Chiusura della partita IVA senza previa fatturazione delle prestazioni già eseguite ad enti pubblici

Angelo Ginex
07 Dicembre 2020

In caso di cessazione dell'attività, ancorché l'articolo 6, comma 5, D.P.R. 633/1972 preveda l'esigibilità differita dell'imposta sul valore aggiunto, il contribuente può procedere alla chiusura della partita IVA, ove le prestazioni di servizi rese ad enti pubblici non siano state ancora remunerate, soltanto previa anticipazione della fatturazione di dette prestazioni e, quindi, dell'esigibilità dell'IVA rispetto al momento dell'effettivo incasso, con conseguente appostazione dell'ammontare d'imposta residualmente dovuto in relazione a tali prestazioni nell'ultima dichiarazione fiscale
Massima

In caso di cessazione dell'attività, ancorché l'articolo 6, comma 5, d.P.R. 633/1972 preveda l'esigibilità differita dell'imposta sul valore aggiunto, il contribuente può procedere alla chiusura della partita IVA, ove le prestazioni di servizi rese ad enti pubblici non siano state ancora remunerate, soltanto previa anticipazione della fatturazione di dette prestazioni e, quindi, dell'esigibilità dell'IVA rispetto al momento dell'effettivo incasso, con conseguente appostazione dell'ammontare d'imposta residualmente dovuto in relazione a tali prestazioni nell'ultima dichiarazione fiscale.

Il caso

La vicenda trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2005 con il quale l'Agenzia delle entrate accertava un maggior reddito complessivo ai fini IRPEF ed IRAP, contestando altresì l'omessa dichiarazione da parte del contribuente di compensi derivanti da prestazioni professionali eseguite in favore di enti pubblici, imponibili ai fini IVA.

A seguito dell'esito negativo del procedimento di accertamento con adesione, il contribuente impugnava l'atto notificatogli dinanzi alla competente commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso ritenendo infondate le doglianze da questi avanzate. Così, egli proponeva ricorso in appello, ma anch'esso veniva respinto, trovando invece accoglimento l'appello incidentale dell'Agenzia delle entrate in punto di omessa pronuncia del giudice di prime cure sulla declaratoria di definitività della maggiore imposta accertata ai fini IVA.

Pertanto, il contribuente impugnava la pronuncia di secondo grado in Cassazione affidandosi a ben sette motivi di ricorso.

La questione

Tra le molteplici doglianze eccepite dal contribuente nel ricorso per cassazione, la vexata quaestio di maggior rilievo affrontata nella pronuncia in commento riguarda l'imponibilità ai fini dell'imposta sul valore aggiunto di compensi percepiti successivamente alla cessazione dell'attività professionale, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, e alla relativa formalizzazione.

Più precisamente, il contribuente lamentava la violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 5, d.P.R. 633/1972, ritenendo che fosse possibile procedere alla chiusura della partita IVA senza previa fatturazione delle prestazioni già eseguite nei confronti di enti pubblici ma da questi non ancora remunerate, con conseguente legittima omessa appostazione dell'ammontare d'imposta dovuto in relazione a dette prestazioni nell'ultima dichiarazione fiscale.

Il punctum dolens della questione esegetica sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene quindi all'identificazione del dato di temporale rilevanza della cessazione dell'attività economica che giustifica l'imposizione ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.

La soluzione giuridica

Muovendo dal principio dell'esigibilità differita dell'IVA sancito dall'art. 6, comma 5, D.P.R. 633/1972 (cd. decreto IVA), secondo cui per le prestazioni di servizi rese agli enti pubblici l'imposta diviene esigibile all'atto del pagamento dei relativi corrispettivi, i giudici di legittimità hanno sottolineato che, invece, la VI direttiva IVA (77/388/CEE) e la Direttiva 2006/112/CE «vincolano l'imponibilità IVA non al pagamento del compenso, ma al materiale espletamento della prestazione professionale e, con riguardo all'evento che genera l'obbligo, prevedono che questo nasce nel momento di effettuazione della prestazione professionale».

La stessa Corte di giustizia UE, proprio con riguardo alle prestazioni di servizi e all'evento che genera l'obbligo di assoggettamento ad IVA, ha precisato che questo nasce nel momento di effettuazione della prestazione professionale, chiarendo che «l'ordinamento comunitario contempla il fatto generatore dell'imposta quale nozione autonoma e distinta, sul piano concettuale, rispetto a quella di esigibilità dell'imposta medesima ed inequivocabilmente lo ancora al dato del materiale espletamento dell'operazione; non a quello del pagamento del corrispettivo» (CGUE, sent. 19 dicembre 2012, causa C-549/11).

Di tal guisa, la norma nazionale sopra citata non può che interpretarsi nel senso che per le prestazioni di servizi, l'esecuzione della prestazione professionale realizza il presupposto impositivo, mentre “l'incasso del corrispettivo” investe il compimento della prestazione con esclusivo riferimento alla sua rilevanza ai fini della mera esigibilità dell'imposta: in altri termini, il fatto generatore del tributo in contestazione e, dunque, l'insorgenza della correlativa imponibilità vanno identificati con la materiale esecuzione della prestazione; il conseguimento del compenso, invece, identifica la sua condizione di esigibilità e il limite temporale ultimo per l'adempimento dell'obbligo di fatturazione (cfr., Cass., S.U., 21 aprile 2016, n. 8059, richiamata in parte motiva).

Sulla base di tali argomentazioni, premessa l'indubbia imponibilità ai fini IVA dei compensi professionali, quand'anche percepiti dopo la cessazione dell'attività, in virtù del compiuto rispetto del principio della neutralità fiscale dell'imposta sul valore aggiunto, la Suprema Corte ha rilevato l'evidente necessità per il professionista «di attendere la riscossione dei propri crediti professionali prima di procedere alla chiusura della partita IVA».

Attraverso la chiusura anticipata della partita IVA, invece, il professionista si priva «del mezzo funzionale alla definizione dei rapporti giuridici pendenti con gli enti pubblici dai quali attendeva il corrispettivo di prestazioni già rese». L'effettivo momento di cessazione dell'attività coincide, infatti, con la definizione dei rapporti, e quindi di tutte le operazioni relative alla riscossione dei crediti e al pagamento dei debiti anche fiscali, e non con la mera astensione dall'espletamento di prestazioni professionali.

Coerentemente, l'art. 90 della direttiva 2006/112/CE, prevede che la mancata riscossione del corrispettivo in conseguenza dell'inadempimento o della risoluzione del contratto, verificatisi successivamente all'effettuazione dell'operazione, non elimina l'obbligazione tributaria. Purtuttavia, il contribuente – ha specificato la Corte - avrebbe potuto fatturare anticipatamente tutti i compensi, anche quelli non ancora percepiti, e versare l'IVA dovuta benché non riscossa, procedendo subito dopo alla chiusura della partita IVA.

In alternativa, il contribuente avrebbe finanche potuto determinare il reddito relativo all'ultimo anno di attività considerando le operazioni per le quali si è anticipata l'esigibilità dell'imposta rispetto al momento dell'effettivo incasso, dandone evidente rilievo nell'ultima dichiarazione annuale IVA.

Diversamente, avendo il contribuente intrapreso una terza, inammissibile via, appare legittima e coerente la soluzione prospettata dalla Corte, la quale sottolinea, nel caso di specie, l'inefficacia della condizione di cui al comma 5 dell'art. 6, D.P.R. 633/1972 qualora il professionista decida di anticipare la fatturazione delle prestazioni rese e, quindi, l'esigibilità dell'imposta, rispetto al momento dell'effettivo incasso, per procedere, successivamente, alla chiusura della partita IVA.

Osservazioni

Sulla scorta dei principi sanciti dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in rassegna, è possibile concludere che in ipotesi di cessazione dell'attività, il contribuente non può procedere alla chiusura della partita IVA senza previa fatturazione delle prestazioni già eseguite, ancorché non ancora remunerate dagli enti pubblici, né tantomeno può omettere l'appostazione dell'ammontare d'imposta residualmente dovuto in relazione a dette prestazioni nell'ultima dichiarazione fiscale.

Volendo soffermarsi invece sugli adempimenti che il contribuente deve porre in essere nell'ipotesi in cui intenda procedere immediatamente alla chiusura della partita IVA, senza attendere il pagamento delle prestazioni di servizi già rese ad enti pubblici, occorre evidenziare che questi è tenuto a versare anticipatamente l'IVA indicata nelle fatture ad “esigibilità differita” ex art. 6, comma 5, d.P.R. 633/1972, procedendo alla loro emissione ove non vi abbia ancora provveduto, anche se essa non sia stata ancora riscossa insieme ai corrispettivi.

Da ultimo, il contribuente deve computare nell'ultima dichiarazione annuale IVA anche le operazioni per le quali si è anticipata l'esigibilità dell'imposta – che in caso di attività non cessata sarebbe “differita” – rispetto al momento dell'effettivo incasso.