cui rispetto l'ordinamento è interessato a prescindere da quanto verificato in merito al fatto, a fronte della esigenza di tutela anticipata degli interessi ritenuti rilevanti dal Legislatore proprio perché esonera di procedere alla valutazione in ordine alla concretezza del pericolo imponendo nell'immediato di conformarsi alla condotta prescritta (Cass. Pen., Sez. IV, 6 aprile 2018, n. 21049; Cass. Pen., Sez. IV, 25 novembre 1999, n.5416). Tant'è che, come più volte osservato dalla S.C., non è necessario che si debba riscontrare l'esistenza di un effettivo danno fisico, peraltro non sempre accertabile immediatamente nella sua sussistenza e consistenza, essendo sufficiente la percezione che l'incidente sia concretamente idoneo a produrre effetti lesivi poiché, diversamente, si prospetterebbe l'assurda ed inaccettabile conseguenza di limitare l'ambito di operatività della fattispecie ai soli casi di macroscopica e immediata evidenza di lesioni o di morte (Cass. Pen., Sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 5510; Cass. Pen., Sez. IV, 12 novembre 2012, n. 3982; Cass. Pen., Sez. VI, 17 febbraio 2010, n. 21414; Cass. Pen., Sez. IV, 3 giugno 2009, n. 34225; Cass. Pen., Sez. IV, 10 novembre 2004, n. 7615). Inoltre, come osservato dalla S.C., il dovere di fermarsi sul posto dell'incidente con lesioni deve durare per tutto il tempo necessario anche all'espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell'identificazione del conducente e del veicolo coinvolto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l'identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell'incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica (Cass. Pen., Sez. IV, 6 giugno 2019, n. 25142; Cass. Pen., Sez. IV, 2 febbraio 2012, n. 9128). Quanto all'elemento soggettivo del reato previsto dall'art. 189, comma 6, del Codice della Strada, l'unanime orientamento della S.C. è dell'avviso che esso debba ritenersi integrato anche in presenza del dolo eventuale, non essendo necessario il dolo intenzionale, nel senso che per le modalità di verificazione del sinistro e per le complessive circostanze della vicenda, è sufficiente che il conducente si rappresenti la probabilità - o anche la semplice possibilità (eventualità) - che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e, purtuttavia, ometta di fermarsi rifiutandosi consapevolmente di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio (Cass. Pen., Sez. IV, 6 giugno 2019, n. 25142; Cass. Pen., Sez. IV, 18 ottobre 2017, n. 54809; Cass. Pen., Sez. IV, 15 giugno 2017, n. 33772; Cass. Pen., Sez. IV, 15 marzo 2016, n. 23177; Cass. Pen., Sez. IV, 12 febbraio 2015, n. 11195; Cass. Pen., Sez. IV, 20 novembre 2013, n. 6904; Cass. Pen., Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 16982; Cass. Pen., Sez. IV, 6 marzo 2012, n. 17220; Cass. Pen., Sez. IV, 10 dicembre 2009 n.3568; Cass. Pen., Sez. IV, 3 giugno 2009, n. 34335; Cass. Pen., Sez. IV, 13 luglio 2007, n. 34134). Effettuate tali puntualizzazioni, appare evidente come spetti al giudice del merito, nell'esercizio del potere discrezionale attribuitogli dalla legge, valutare complessivamente gli aspetti fattuali della vicenda sottoposta al suo esame ed escludere la punibilità dell'utente della strada per la violazione dell'art. 189, comma 6, del Codice della Strada solo laddove “per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'articolo 133, primo comma, l'offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”senza che il “ripensamento” del conducente coinvolto di ritornare sul luogo dell'incidente, dopo un temporaneo allontanamento, possa costituire elemento valutabile ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto atteso che la norma di cui all'art. 131-bis c.p. non correla l'esiguità del disvalore anche alla condotta post delictum. Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha vagliato attentamente la concreta situazione al momento in cui il conducente si è allontanato dal luogo dell'incidente ritenendo che non vi fossero obiettive necessità da giustificarla ben potendo, laddove effettivamente necessario, chiamare i soccorsi servendosi del telefono cellulare di cui l'astante, al quale la persona offesa era stata affidata dal conducente, era in possesso ed attendere, se del caso, l'arrivo dell'ambulanza e dell'Autorità per gli accertamenti di rito. |