Affitti turistici e regolamento condominiale
18 Dicembre 2020
Massima
Il “decoro” cui fa riferimento il regolamento di condominioè dato da quell'insieme di comportamenti di convivenza civile e di rispetto per gli altri, che consentono una vita dignitosa all'interno del condominio che non può essere violato. I disagi posti in essere in condominio dai conduttori in relazione a tutti gli affitti brevi e ad uso turistico possono costituire violazione del decoro di una casa adibita ad abitazione civile o ad uffici commerciali o professionali, tutelato dal regolamento condominiale. Nella specie, i disagi, cui erano stati sottoposti i condomini erano stati numerosi, di varia natura e frequenti: i continui arrivi e partenze a tutte le ore del giorno e della notte, gli assembramenti nell'atrio condominiale, il rumore da trascinamento delle valigie, il vociare degli ospiti agli arrivi e alle partenze, l'errata raccolta differenziata dei rifiuti, l'abbandono di sacchi della spazzatura sui pianerottoli, le urla e i colpi sulla porta degli ospiti rimasti chiusi nel cortile. Tali disagi erano riconducibili all'attività posta in essere dai conduttori soprattutto in relazione agli affitti brevi ad uso turistico, non avendo incidenza alcuna la presenza di altri immobili presenti nello stesso stabile locati ad uso ufficio e di cui è stata ordinata la cessazione, con applicazione, per ogni ritardo, delle sanzioni di cui all'art. 614-bis c.p.c. Il caso
Con atto di citazione regolarmente notificato, il Condominio conveniva in giudizio due condomini, formulando le seguenti conclusioni: 1) accertare che l'attività esercitata nel Condominio, dal Sig. condomino “x” nei propri appartamenti e dalla società “y”, negli appartamenti detenuti in leasing immobiliare, costituisce attività di bed & breakfast ovvero attività di residenza turistico alberghiera o comunque avente natura ricettiva alberghiera; 2) accertare che la suddetta l'attività posta in essere dai condomini non è consentita dal regolamento di condominio che vieta espressamente di destinare i locali di proprietà esclusiva ad alberghi, ristoranti, pensioni, camere d'affitto; 3) accertare che la suddetta attività non è consentita dal regolamento di condominio, in quanto lede il decoro, la sicurezza e la tranquillità del Condominio e poiché lo stesso regolamento di condominio vieta di occupare in qualsiasi modo - anche temporaneamente - per uso che non sia di interesse generale, i locali le aree e gli spazi di uso comune; 4) accertare che l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani è vietato dal regolamento di condominio; 5) ordinare al condomino “x” di cessare ogni attività di tipo turistico/alberghiero, di bed & breakfast e di affìtti brevi; 6) ordinare ai Sigg.ri condomini “x” e “y”, di cessare l'utilizzo degli ascensori per il trasporto delle lenzuola e degli asciugamani; 7) fissare, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., la somma di denaro, che si richiede nella misura di € 3.000,00 al giorno, che sarà dovuta per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento da parte dei condomini. L'art. 3, lett. a), del regolamento di condominio recitava: “è vietato: a) ogni godimento che possa recare pericolo di danno allo stabile ed agli abitanti di esso, o che contrasti col decoro della casa che si vuole destinare ad uso abitazione civile od uffici commerciali e professionali. I proprietari non potranno, pertanto, destinare, né lasciare destinare i loro locali spettanti, ad uso uffici pubblici, alberghi, ristoranti, pensioni, camere d'affitto, scuole di canto o di musica, asili d'infanzia e ricoveri, istituti di esercizi fisici, laboratori, sale da ballo, ritrovi, agenzie di qualunque specie, case di salute, dandosi atto che tutte tali specificazioni sono esemplificative e non tassative; b) di esercitare industrie; c) di occupare in qualsiasi modo, anche temporaneamente, per uso che non sia di interesse generale, i locali le aree e gli spazi di ragione comune e di usare gli ascensori per scopi qualsiasi, all'infuori del trasporto d persone”. Si costituivano i condomini “x” e “y”, con comparsa di costituzione e risposta rassegnando le seguenti conclusioni: 1) accertare e dichiarare che l'attività posta in essere dalle odierne convenute è lecita e conforme alle attività consentite dal regolamento di condominio e, per l'effetto, rigettare tutte le domande avanzate da controparte; 2) accertare e dichiarare che l'attività posta in essere dalle odierne convenute non lede in alcun modo il decoro, la sicurezza e la tranquillità del condominio e, per l'effetto, rigettare tutte le domande avanzate da controparte. Il giudice assegnava, su richiesta delle parti, i termini previsti dall'art. 183, comma 6, c.p.c. per il deposito delle memorie di cui ai nn. 1), 2) e 3) del predetto articolo, e successivamente ammetteva la prova per testi e per interpello richiesta dal Condominio nonché la prova per testi articolata dalla parte convenuta. Dopo l'escussione dei testi e l'interrogatorio formale dei convenuti, il giudice rinviava la causa per la precisazione delle conclusioni, sicché, previo deposito delle comparse conclusionali, le parti discutevano la causa ex art. 281-quinquies, comma 2, c.p.c. e il giudice tratteneva la causa in decisione.
La questione
In assenza di divieti contenuti nel regolamento condominiale contrattuale, la destinazione delle unità immobiliari può essere liberamente decisa dal condomino, con i limiti di cui all'art. 1122 c.c., come riformato dalla l. n. 220/2012, nel senso che, “nell'unità immobiliare di sua proprietà, ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni, ovvero determinano pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza e al decoro architettonico. In ogni caso, è data preventiva notizia all'amministratore che riferisce all'assemblea”. Il novellato art. 1122 c.c. non ha, peraltro, stravolto la disciplina previgente, in tema di uso della proprietà esclusiva e di cambio di destinazione d'uso della proprietà esclusiva sicché, anche nel regime del vigente art. 1122 c.c., i divieti ed i limiti di destinazione delle proprietà esclusive possono essere formulati nei regolamenti mediante elencazione delle attività vietate o mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. In quest'ultimo caso, tali limiti e divieti devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro non suscettibile di dare luogo a incertezze. Fermo restando che, salvo diverse disposizioni del regolamento contrattuale, in materia non può disporre né il regolamento assembleare, né una delibera assembleare adottata a maggioranza. In tema di divieti, occorre peraltro tener conto - oltre che del regolamento condominiale - anche delle limitazioni derivanti dalle norme del codice civile o del codice penale, delle norme urbanistico-edilizie che vietino determinate destinazioni d'uso delle proprietà esclusive; dei regolamenti di pubblica sicurezza o di polizia urbana o di altre autorità amministrative e, infine, delle leggi speciali che disciplinano l'esercizio di determinate attività. Con la conseguenza che l'utilizzo delle proprietà esclusive può incontrare limiti interni al condominio (norme del regolamento), che i condomini interessati possono far valere direttamente (ad esempio, in materia di immissioni) e limiti esterni (ad esempio, uso dell'unità immobiliare in modo difforme dalla licenza o concessione edilizia). In tale ultimo caso, i condomini possono far valere tali limiti, solo indirettamente, provocando l'intervento dell'autorità amministrativa, laddove l'utilizzo della proprietà esclusiva sia incompatibile con i regolamenti igienici, con i regolamenti edilizi, con le norme sulla prevenzione incendi o altro. Ciò a parte, vale soffermarsi su una serie esemplificativa di attività consentite o precluse dal regolamento al singolo condomino evidenziando che, per la giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 2016, n. 108; contra, Trib. Roma 18 gennaio 2017, n. 727), l'attività di bed & breakfast e di affittacamere si contrappone all'uso abitativo, in quanto assimilabile all'attività alberghiera: tali attività non possono essere avviate o svolte se il regolamento contrattuale vieti usi diversi da quello abitativo o comunque incompatibili con la tranquillità e la sicurezza dell'edificio condominiale. Si consideri che le clausole del regolamento - che impongono restrizione ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà - sono opponibili anche ai conduttori delle singole unità. E, dunque, ove si verifichi la violazione di disposizioni inserite nel regolamento condominiale, il condominio - sempre che sia provata l'operatività della clausola limitativa ovvero la sua opponibilità al condomino locatore - può chiedere nei diretti confronti del conduttore, la cessazione della destinazione abusiva e l'osservanza in forma specifica delle prescritte limitazioni, non potendo il conduttore beneficiare di una posizione diversa da quella del condomino suo locatore (Cass. civ., sez. II, 8 marzo 2006, n. 4920). Si tenga anche presente che, per la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2012, n. 10185), il conduttore di un immobile sito in un fabbricato condominiale può obbligarsi direttamente nei confronti del condominio, mediante accordo con lo stesso, a rispettare il regolamento di condominio, pur se questo non sia impegnativo per il condomino locatore. Nel caso di pattuita utilizzazione a fini produttivi dell'immobile locato - ove quest'ultima sia resa impossibile non da un limite di destinazione del bene esclusivo ma da una delibera concernente la disciplina delle modalità di uso e di godimento delle parti comuni, approvata con una maggioranza qualificata cui sia rimasto estraneo il locatore - si verifica, in favore di quest'ultimo, la estinzione liberatoria delle obbligazioni ex artt. 1575 e 1577, comma 1, c.c., nei confronti del conduttore, alla stregua della disciplina della impossibilità sopravvenuta della prestazione. Vale qui rammentare che per l'art. 12, comma 3, del Codice del turismo (allegato al d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, in Gazzetta ufficiale n. 129 del 6 giugno 2011, in vigore dal 21 giugno 2011),i B&B sono “strutture ricettive a conduzione e organizzazione familiare, gestite da privati in forma non imprenditoriale, che forniscono alloggio e prima colazione, utilizzando parti della stessa unità immobiliare purché funzionalmente collegate e con spazi familiari condivisi”. L'attività di B&B include il pernottamento nonché la prima colazione, in ciò differenziandosi in parte dalla mera attività di “affittacamere”, fermo restando che la materia del B&B è prevalentemente regolata da leggi regionali, che si rifanno tutte alla l. 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo). Quanto in particolare all'esercizio del bed & breakfast in condominio, la sentenza della Corte Costituzionale 14 novembre 2008, n. 369, ha dichiarato illegittimo l'art. 45, comma 4, della l. Regione Lombardia 16 luglio 2007, n. 15, per il quale “l'attività è esercitata in case unifamiliari o, previa approvazione dell'assemblea dei condomini, in unità condominiali; comunque l'esercizio dell'attività non determina il cambio della destinazione d'uso dell'immobile”. Con la richiamata pronuncia, la Consulta ha ribadito che, nelle materie di competenza legislativa regionale, residuale o concorrente con quella dello Stato, la legislazione regionale deve rispettare l'art. 117, comma 2, lett.l), Cost., per il quale la norma regionale non può interferire con la materia dell'«ordinamento civile». Nella specie, la norma regionale - censurata nella parte in cui subordinava all'autorizzazione dell'assemblea condominiale l'esercizio dell'attività di bed & breakfast, ancorché inserita in un contesto di norme dettate a presidio delle finalità turistiche - non poteva interferire sul rapporto civilistico tra condomino e condominio, sicché la norma regionale doveva ritenersi incostituzionale laddove interferiva con la materia dell'ordinamento civile, riservata all'esclusiva competenza legislativa dello Stato. Con la conseguenza che, in materia di bed & breakfast, deve prevalere il regolamento contrattuale o una convenzione contrattuale. Per una parte della giurisprudenza, l'attività di B&B, è sovrapponibile all'attività alberghiera e come tale è inibita nei condomini a esclusivo uso abitativo (Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2015, n. 704; Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 2010, n. 26087; Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2014, n. 24707). Altra parte ha tuttavia sostenuto che l'esercizio dell'attività di bed & breakfast non presuppone l'utilizzo degli appartamenti per scopi diversi da quello abitativo, non essendo necessario il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici, posto che tale vincolo d'uso costituisce presupposto per il suo esercizio, essendo tale attività - sia essa svolta in forma imprenditoriale o non - pienamente compatibile con la destinazione abitativa dell'unità immobiliare in cui essa si svolge (Trib. Verona, 22 aprile 2015), a prescindere da eventuali immissioni intollerabili e da eventuali disposizioni regolamentari non contrattuali, in tema di tranquillità e sicurezza dei condomini. Quanto all'attività di affittacamere, l'art. 12, comma 2, del Codice del turismo, definisce come affittacamere l'affittanza in “strutture ubicate in più appartamenti ammobiliati nello stesso stabile, nei quali sono forniti alloggio ed eventualmente servizi complementari”. Per affittacamere, si intende, l'attività di chi concede una o più camere del proprio appartamento in locazione a terzi, dietro versamento di un corrispettivo. Anche l'attività di affittacamere soggiace comunque alle leggi regionali, che integrano la disciplina nazionale, prevedendo altri requisiti e standard qualitativi oppure, meglio descrivendo i contenuti minimi del servizio (arredo, servizi igienici, impiantistica, e quant'altro). L'attività di affittacamere è - in quest'ottica - una vera e propria attività commerciale, che comprende oltre al servizio di alloggio, i tipici servizi che fanno parte dell'attività alberghiera. Quanto alle locazioni turistiche, l'art. 12, comma 5 del Codice del turismodefinisce le locazioni turistiche come attività in “strutture case o appartamenti, arredati e dotati di servizi igienici e di cucina autonomi, dati in locazione ai turisti, nel corso di una o più stagioni, con contratti aventi validità non inferiore a 7 giorni e non superiore a 6 mesi consecutivi senza la prestazione di alcun servizio di tipo alberghiero”. In altri termini, la locazione turistica è volta solo alla locazione di un immobile o di parte di esso, a clienti esterni - a fronte della corresponsione di un corrispettivo - senza la prestazione di ulteriori servizi aggiuntivi (somministrazione di alimenti o bevande, cambio giornaliero di biancheria, ecc.). Discorso a parte meritano gli affitti brevi, previsti dall'art. 2, comma 2, del D.M. Infrastrutture del 16 gennaio 2017. Per tali affitti brevi, il richiamato art. 2, secondo comma, stabilisce che il canone di locazione e la ripartizione degli oneri accessori relativi ai contratti, con durata pari o inferiore a 30 giorni, sono rimessi alla libera contrattazione delle parti. In particolare, per tali contratti è libero il canone, è libera l'individuazione degli oneri accessori, non vi è obbligo di documentare la transitorietà e il modello contrattuale è semplificato. Per affitti brevi devono intendersi quelli conclusi da persone fisiche, al di fuori dell'esercizio dell'attività di impresa, per i quali non sussiste l'obbligo di registrazione, se non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata. Rientrano nell'ambito delle locazioni brevi anche i contratti che prevedano la prestazione di servizi accessori (fornitura della biancheria, pulizia dei locali, ecc.), ma non vi rientrano i contratti con i quali il locatore fornisca ulteriori prestazioni aggiuntive (per esempio, servizio di colazione e somministrazione di bevande), posto che in tal caso i contratti devono ricondursi ad una prestazione qualificabile, sotto il profilo fiscale, come attività di impresa, anche se svolta in maniera occasionale. Per l'opinione prevalente, la previsione dei “servizi di fornitura di biancheria e di pulizia” nulla aggiunge né toglie alla disciplina civilistica della locazione breve e chiarisce solo che l'immobile può essere locato già pulito e dotato di biancheria. La giurisprudenza di legittimità ha sul punto ritenuto che l'offerta di servizi volti a favorire un soggiorno piacevole agli ospiti integra comunque le caratteristiche dei contratti “di alloggio” (in albergo, o in residence o comunque in struttura ricettiva) o di “ospitalità turistica”. In particolare, la Cassazione ha differenziato il contratto di ospitalità in residence dalla locazione proprio per l'offerta di servizi ad personam ontologicamente alberghieri che accompagna l'offerta di alloggio, anche se l'ospite decide di non utilizzarli. Si tenga presente che, dopo essere intervenuto in materia tributaria con l'art. 4 del d.l. n. 50/2017, il legislatore si è nuovamente occupato delle locazioni brevi con il d.l. n. 113/2018 stabilendo che, a partire dal 4 dicembre 2018, chi affitta la propria casa vacanza, anche per periodi brevi, ha l'obbligo di comunicare alla Questura le generalità delle persone che vi soggiornano. Tale obbligo è stato imposto attraverso l'interpretazione autentica dell'art. 109 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al r.d. 18 giugno 1931, n. 773. Resta fermo che l'eventuale registrazione assorbe l'obbligo di comunicazione alle Autorità di P.S., di cui all'art. 12 del d.l. n. 59/1978. In tema di affitti brevi, vale segnalare il contratto-tipo di locazione breve con finalità turistica tra persone fisiche promosso dalla Camera di Commercio di Milano, Monza-Brianza e Lodi nel novembre 2019, che ha riacceso le polemiche sulla discussa possibilità per il locatore di offrire, oltre all'alloggio, anche alcuni servizi di guest care (si veda il contratto tipo e linee-guida locazione breve di immobile, del novembre 2019). Il regime delle locazioni brevi si applica comunque anche alle sublocazioni, ai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario - quando abbiano ad oggetto il godimento dell'immobile da parte di terzi - nonché ai contratti di locazione di singoli locali di una abitazione. Attraverso la fattispecie delle locazioni brevi può anche realizzarsi il servizio di “case vacanza”, con contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi compresi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell'esercizio di attività d'impresa, direttamente o tramite soggetti in essi che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare. L'aspetto più appetibile delle locazioni brevi è rappresentato sia dal benefìcio fiscale consistente nella possibilità per il locatore di optare per la c.d. cedolare secca, sia dall'assenza dell'obbligo di registrazione fiscale, trattandosi di locazioni di durata non superiore a trenta giorni e di atti che rientrano tra quelli per i quali la registrazione è richiesta soltanto in caso d'uso (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, tariffa II - parte II - Atti soggetti a registrazione solo in caso d'uso, il cui art. 2-bis, che recita: “Locazioni ed affitti di immobili, non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell'anno”).Benefìci, questi, che non spettano tuttavia ai locatori di “case vacanza”, di regola assimilate dalle leggi regionali alle strutture alberghiere esercitate con attività di impresa. Le soluzioni giuridiche
La questione dell'opponibilità delle norme del regolamento condominiale contenenti vincoli alla proprietà individuale o sulle parti comuni, non può essere risolta se non alla stregua del principio fondamentale di cui all'art. 1372 c.c., per il quale gli atti negoziali producono effetti soltanto tra le parti. Circa il problema della opponibilità dei vincoli regolamentari nei confronti degli aventi causa dagli originari condomini, in un primo momento la giurisprudenza ha ritenuto di far rientrare nei poteri dei privati la facoltà di limitare convenzionalmente il diritto di proprietà, inquadrando tali vincoli tra le obbligazioni propter rem o tra gli oneri reali. Successivamente la Suprema Corte ha cambiato orientamento affermando - tanto con riferimento alle obbligazioni propter rem che agli oneri reali - il principio della tipicità dei diritti reali, con la conseguenza che all'autonomia privata deve ritenersi preclusa la facoltà di porre in essere vincoli, oltre i casi previsti dalla legge. E ciò, in quanto il moltiplicarsi di tali limitazioni - che possono assumere efficacia reale se trascritte - oltre che impedire la libertà degli immobili, costituisce anche un danno economico (Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1955, n. 3544). Il riconoscimento della tipicità di tali limiti coincide con quello dell'ammissibilità delle servitù reciproche con conseguente riconducibilità in tale categoria - per sua natura di contenuto atipico presupponendo solo un vincolo tra due fondi - di determinate limitazioni che non possono essere inquadrate in altro modo. Negli ultimi anni, la giurisprudenza richiamata si è, tuttavia, andata consolidando nel senso che - pur essendo univoca la natura giuridica dei limiti alla proprietà individuale prevista in un regolamento condominiale - ammette la natura reale dei limiti in questione e la loro opponibilità ai terzi aventi causa, se trascritti nei registri immobiliari o comunque accettati dai nuovi condomini. In tempi più recenti, le pronunce giudiziali hanno optato per far rientrare i vincoli di destinazione nella categoria dei limiti pattizi al diritto di proprietà, categoria che trova la sua nota peculiare nel fatto che, al contrario degli oneri reali e delle obbligazioni propter rem, non esiste un obbligo di rispettare il vincolo ma “un non potere puro e semplice di godere della cosa di proprietà esclusiva, se non a certe condizioni e in un certo modo” (così Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1985, n. 3848). I vincoli di destinazione imposti alla proprietà esclusive sono opponibili agli acquirenti a titolo particolare delle unità immobiliari site nel condominio, se debitamente trascritti oppure espressamente accettati dal condomino subentrante. Per l'efficacia della trascrizione, è necessaria la completezza della relativa nota, tanto dal punto di vista soggettivo che da quello oggettivo: la nota deve infatti indicare il contenuto essenziale del titolo di cui si chiede la trascrizione e menzionare con chiarezza i negozi giuridici a cui si vuole dare pubblicità, in modo che dall'esame di essa sia possibile accertare a favore e a carico di chi la trascrizione debba conseguire i suoi effetti e quali siano i vincoli che gravano sul bene (Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1974, n. 3525). Fermo restando che l'art. 2659, comma 1, n. 2), c.c., deve essere letto in coordinamento con il successivo art. 2665 c.c., per il quale, l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validità della trascrizione salvo che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto e fermo restando che la trascrizione, non già del singolo atto di compravendita ma del regolamento condominiale, comporta problemi pratici, posto che le fattispecie trascrivibili costituiscono un numero chiuso (art. 2635 c.c.), con la conseguenza che i titoli per la trascrizione sono soltanto la sentenza, l'atto pubblico, la scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente (art. 2657 c.c.). In mancanza di trascrizione, i vincoli di destinazione delle unità immobiliari possono essere opposti agli aventi causa a titolo particolare, solo quando risultino specificamente dedotti ed accettati nei singoli atti di compravendita. Ciò vale ovviamente solo per gli aventi causa a titolo particolare, non anche per gli eredi, che subentrano nella stessa posizione giuridica del loro dante causa. Per una parte della giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 2016, n. 21024), la previsione - contenuta in un regolamento condominiale contrattuale - di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, deve essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obbligazioni propter rem, non configurandosi in tal caso il presupposto dell'agere necesse nel soddisfacimento d'un corrispondente interesse creditorio. Pertanto, l'opponibilità ai terzi acquirenti di tali limiti va regolata secondo le norme proprie della servitù, e dunque avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, indicando nella nota di trascrizione, ai sensi dell'art. 2659, comma 1, n. 2), c.c. e dell'art. 2665 c.c., le specifiche clausole limitative, non essendo sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale. Quanto detto a proposito dei vincoli sulla proprietà individuale vale anche per la opponibilità dei vincoli sulle parti comuni, salvo che per le limitazioni intese al miglior godimento dei beni comuni, contenute anche in un regolamento approvato a maggioranza (in questo senso, Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1986, n. 7515). Osservazioni
La norma regolamentare, nel caso della pronuncia milanese è fondato sul divieto di pregiudicare il decoro della casa e contiene la precisazione, dopo l'enunciazione degli usi vietati, “che tutte tali specificazioni sono esemplificative e non tassative”. Tale previsione sembra contrastare con la granitica affermazione giurisprudenziale secondo cui i limiti e i divieti regolamentari devono risultare da espressioni incontrovertibili ed essere tassativamente definiti. Senonché tali limiti, anche se non tassativi, sono comunque limiti contrattuali accettati dal condomino e compatibili con le norme dispositive e derogabili, dettate in materia di bed & breakfast, di affittacamere, di affitti brevi e di affitti turistici. Tanto più che la previsione contrattuale in questione è del tutto compatibile con il principio della accessorietà strumentale tra parti comuni condominiali e proprietà individuale, che connota l'istituto condominiale. D'altra parte, il condominio degli edifici costituisce l'emblema del rapporto di accessorietà tra proprietà comune e proprietà individuali, atteso che il rapporto di accessorietà connota l'attribuzione del diritto di comproprietà sulle parti dell'edificio contemplate dall'art. 1117 c.c., necessarie per l'esistenza o per l'uso delle proprietà individuali ovvero destinate al loro uso o servizio. Formano oggetto del diritto del condomino - facente capo ai singoli proprietari delle unità abitative individuali - le cose, gli impianti ed i servizi enunciati in modo espresso o richiamati per relationem dall'art. 1117 c.c., sempreché le proprietà individuali siano caratterizzate dal collegamento da accessorio a principale, che unisce le cose e gli impianti ed i servizi di uso comune, con le unità immobiliari in proprietà individuale. La relazione di accessorietà costituisce il fondamento del diritto di condominio degli edifici, posto che la normativa condominiale tutela l'interesse ad utilizzare e godere le cose, gli impianti ed i servizi comuni, in funzione della utilizzazione e del godimento delle unità immobiliari in proprietà individuale. Il condominio presuppone il collegamento obiettivo tra i beni comuni e quelli propri e, quindi, il nesso tra l'interesse a servirsi delle parti comuni e quello a godere delle unità immobiliari in proprietà solitaria: nesso che della connessione tra i beni propri e i beni comuni costituisce la proiezione soggettiva. E, dunque, poiché l'accessorietà, definisce i termini dell'interesse in concreto, essa raffigura il fondamento della attribuzione del diritto di condominio sulle parti dell'edificio contemplate dall'art. 1117 c.c., che sono necessarie per l'esistenza o per l'uso di taluni piani o porzioni di piano, ovvero che sono destinate al loro uso o servizio. Tale relazione di accessorietà si configura come un collegamento strumentale, materiale e funzionale delle parti comuni, rispetto alle proprietà individuali sicché, soggettivamente, ciascun partecipante ha interesse ad essere titolare del diritto solo relativamente alle cose, agli impianti e ai servizi necessari per l'esistenza o per l'uso, ovvero destinati all'uso o al servizio della propria unità abitativa, con esclusione delle proprietà individuali non servite da una determinata parte comune. Per la dottrina, nell'edificio condominiale, due tipi di beni formano oggetto di diritti diversi: costituiscono proprietà solitaria, superficiaria o separata, i piani e le porzioni di piano; costituiscono condominio, le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune. La specificità del condominio negli edifici consiste proprio nel collegamento tra titolarità del diritto di proprietà solitaria sulle unità abitative e titolarità della situazione soggettiva concernente le parti comuni. Secondo i canoni metodologici consueti, la rilevanza e gli effetti del collegamento tra i due diritti si chiariscono muovendo dalla disamina delle norme e della realtà, che le norme considerano: in particolare, del nesso giuridicamente rilevante che tra i beni intercorre. |