Diritto di passo su scala esterna in regime di condominio

17 Dicembre 2020

Confermando la sentenza di primo grado, la Corte d'Appello di Genova ha ritenuto che l'inciso contenuto nell'atto, con cui l'originario unico proprietario di uno stabile aveva alienato un'unità abitativa ed a tenore del quale “per accedere alla terrazza-tetto i compratori hanno diritto di passo sull'attuale scala esterna, interposta tra la porzione alienata e la residua proprietà della venditrice”, fosse idoneo ad attribuire, agli acquirenti, una servitù di passaggio e non un diritto personale di godimento.
Massima

L'espressione riportata nell'atto con cui l'originario unico proprietario dell'edificio ha venduto un'unità immobiliare in esso compresa e prevedente che, “per accedere alla terrazza-tetto i compratori hanno diritto di passo sull'attuale scala esterna, interposta tra la porzione alienata e la residua proprietà della venditrice”, deve ritenersi titolo negoziale costitutivo di servitù di passaggio in favore degli acquirenti, e non già attributivo di un diritto personale di godimento.

Il caso

I comproprietari di un'unità immobiliare chiedevano che, in contradditorio con i comproprietari di contigua abitazione, venisse accertata l'insussistenza di servitù di passaggio su di una scala esterna coperta, ed essa annessa, a mezzo della quale accedevano al proprio immobile e che era utilizzata, dai convenuti, per pervenire al vano sottotetto sovrastante il proprio appartamento per il cui ingresso, in occasione di ristrutturazione, avevano proceduto all'apertura di una porta corredata di persiana.

L'adìto tribunale di Genova rigettava la domanda rilevando, in adesivo recepimento delle difese dei convenuti, che l'atto con cui l'originaria unica proprietaria dell'intero complesso immobiliare aveva alienato l'immobile che, a seguito di ulteriori passaggi traslativi, era successivamente pervenuto in loro attuale titolarità dominicale aveva previsto, in favore dei “compratori”, il “diritto di passo” su detta scala e, accogliendo relativa domanda riconvenzionale, dichiarava l'esistenza, in loro favore, di servitù di passaggio.

I comproprietari soccombenti proponevano appello, sostenendo che il richiamato titolo convenzionale aveva attribuito, agli acquirenti, un diritto personale di durata limitata alla loro vita e non aveva costituito una servitù.

La questione

La Corte di secondo grado ha dovuto, quindi, accertare l'esistenza, in capo agli appellati, di un titolo in forza del quale poter affermare, in favore della unità immobiliare in loro proprietà esclusiva, il diritto di passaggio attraverso la scala che conduce all'abitazione degli appellanti, oltre che la sua natura, reale o meramente obbligatoria.

Tale pretesa, così come fatta valere, si sarebbe potuta, infatti, inscrivere negli schemi della servitù prediale ex artt. 1027 ss. c.c. poiché si sarebbe sostanziata in un peso, a carico di bene immobile - nella specie, la scala a mezzo della quale gli appellati accedono alla propria abitazione - per il perseguimento di utilità facenti capo ad altro immobile in aliena appartenenza.

Nel pertinente ordito normativo di disciplina (art. 1031 c.c.), le servitù possono essere costituite coattivamente o per atto negoziale e a tali forme tipiche se ne affiancano ulteriori, pure oggetto di espressa previsione di legge, indicate nell'usucapione o nella “destinazione per padre di famiglia”.

Il medesimo risultato pratico finale avrebbe, poi, potuto essere conseguito, sempre in via convenzionale, attraverso un atto di natura obbligatoria e, in quanto tale, vincolante per le sole parti del relativo negozio giuridico attributivo.

Lo scrutinio del giudice d'appello sì è, quindi, esplicato nell'accertare, sulla scorta di quanto dedotto e provato e delle risultanze istruttorie del primo grado, se potesse essere convalidata la decisione impugnata che, come detto, aveva affermato l'esistenza di un diritto di servitù derivante da contratto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte distrettuale ligure ha ritenuto corretto l'apparato motivo e decisionale della sentenza di prime cure, sostenendo che l'atto con cui l'originaria unica proprietaria del complesso immobiliare aveva alienato l'unità successivamente pervenuta agli appellanti, nella parte in cui stabiliva che, “per accedere alla terrazza-tetto i compratori hanno diritto di passo sull'attuale scala esterna, interposta tra la porzione alienata e la residua proprietà della venditrice”, aveva costituito, in via convenzionale, una servitù a favore del cespite attribuito agli acquirenti, sulla cui copertura era stato successivamente ricavato un sottotetto praticabile.

Perveniva, a tale conclusione, sulla scorta di un'esegesi del richiamato inciso dell'atto di compravendita che, come evidenziato dalle prove testimoniali assunte, aveva avuto concreta attuazione con l'utilizzo della scala da parte dei proprietari dell'unità immobiliare in attuale titolarità degli appellati.

Tale opzione decisoria determinava il rigetto del motivo di gravame che tendeva, invece, ad affermare che il richiamato titolo negoziale aveva attribuito un diritto di natura personale.

Osservazioni

La sentenza in esame offre interessanti spunti di riflessione il cui sviluppo potrebbe aprire la strada ad alternative soluzioni giuridiche della questione posta all'attenzione del decidente.

Il procedimento di prime cure nasce come actio negatoria ma ha trovato, invece, definizione, in accoglimento di relativa istanza articolata in via riconvenzionale, con una pronuncia confessoria, dichiarativa dell'esistenza di servitù di passaggio di cui il giudicante ne ha affermato la derivazione contrattuale dall'atto con cui il proprietario dell'intero complesso edificatorio aveva venduto l'immobile in attuale titolarità dominicale degli appellati, espressamente prevedendo, in loro favore, l'impiego della scala “interposta tra la porzione alienata e la residua proprietà della venditrice per consentire l'accesso alla superficie di copertura dell'abitazione acquistata.

Trattasi, quindi, di un atto negoziale che ha determinato una situazione di alterità quanto alla proprietà dei cespiti compresi in una unica struttura immobiliare che, in precedenza, appartenevano al solo alienante ed ha, così, comportato la nascita di una situazione reale condominiale.

Com'è noto, il condominio si costituisce, hic et nunc, per effetto del trasferimento, a terzi, della proprietà solitaria di unità immobiliare compresa in un edificio appartenente ad un unico titolare e determina la comproprietà delle parti comuni - funzionali all'utilizzo e al godimento delle porzioni in titolarità individuale - come individuate dall'art. 1117 c.c., fatta salva differente espressa indicazione in via convenzionale.

Tra esse, per dettato legislativo, rientrano anche “le scale”.

Può, pertanto, sostenersi che anche la scala di cui si controverteva rientrava tra i beni comuni che, ex lege, erano oggetto di comproprietà condominiale.

Ciò avrebbe potuto affermarsi in forza di un duplice motivo concorrente, sia considerando il dato di legge, sia in ragione della funzione cui, in concreto, assolveva, ossia consentire l'accesso a due differenti cespiti immobiliari ad essa adiacenti.

Deve, per altro verso, osservarsi che, come anche evidenziato dall'esegesi del giudice nomofilattico, il proprietario di un edificio composto da singole unità può predeterminarne o modificarne l'assetto anche in vista delle future vendite di ciascuna.

Per effetto ed in conseguenza dell'alienazione del “piano o porzione di piano” si determina, quindi, da un lato il trasferimento della proprietà delle parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c. e l'insorgere del condominio, dall'altro la costituzione di servitù a vantaggio ed a carico delle unità immobiliari dei singoli acquirenti, secondo lo schema della destinazione del padre di famiglia (Cass. civ., sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287).

Pertanto, con riferimento al caso di specie, la scala dedotta in giudizio avrebbe potuto essere o oggetto di comproprietà condominiale ovvero, qualora ricompresa nella proprietà solitaria degli appellanti (e ciò, a titolo esemplificativo, in ragione di eventuale relazione di pertinenzialità ex art. 817 c.c. con la loro abitazione) gravata da servitù di passaggio costituita in favore dell'unità immobiliare della parte acquirente in forza dell'atto traslativo da cui il condominio si sarebbe originato.

Tale inquadramento della fattispecie avrebbe, così, consentito di affermare, in capo agli appellati, il diritto di utilizzare la scala in contesa in forza di alternativo titolo originario costituito o dal diritto di utilizzo dei beni comuni, ai sensi degli artt. 1102 e 1117 c.c., ovvero in forza di servitù su di essa esistente e costituita per destinazione del padre di famiglia ex art. 1062 c.c.

Sulla scorta di tali rilievi, ci si deve, quindi, interrogare sull'effettiva valenza e contenuto dell'inciso riportato nell'atto di vendita e che sia il decidente di primo grado che quello del gravame hanno valorizzato per ritenere costituta, in favore dell'unità immobiliare alienata, servitù di passaggio.

In alternativa alla patrocinata lettura, potrebbe fondatamente sostenersi che l'intento perseguito dalla parte alienante fosse proprio diretto ad escludere la condominialità della scala, limitando, in favore del solo primo acquirente, il diritto di passaggio.

Per elidere la comproprietà condominiale di una porzione immobiliare che potrebbe inquadrarsi tra le “parti comuni - o perché compresa nell'elencazione, non tassativa, riportata dall'art. 1117 c.c. ovvero in ragione dell'utilità in concreto assicurata alle unità in proprietà esclusiva - è necessario che l'atto traslativo dal quale si origina il condominio rechi previsione in tal senso (così, da ultimo, Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2018, n. 20963).

Se, quindi, si considera che, indipendentemente da indicazione alcuna dell'alienante, gli acquirenti avrebbero comunque potuto usufruire della scala de qua per pervenire alla copertura dell'unità immobiliare che era loro contestualmente ceduta o perchè bene comune di cui divenivano comproprietari ex lege o in forza di relativa servitù di passaggio costituita per destinazione del padre di famiglia (laddove la sua dominicalità fosse residuata in capo alla parte venditrice), il richiamato inciso negoziale avrebbe un proprio autonomo contenuto precettivo, non meramente ricognitivo di una situazione già legalmente predicabile, solamente laddove si ritenesse attributivo di un diritto personale di passaggio in favore degli acquirenti, escludendone profilo alcuno di realità.

In tale lettura, potrebbe, quindi, riscontrarsi l'intenzione effettivamente perseguita dalle parti che l'interprete deve tenere in primaria considerazione nell'esegesi degli atti contrattuali, in applicazione dei canoni postulati dagli artt. 1362 ss. c.c.

Né, poi, l'ulteriore profilo, valorizzato dalle corti liguri, per il quale, per come evidenziato dalle prove testimoniali assunte, tutti i proprietari dell' unità immobiliare pervenuta, da ultimo, agli appellati avevano fatto regolare utilizzo della scala può essere letto quale dato fattuale che potrebbe avvallare la decisione assunta, trattandosi, invece, quanto agli originari acquirenti di esercizio del diritto loro attribuito, quanto ai loro aventi causa, di situazione in ipotesi utile per l'eventuale acquisito per usucapione della postulata servitù di passaggio.

Guida all'approfondimento

De Tilla, Sui bei condominiali può esistere un diritto di servitù?, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 7;

Marseglia, Presunzione di comproprietà delle parti comuni di un edificio ex art. 1117 c.c. e regime probatorio, in Giustiziacivile.com, 9 ottobre 2019;

Morello, Parti comuni dell'edificio: come vincere la presunzione, in Diritto & giustizia, 2018, fasc. 192, 4.

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