Azione di rilascio e domanda di condanna del conduttore al pagamento dell'indennità di occupazione

Nicola Ferraro
16 Dicembre 2020

Il Tribunale di Massa viene posto dinanzi alla pregiudiziale questione di stabilire se, in capo al locatore-comproprietario di un immobile, sussista la legittimazione processuale ad agire per il rilascio, nonché per il pagamento dell'indennità di occupazione (e dei danni da ritardato rilascio) ove emerga una volontà contraria degli altri comunisti-comproprietari.
Massima

I locatori-comproprietari di un immobile concesso in locazione non hanno la legittimazione ad intraprendere l'azione di rilascio qualora si accerti la volontà discordante degli altri comproprietari, non sussista una delibera autorizzativa che sia stata previamente assunta dalla maggioranza dei comproprietari nelle forme proprie di cui all'art. 1105, comma 2, c.c. oppure manchi il provvedimento giudiziale di cui al comma 4 del citato articolo. Viceversa, i locatori-comproprietari possono agire per il pagamento dell'indennità di occupazione ex art. 1591 c.c. e del maggior danno per ritardato rilascio dell'immobile nei limiti della quota del diritto di comproprietà.

Il caso

Nella specie, l'azione prende avvio da una domanda proposta da taluni comproprietari-locatori contro gli altri comproprietari e conduttori al fine di fare dichiarare la risoluzione del contratto per inadempimento e contestuale condanna al pagamento dell'indennità di occupazione e al maggior danno per ritardata consegna dell'immobile locato.

Nell'intervenire in giudizio, la parte comproprietaria ha eccepito la propria contrarietà all'azione, conseguentemente la carenza di legittimazione attiva dell'attore in quanto superata la presunzione al consenso di cui all'art. 1105, comma 1, c.c. e non provata la sussistenza di una preventiva delibera autorizzativa da parte dell'assemblea dei comproprietari.

Il Tribunale ha accolto l'eccezione pregiudiziale, nei limiti dell'azione tesa alla risoluzione del rapporto e riconsegna dell'immobile. L'ha, però, rigettata relativamente alla domanda volta alla condanna al pagamento della indennità di occupazione e dei danni conseguenti al ritardato rilascio dell'immobile sul presupposto che queste ultime non fossero soggette agli stessi principi dell'azione di rilascio: non sussiste un diritto di veto degli altri comproprietari o, comunque, il potere di paralizzare, unilateralmente, il diritto di ciascun co-locatore a ottenere la prestazione patrimoniale dovuta nei limiti della quota di spettanza (v., in tal senso, ex multis,Cass., sez. III, 10 settembre 2019, n. 22540).

La questione

La questione è tutta di natura processuale. La legittimazione attiva del comproprietario-locatore a proporre azione di rilascio è da escludersi nel caso in cui venga dimostrata la contrarietà all'azione dell'altro comproprietario e non sia offerta prova dell'esistenza di una delibera autorizzativa ovvero di un provvedimento emesso dell'autorità giudiziaria ex art. 1105, comma 4, c.c. che abbia legittimato il comproprietario alla sua proposizione. L'eccezione non può investire la domanda di condanna alla riscossione dei crediti maturati (nella specie a titolo di indennità di occupazione e di danno per ritardato rilascio) nei limiti della quota vantata dal comproprietario-attore.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale ha respinto l'azione di rilascio promossa dalla parte locatrice-comproprietaria contro il conduttore rilevando la carenza della legittimazione attiva.

Traendo argomento dal fatto che gli altri comproprietari, nel costituirsi in giudizio, avevamo mostrato la propria contrarietà all'azione intrapresa, il Tribunale ha escluso che l'azione di rilascio fosse stata introdotta dal singolo comunista con il consenso (presunto) degli altri comproprietari. Sicché gli attori avrebbero dovuto dimostrare la sussistenza di una delibera autorizzativa assunta dalla maggioranza oppure, in assenza di questa, l'esistenza di un provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria ex art. 1105, comma 4, c.c. Sia l'una che l'altro sono stati esclusi in quanto non ne è stata fornita la relativa prova.

Il Giudice di Massa ha, però, accolto la domanda al pagamento dell'indennità di occupazione e del maggior danno in quanto non operanti, in relazione a queste, gli stessi principi sottesi all'azione di rilascio: se l'azione per il rilascio è esercitabile unitariamente dal singolo comproprietario sul presupposto del consenso ovvero dalla comunione (la quale si sia previamente espressa nella forme di cui all'art. 1105, comma 2, c.c.), per “evidente infrazionabilità del relativo adempimento riguardo a un unitario compendio oggetto della locazione”, analoga considerazione non può farsi con riguardo alla domanda di pagamento dei canoni, dell'indennità di occupazione e del maggior danno in ragione del fatto che, “nel caso di gestione non rappresentativa, il comproprietario non locatore potrà ratificare l'operato del gestore e, ai sensi dell'art. 1705, comma 2, c.c. applicabile per effetto del richiamo al mandato contenuto nel citato art. 2032 c.c., esigere dal conduttore, nel contraddittorio con il comproprietario locatore, la quota dei canoni corrispondente alla quota di proprietà indivisa” (v. Cass. civ., sez. un., 4 luglio 2012, n. 11136; v., recentemente, anche Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2019, n. 25433).

Osservazioni

In generale, si può osservare che, in tema di comproprietà, vige il principio della concorrenza di pari poteri gestori in capo a tutti i comproprietari, e attesa la comunanza di interessi tra tutti i contitolari del bene medesimo, si presume il consenso di ciascuno all'iniziativa volta alla tutela degli interessi comuni (Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 2009, n. 483).

Nello specifico, per quel che riguarda la locazione, il contratto stipulato solamente da uno dei comproprietari ha piena validità anche nei confronti degli altri (che ne sono quindi tenuti al rispetto) in considerazione del fatto che, nelle vicende del rapporto locatizio l'eventuale pluralità di locatori integra una parte unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina generale della comunione. Per cui, nel caso di compimento di atti di ordinaria amministrazione da parte di uno dei comproprietari, il consenso degli altri comunisti si presume ai sensi dell'art. 1105,comma 1, c.c. (v., di recente, Trib. Bari 9 maggio 2018, n. 2058).

Tale modo di intendere il potere di cui al comma 1 dell'art. 1105 c.c. viene ritenuto estensibile sia agli atti di ordinaria amministrazione che si concretino nella stipulazione di atti negoziali, diretti a realizzare un godimento indiretto nell'ambito di ciò che è riconducibile alla nozione di ordinaria amministrazione, sia alle azioni giudiziali correlate a tale attività, come è quella di sfratto per finita locazione oggetto della controversia.

Il singolo comproprietario può, dunque, stipulare il contratto di locazione avente a oggetto l'immobile in comunione e, nel contempo, è legittimato ad agire per il rilascio del detto immobile, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione per il quale deve presumersi sussistente il consenso (v. Trib. Grosseto 13 luglio 2018, n. 681; Trib. Monza 18 novembre 2015, n. 2900).

Come è stato chiarito, la presunzione del consenso risponde all'interesse di favorire la libera circolazione del bene comune e l'affidamento dei terzi contraenti (v. Cass. civ.,sez. un., 4 luglio 2012, n. 11136).

Il Tribunale di Massa, nel rigettare la domanda di sfratto, ha fatto corretta applicazione del principio per cui la legittimazione attiva del comproprietario alla proposizione della domanda di risoluzione pro parte dimidia deve essere negata ove risulti l'espressa volontà contraria degli altri comproprietari per una quota maggioritaria o eguale della comunione.

Nella specie, la volontà contraria degli altri due comproprietari è emersa in maniera esplicita dal contenuto della loro costituzione in giudizio. Il dissenso non necessita, infatti, di essere espresso mediante ricorso a quella sacralità di forma espressa dall'art. 1105, comma 2, c.c. (v. Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2017, n. 5014; Trib. Milano 9 marzo 2018, n. 2846; App. Napoli 22 gennaio 2020, n. 148; Trib. Roma 3 ottobre 2017, n. 18627). Se per agire è sufficiente una presunzione di consenso e non la dimostrazione che i comunisti si sono riuniti in assemblea ed hanno deliberato a norma dell'art. 1105, comma 2, c.c., cioè con una maggioranza vincolante i dissenzienti, sarebbe del tutto contraddittorio esigere che la dimostrazione del venir meno della presunzione necessiti che il dissenso della maggioranza sia espresso in un'assemblea.

Ritenere altrimenti comporterebbe una palese disparità di trattamento tra il comunista che agisce da solo per compiere l'atto di ordinaria amministrazione (e lo può fare sulla base della presunzione del consenso degli altri o comunque della maggioranza dei comunisti) e i comunisti dissenzienti, per i quali il dissenso dovrebbe essere formalmente manifestato in un'assemblea (così Cass. civ., sez. II, 14 maggio 2013, n. 11553).

In altri termini, l'esegesi dell'art. 1105 c.c., una volta inteso il primo comma della norma nel senso di legittimare il singolo comunista ad agire in ordinaria amministrazione sulla base di una presunzione di consenso degli altri e senza che vi sia stata una deliberazione assembleare impone, per evidente coerenza, di ritenere che la manifestazione di consenso degli altri comunisti (fino a raggiungere la maggioranza o lo stesso valore della quota di chi ha compiuto l'atto) non debba avvenire necessariamente in un'assemblea, ma possa avvenire singolarmente. Sicché, la prova di tale manifestazione bene può essere data deducendo (come nella specie è avvenuto) il dissenso dell'altro comunista.

Il “conflitto” tra i comunisti può essere superato solo dalla prova dell'esistenza di una deliberazione favorevole all'azione espressa dalla maggioranza nelle forme proprie di cui all'art. 1105, comma 2, c.c., ovvero da provvedimento emesso dall'autorità giudiziaria a norma dell'art. 1105, comma 4, c.c. (v. Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2016, n. 1353).

Nel caso di specie, l'una e l'altro assenti.

Più interessante l'altra parte della sentenza con la quale il Tribunale ha rigettato l'eccezione di difetto di legittimazione attiva con riguardo alla domanda di condanna al pagamento dell'indennità di occupazione e al risarcimento danni per ritardato rilascio dell'immobile.

Adottando una interpretazione difforme dell'art. 1105 c.c. rispetto a quella di larga parte della giurisprudenza di merito e di legittimità - secondo cui la legittimazione attiva del comproprietario del bene locato pro parte dimidia deve essere negata ove risulti l'espressa volontà contraria degli altri comproprietari sia nel caso di domanda di condanna del conduttore alla risoluzione del contratto sia in quello di condanna al pagamento del canone, v. Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2017, n. 9556; Trib. Busto Arsizio 27 febbraio 2019, n. 350; Trib. Roma 3 ottobre 2017, n. 18627), il Tribunale toscano ha, invece, affermato che se l'azione di rilascio deve essere esercitata unitariamente (dal singolo ovvero dalla comunione) “per evidente infrazionabilità del relativo adempimento riguardo a un unitario compendio dato in locazione”, analoga considerazione non può essere svolta per quel che attiene alla domanda di pagamento dei canoni di locazione che, conseguentemente, è stata accolta.

La decisione si regge sue due ordini di considerazioni.

La prima fattuale: la circostanza che il contratto di locazione al suo interno prevedesse una clausola legittimante il conduttore al pagamento dei canoni in misura frazionata in favore dei locatori è stata ritenuta, di per sé, elemento convincente del diritto del locatore-comproprietario alla riscossione del credito dovuto nei limiti della quota di proprietà a esso spettante.

La seconda di natura giuridica e derivata dal principio enunciato da Cass. civ., sez. un.,4 luglio 2012, n. 11135, per il caso della locazione di cosa comune stipulata da un comproprietario all'insaputa degli altri (fattispecie, invero, diversa da quella in esame atteso che, nel caso che ci occupa, il contratto di locazione era stato stipulato previo consenso espresso dalla maggioranza della comunione). Nel caso di locazione della cosa comune stipulata da uno dei comproprietari, il comproprietario non locatore (che abbia ratificato l'operato del gestore) è legittimato a esigere dal conduttore la quota dei canoni corrispondente alla sua quota di proprietà indivisa (così, anche, Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2019, n. 25433).

Facendo una sintesi delle argomentazioni di cui sopra, il Tribunale di Massa ha escluso la sussistenza di un diritto di veto in capo agli altri comproprietari (ancorché dissenzienti) o, comunque, il potere di paralizzare ad libidum la domanda volta alla riscossione dei canoni (ovvero quella tesa alla indennità di occupazione) nei limiti della quota spettante all'attore. A maggior ragione, nel caso in cui (come nella specie) la parte costituita, che abbia eccepito il difetto di legittimazione attiva dell'attrice (tesa a paralizzare anche questa domanda), sia il legale rappresentante della società conduttrice morosa nella restituzione dell'immobile.

Riferimenti

De Tilla - Giove, Le locazioni abitative e non abitative, in Trattato teorico-pratico di diritto privato, diretto da Alpa e Patti, Padova, 2009, 368;

De Tilla, Le locazioni, Milano, VII ed., vol. II, 2017, 943;

De Stefano - Di Marzio - Giordano - Masoni, Le locazioni immobiliari, Milano, 2019, 279;

Di Marzio - Di Mauro, Il processo locatizio - Dalla formazione all'esecuzione del titolo, in Trattati a cura di Paolo Cendon, Milano, II ed., 2011, 299;

Di Marzio - Falabella, La locazione, Contratto - Obbligazioni - Estinzione, tomo II, Torino, 2010, 1341;

Dogliotti, Comunione e condominio, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, 2006, 94.

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