Risarcimento del danno non patrimoniale per mancato utilizzo della linea telefonica fissa

05 Gennaio 2021

La pronuncia si concentra sulla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla mancata possibilità di un utente di usufruire di una linea telefonica fissa, ampliando la propria indagine nel tentativo di rispondere agli annosi e controversi interrogativi su cosa debba intendersi per “diritto fondamentale della persona”, quale debba esserne la natura, il senso e la portata affinchè la sua lesione possa comportare il diritto al risarcimento di un danno non patrimoniale.
Massima

I diritti fondamentali della persona costituiscono sì un ‘catalogo aperto', sicchè è ben possibile che diritti in passato considerati secondari assurgano col tempo al rango di diritti fondamentali (ad esempio, il diritto all'identità personale; all'oblio; alla riservatezza; all'identità digitale); così come all'opposto non è raro che diritti un tempo reputati inviolabili cessino, col tempo, di avere qualsiasi rilievo giuridico (è il caso, ad esempio, del danno da usurpazione del titolo nobiliare o da seduzione con promessa di matrimonio). Tuttavia, affinchè una situazione giuridica soggettiva possa qualificarsi come ‘diritto fondamentale della persona' sono necessari due requisiti: il diritto deve riguardare la persona e non il suo patrimonio; l'esercizio di esso non può essere impedito, senza per ciò solo sopprimere o limitare la dignità o la libertà dell'essere umano. Il guasto al telefono od alla linea telefonica, pertanto, quale che ne sia la durata, non costituisce violazione d'alcun diritto della persona costituzionalmente garantito, ed il suo avverarsi non può legittimare alcuna pretesa al risarcimento di danni non patrimoniali.

Il caso

Nel caso di specie, un utente, dopo avere stipulato un contratto di utenza telefonica c.d. “fissa” con una Compagnia decideva di cambiare gestore, accettando l'offerta di un'altra Compagnia. Tuttavia, prima che il nuovo rapporto contrattuale divenisse operativo, l'utente si avvaleva del diritto di ripensamento, recedendo dal nuovo contratto con la seconda società.

La prima società telefonica tardava, tuttavia, per più di un anno, a ripristinare il servizio; per questo motivo, veniva citata in giudizio dinanzi al Giudice di pace di Colle Sannita (BN), per essere condannata al risarcimento del danno che l'utente avrebbe patito a causa dell'impossibilità di disporre di una linea telefonica fissa funzionante dal marzo 2011 a maggio 2012.

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda dell'utente e, per l'effetto, condannava il gestore al pagamento al medesimo di euro 200 a titolo di indennizzo per il disservizio, ed euro 2.000 a titolo di risarcimento del danno.

A seguito dell'appello proposto dal gestore telefonico, il Tribunale di Benevento, all'opposto, con sentenza n. 2276 del 22 dicembre 2017, accoglieva il gravame e rigettava la richiesta risarcitoria, sul presupposto che il danno patrimoniale non fosse stato provato, e che quello non patrimoniale non fosse risarcibile, non ricorrendo gli estremi di cui all'art. 2059 c.c.

A seguito del ricorso per cassazione proposto dall'utente (soccombente in appello), la Suprema Corte confermava la decisione del giudice del gravame, negando il diritto al risarcimento del danno derivante dal, seppur prolungato, disservizio telefonico, sulla base del fatto che l'inadempimento della società convenuta non avesse leso alcun diritto fondamentale della persona costituzionalmente garantito.

La questione

La Suprema Corte di cassazione si è trovata ad affrontare la questione relativa alla possibilità di risarcire il danno non patrimoniale derivante da un disservizio contrattuale, nella specie cagionato da una compagnia telefonica. È noto, infatti, come il ritardo nell'esecuzione di una prestazione contrattuale venga spesso invocato come fonte di risarcimento di presunti danni a diritti fondamentali della persona in favore di soggetti che, incolpevolmente, abbiano lungamente atteso l'esecuzione di quanto dovuto. Ebbene, l'ordinanza resa dalla Corte di cassazione lo scorso 27 agosto (ordinanza n. 17894/2020) contribuisce a fare luce sul punto.

La pronuncia si concentra, in particolare, sulla risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dalla mancata possibilità di un utente di usufruire di una linea telefonica fissa, ampliando la propria indagine nel tentativo di rispondere agli annosi e controversi interrogativi su cosa debba intendersi per “diritto fondamentale della persona”, quale debba esserne la natura, il senso e la portata affinchè la sua lesione possa comportare il diritto al risarcimento di un danno non patrimoniale.

Le soluzioni giuridiche

Nell'ipotesi esaminata dalla Suprema Corte nel caso di specie, l'utente, a causa dell'inerzia della compagnia telefonica, era rimasto privo di linea fissa per alcuni mesi e lamentava di aver subito un danno non patrimoniale ad un proprio diritto fondamentale, in quanto – a suo avviso – sarebbe stato privato per lungo tempo di un “bene essenziale della vita” (ai sensi dell'art. 570 c.p., comma 2, n. 2).

La Suprema Corte, all'opposto, ritenendo corretto il procededimento logico - argomentativo del giudice d'appello, ha negato che il diritto di un utente di disporre di una linea telefonica fissa integri un “diritto fondamentale della persona”, e come tale, che la sua lesione possa essere suscettibile di risarcimento di un danno non patrimoniale.

Ebbene, secondo il ragionamento della Suprema Corte, risulta, infatti, che, affinché una situazione giuridica soggettiva possa qualificarsi come “diritto fondamentale della persona” sono necessari due requisiti: in primo luogo, il diritto deve riguardare la persona, e non già il suo patrimonio. L'eventuale forzosa rinuncia al godimento di un bene materiale può costituire lesione di un diritto “della persona” solo se questa sia stata privata del godimento di beni materiali essenziali quoad vitam (quali acqua, aria, cibo, alloggio, farmaci); mentre, all'opposto, l'uso del telefono non può essere ritenuto necessario per la sopravvivenza personale dell'individuo.

In secondo luogo, ad avviso della Corte, affinché un diritto della persona possa dirsi “fondamentale” occorre che l'esercizio di esso non possa essere impedito senza, per ciò solo, sopprimere o limitare la dignità o la libertà dell'essere umano. All'opposto, l'impedimento all'uso del telefono non menoma nè la dignità, nè la libertà dell'essere umano, nè costituisce violazione di alcuna libertà costituzionalmente garantita, tanto meno di quella di comunicare, posto che nulla impedisce all'interessato di servirsi di altri mezzi di comunicazione (primo fra tutti, un telefono sostitutivo).

Il guasto al telefono o alla linea telefonica, pertanto - spiega la Corte - quale che ne sia la durata, non rappresenta violazione di alcun diritto della persona costituzionalmente garantito ed il suo avverarsi non può legittimare alcuna pretesa risarcitoria di danni non patrimoniali.

A conferma di tali argomentazioni, la Corte di legittimità richiama alcuni propri precedenti, precisandone la portata, nonché la giurisprudenza della Corte di Giustizia.

In particolare, richiamando la sentenza della Sesta Sezione penale dell'11 dicembre 2008, n. 45809 - riguardante il caso di un padre che non si era mai curato di visitare o incontrare il figlio minore, tenendo un atteggiamento di indifferenza verso le sorti del bambino e della ex moglie, e nel contempo avendo dato vita ad una nuova unione coniugale da cui era nata un'altra figlia – la Corte spiega che "nella nozione penalistica di ‘mezzi di sussistenza' di cui all'art. 570 c.p., comma 2, n. 2, devono ritenersi compresi - nella attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale - non più e non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l'alloggio), ma altresì gli strumenti che consentano un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (ad esempio, abbigliamento, libri di istruzione per i figli minori, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione)”; ma ciò “non significa affatto che telefonare sia un diritto inviolabile, bensì solamente che i padri devono fornire ai figli vitto, alloggio, abbigliamento, istruzione e svago”.

E ancora, in un altro precedente arresto del 2017 (Cass. civ., Sez. III, 21 giugno 2017, n. 15349) - avente ad oggetto il risarcimento del danno subìto da un utente rimasto privo del servizio telefonico a causa di un inadempimento del gestore – La Suprema Corte aveva stabilito che “i disagi e i fastidi eventualmente incontrati dall'utente non possono impingere direttamente nella tutela della libertà e sicurezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione"; e che pertanto, ai fini dell'esclusione del risarcimento del danno non patrimoniale non poteva trascurarsi “la molteplicità dei mezzi sostitutivi disponibili per sopperire ai disservizi del gestore”.

A livello sovranazionale, anche la Corte di giustizia dell'Unione Europea (11 giugno 2015, in causa C-1/14, Base Company), pronunciandosi sulla conformità all'ordinamento europeo di una legge belga che imponeva ai soggetti fornitori del servizio di telefonia mobile e Internet l'obbligo di contribuire al finanziamento della fornitura del cd. “servizio universale”, aveva affermato che “non basta l'esistenza, nel diritto comunitario, di una norma che preveda tariffe sociali od obblighi dei produttori nei confronti dei consumatori, per sostenere che quella norma attribuisca ai destinatari un “diritto inviolabile della persona".

Osservazioni

La peculiarità della pronuncia in esame consiste nell'aver evidenziato e precisato i requisiti necessari perché possa integrarsi un “diritto fondamentale della persona”.

In particolare, premesso che il danno non patrimoniale, secondo quanto sempre ribadito dalla stessa Suprema Corte, è risarcibile solamente nei casi previsti dalla legge, o quando la sua risarcibilità sia implicitamente ammessa dalla legge - ossia allorché il fatto illecito abbia vulnerato un diritto fondamentale della persona (Cass. civ., Sez. Un. , 11 novembre 2008, n. 26972) - occorre chiedersi quali siano le situazioni giuridiche soggettive che possano qualificarsi come "diritto fondamentale della persona".

Nel caso di specie, il ricorrente sosteneva che la privazione dell'uso del telefono doveva ritenersi una violazione di un diritto fondamentale della persona, poiché il servizio interrotto riguardava una linea cd. “fissa”, poiché egli non disponeva di altri mezzi di comunicazione, ed, infine, perchè la sua zona di residenza era “notoriamente” non coperta da altri servizi di telecomunicazione.

Egli, al tal fine, faceva leva sul presupposto che la categoria dei diritti fondamentali della persona costituisca un “catalogo aperto": è noto, infatti, come, alcuni diritti in passato considerati secondari, siano poi assurti a rango di diritti fondamentali primari, e viceversa. La categoria dei diritti fondamentali della persona, insomma, si evolve col trascorrere del tempo, ampliandosi o restringendosi di pari passo con l'evoluzione della coscienza sociale, dell'individuo e del progresso tecnologico. Secondo tale prospettazione, dunque, ad avviso del ricorrente, anche il mezzo telefonico – e in particolare il diritto di disporre di un servizio di telefonia fissa presso la propria abitazione – avrebbe dovuto dovrebbe considerarsi tale, dovendo ricomprendersi tra i mezzi di sussistenza indispensabili all'individuo nella società moderna.

Ebbene, la Suprema Corte precisa che in tema di diritti fondamentali, occorre far riferimento a tutte quelle situazioni giuridiche soggettive attive, o di vantaggio, tutelate dall'ordinamento, ed in particolare dalla Costituzione, sia in maniera espressa (con una disciplina più o meno dettagliata), che implicita, in quanto desumibili per consolidata interpretazione da altri diritti fondamentali, o dalla clausola generale di cui all'art. 2 Cost. (che riconosce i diritti inviolabili dell'uomo “sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità”). Deve, quindi, trattarsi, di diritti che proteggono interessi, beni e sfere di azione della persona umana (o di gruppi di persone) il cui elemento comune consiste nell'essere inderogabilmente “fondamentali”, ossia insopprimibili e determinanti per la stessa sussistenza dell'individuo. Lo status di persona, in definitiva, garantisce ad ogni soggetto la tutela della personalità umana che si realizza nella protezione mediante lo strumento giuridico - e la conseguente dinamica risarcitoria - di quelle sfere intangibili di libertà, sia nei confronti dello Stato che degli altri consociati, che siano di copertura costituzionale.

Oltre a tale comun denominatore, i diritti in questione sono pur sempre caratterizzati dall'essere in continua evoluzione, necessitando di un costante adeguamento da parte del giudice nazionale, nonché degli orientamenti dei giudici europei (Corte di Strasburgo, Corte di Giustizia UE).

Il riconoscimento dei diritti fondamentali, infatti, si è articolato in fasi storiche distinte, tanto che in dottrina si è soliti parlare di “diritti di prima generazione” (per indicare quei diritti dello Stato liberal-borghese che videro la luce per lo più nelle Carte costituzionali di fine Settecento per poi essere riconosciuti dalle Costituzioni ottocentesche), nonché di diritti “di seconda, terza e quarta generazione”. Quest'ultima categoria, in particolare, include i principi affermati dai più recenti orientamenti della giurisprudenza (nazionale ed europea) tesi ad adeguare le situazioni soggettive di antica formulazione agli sviluppi della ricerca scientifica e del progresso tecnologico (si pensi al diritto all'oblio, al diritto all'identità biologica, all'accesso alla rete telematica, ai cosiddetti diritti aletici).

Ebbene, nonostante questa continua e necessaria opera di adeguamento, sono ancora numerosi ed eterogenei i “diritti senza legge” che, purtuttavia, non possono essere ignorati.

La Suprema Corte, del resto, non nega tale decisivo assunto - cioè che i diritti fondamentali della persona costituiscano un "catalogo aperto” – precisando che taluni diritti, in passato considerati secondari, possano assurgere, in futuro, al rango di diritti fondamentali (è stato il caso, ad esempio, del diritto all'identità personale; del diritto all'oblio; del diritto alla riservatezza, e da ultimo del diritto all'identità digitale); così come, all'opposto, è possibile che diritti, un tempo reputati inviolabili, cessino di ricoprire tale rilevanza giuridica.

Non tutte le volte nelle quali la tecnica o gli usi facciano sorgere nuovi commoda, la pretesa di avvalersene assurge automaticamente al rango di diritto fondamentale della persona.

In definitiva, per il Giudice di Legittimità, il ricorrente ha male inteso il contenuto del diritto a comunicare – dotato di copertura costituzionale - ritenendo che esso comprendesse anche al diritto a comunicare con un solo e determinato mezzo; tale situazione soggettiva, invece, è stata ritenuta priva di appartenenza al rango costituzionale, con tutto quanto ne consegue in punto risarcibilità del danno non patrimoniale (in tal senso, si era già espressa la Cassazione, Sez. III, n. 15349, del 21 giugno 2017, ove veniva sancito che, ai fini dell'esclusione del risarcimento del danno non patrimoniale, per sopperire ai disservizi del gestore telefonico rileva anche "la molteplicità di mezzi alternativi disponibili").