L'amministratore non necessita dell'autorizzazione dell'assemblea per rimuovere i manufatti realizzati in pregiudizio alle parti comuni

Edoardo Valentino
30 Dicembre 2020

La Corte d'Appello di Catania afferma due importanti principi di diritto in materia di legittimazione ad agire dell'amministratore di condominio, poteri del mandatario e prerogative dell'assemblea: infatti, il giudice distrettuale etneo afferma la carenza di legittimazione ad agire dell'amministratore in ordine ad una domanda giudiziale di accertamento della proprietà di un bene condominiale, perché questi non può agire se non esplicitamente autorizzato dall'assemblea dei condomini; diversamente, anche senza mandato assembleare, l'amministratore può agire in giudizio avverso il condomino che realizzi opere su parti comuni in pregiudizio delle stesse.
Massima

In caso un condomino realizzi una sopraelevazione vietata dal regolamento, e comunque pregiudizievole verso le parti comuni condominiali, l'amministratore può (e anzi ha il dovere), ai sensi dell'art. 1130,n.4), c.c., di agire in giudizio anche senza l'espressa autorizzazione dell'assemblea ed ottenere l'eliminazione dell'opera. L'amministratore, di contro, non ha autonoma legittimazione attiva ad agire in giudizio per ottenere dal giudice il riconoscimento del diritto di proprietà di una parte condominiale in quanto, ex art. 1131 c.c., necessità dell'apposita autorizzazione assembleare per procedere.

Il caso

La condomina proprietaria dell'ultimo piano aveva, da regolamento, diritto esclusivo di uso della terrazza di copertura dello stabile.

Tale opera, quindi, era di proprietà condominiale, ma gravata da un diritto della condomina di utilizzarla in perpetuo.

La proprietaria tuttavia, invece di limitarsi ad utilizzare il bene, aveva realizzato una terrazza di copertura sul manufatto condominiale, spingendo l'amministratore ad agire in giudizio per sentire pronunciare dal Tribunale la sentenza di riconoscimento della proprietà esclusiva condominiale del manufatto e il conseguente obbligo per la condomina della riduzione in pristino della terrazza, realizzata peraltro in violazione delle normative sulle distanze.

Si costituiva in giudizio la condomina, negando gli addebiti e in particolare contestando la legittimazione attiva dell'amministratore, il quale aveva agito in giudizio senza autorizzazione dell'assemblea.

All'esito del giudizio, il Tribunale aveva accolto la domanda del condominio, affermando che la terrazza di copertura fosse effettivamente di proprietà esclusiva dello stabile, che la condomina godesse dell'uso e calpestio esclusivo della terrazza (dato che questa costituiva pertinenza del proprio appartamento) e che, ai sensi del regolamento condominiale, ogni sopraelevazione fosse vietata, con conseguente necessità di procedere alla demolizione della nuova opera.

Avverso tale decisione, la condomina proponeva appello, contestando sostanzialmente due aspetti della sentenza: in prima battuta ella censurava la decisione nella parte in cui aveva reputato l'amministratore legittimato attivo a promuovere una domanda di accertamento di proprietà della terrazza.

La seconda doglianza, invece, riguardava la contestazione della natura del manufatto realizzato.

A detta della condomina, infatti, questo non aveva le caratteristiche per costituire una opera in sopraelevazione e quindi non poteva andare incontro al precetto del regolamento condominiale.

In conclusione, quindi, la condomina domandava la riforma della decisione di prima cure e la sostanziale dichiarazione di conformità e liceità dell'opera realizzata.

La questione

Sebbene la questione appaia a prima vista basata su due motivi di diritto afferenti a principi differenti di diritto condominiale, un'analisi più attenta ne evidenzia la similarità.

In entrambi i casi, infatti, la questione verte soprattutto sulla legittimazione dell'amministratore ad agire in giudizio in nome e per conto del condominio senza però avere ricevuto alcuna espressa autorizzazione assembleare.

È importante sottolineare infatti come nel condominio l'amministratore sia un organo esecutivo, con compito di porre in essere le decisioni dell'assemblea dei condomini.

Tale principio generale incontra una deroga laddove, in alcuni tipizzati casi, è facoltà (e anche dovere) dell'amministratore agire in via autonoma senza attendere l'autorizzazione dell'assemblea.

I due motivi di appello sopra evidenziati, quindi, devono essere letti nel seguente modo: quanto al primo motivo, l'appellante chiede al giudice del riesame se il primo decidente abbia valutato correttamente la legittimazione dell'amministratore di condominio ad agire in giudizio senza autorizzazione assembleare per la dichiarazione di proprietà di una parte condominiale.

Il secondo motivo, più articolato, verte sulla correttezza o meno della valutazione del giudice sia sulla qualifica di sopraelevazione dell'opera in concreto realizzata dalla condomina, sia sulla eventuale legittimazione dell'amministratore di agire in giudizio al fine di ottenere la riduzione in pristino dell'opera realizzata in violazione del regolamento condominiale e delle regole sulle distanze tra edifici.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento, la Corte d'Appello di Catania accoglieva parzialmente la domanda di parte attrice.

In particolare, sulla base delle due doglianze sopra menzionate, il giudice valutava come di seguito sintetizzato.

Quanto al primo motivo di appello, la Corte affermava l'errore del primo giudice nella misura in cui aveva valutato che l'amministratore avesse legittimazione attiva per agire in giudizio.

Nello specifico, il Tribunale aveva accolto la domanda del condominio, riconoscendo la legittimazione dell'amministratore di promuovere autonomamente la domanda di accertamento della proprietà della terrazza e violando così gli artt. 1130, 1131 e 1138 c.c.

Secondo la Corte territoriale, il motivo di appello doveva essere accolto in quanto nel caso in questione, addirittura, l'assemblea di condominio aveva esplicitamente deciso di non intraprendere alcuna azione avverso la condomina e l'amministratore aveva deciso di agire nonostante il parere contrario dell'assemblea.

È vero, quindi, che il regolamento di condominio ha caratteristica di inderogabilità ai sensi dell'art. 1138 comma 4, c.c., ma da tale precetto non può essere desunto, come invece fatto dal Tribunale, che le facoltà dell'amministratore possano prevalere su difformi e apposite deliberazioni assembleari.

L'art. 1131 c.c., infatti, afferma specificamente, al comma 1, che, “nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi”.

La decisione di prime cure, quindi, aveva erroneamente riconosciuto la proprietà condominiale della terrazza, laddove avrebbe dovuto affermare l'inammissibilità della domanda per carenza di legittimazione attiva dell'amministratore a proporla.

Diversamente dalla prima doglianza, invece, la Corte d'Appello rigettava il secondo motivo di riesame.

Secondo i giudici, infatti, il Tribunale aveva valutato correttamente che l'opera in questione fosse una sopraelevazione vietata (lo stesso CTU aveva dichiarato che l'opera realizzata “rappresenta certamente una costruzione e quindi una sopraelevazione della terrazza esistente, aldilà che si tratti di un corpo chiuso o semplice tettoia aperta su di un lato”, che “si conseguenza lo stesso non rispetta quanto previsto dall'art. 6 del regolamento di condominio” e che la tettoia fosse comunque destinata a restare nel tempo e che non potesse essere ritenuta una costruzione precaria).

Dal punto di vista della legittimazione dell'amministratore, invece, la Corte affermava come, ai sensi dell'art. 1130, n.4), c.c. spetta all'amministratore il compito di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio”.

Il Tribunale aveva, quindi, valutato correttamente che l'opera realizzata fosse una sopraelevazione vietata dal regolamento condominiale che tale divieto potesse essere fatto valere sia dai singoli condomini che dal condominio, e che l'amministratore fosse comunque legittimato, senza necessità di autorizzazione dall'assemblea dei condomini, ad agire in giudizio per ottenere la riduzione in pristino delle opere realizzate in violazione del regolamento condominiale e in pregiudizio delle parti comuni.

Alla luce di tali valutazioni, in accoglimento parziale dell'appello, il giudice distrettuale etneo dichiarava il difetto di legittimazione dell'amministratore quanto alla domanda di accertamento della proprietà e dei diritti d'uso della terrazza, confermando invece il capo della sentenza relativo alla condanna della condomina alla demolizione del manufatto.

Le spese di entrambi i gradi di giudizio venivano compensate per un terzo e la condomina veniva quindi condannata alla refusione dei 2/3 delle spese legali sostenute dal condominio.

Osservazioni

La sentenza della Corte d'Appello pare corretta e completa.

Il Tribunale, infatti, aveva soprasseduto rispetto alla legittimazione dell'amministratore rispetto alla domanda di accertamento della proprietà condominiale della terrazza.

Correttamente, invece, la Corte d'Appello ha affermato che questo tipo di domanda esula dei compiti propri dell'amministratore e può essere svolta solamente previo mandato assembleare.

La domanda di rimozione della tettoia abusiva, invece, era stata correttamente valutata come legittima dal Tribunale, in quanto la conservazione delle parti comuni rappresenta uno dei compiti tipici del mandato dell'amministratore.

E' bene - a parere di chi scrive - essere ben consci delle prerogative dell'amministratore e dell'assemblea ed evitare così problemi di carenza di legittimazione passiva o inutili ridondanze.

I problemi di legittimazione passiva, infatti, potrebbero incorrere laddove (come nel presente caso) l'amministratore decida di agire sprovvisto dell'autorizzazione assembleare e vada così incontro ad una sentenza sfavorevole e che non prende nemmeno in esame il merito della questione.

Meno grave, ma sempre indice di confusione sulle prerogative del mandatario, l'inutile proliferare di mandati assembleari per il recupero del credito verso i morosi.

L'art. 63 disp. att. c.c. chiarisce, al comma 1, che, “per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi”.

Tale norma, quindi, legittima l'amministratore a nominare un legale e agire per il recupero del credito anche senza autorizzazione assembleare, abbisognando della stessa solamente in caso di necessità di costituzione in giudizio a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo da parte del condomino moroso.

Da parte dell'amministratore, dell'avvocato e del giudice, appare quindi necessaria la conoscenza approfondita delle prerogative e delle legittimazioni attive e passive dell'amministratore di condominio.

Riferimenti

Luminoso, Il rapporto di amministrazione condominiale, in Riv. giur. edil., 2017, fasc. 4, 221;

Tarantino, La legittimazione dell'amministratore all'azione di rivendica di un locale caldaia sottoposto alla vendita all'asta, in Diritto & giustizia, 2020, fasc. 193, 10;

Valentino, L'amministratore è legittimato a compiere atti conservativi verso i condomini che si approprino delle aree di parcheggio, in Diritto & giustizia, 2020, fasc. 174, 2;

Romagno, Osservazioni riguardo all'efficacia delle disposizioni dei regolamenti condominiali. Il decoro dell'edificio come condizione di esplicazione della dignità umana, in Giust. civ., 2019, fasc. 4, 773.

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