Occupazione abusiva di edificio pubblico adibito ad alloggio popolare
13 Gennaio 2021
Massima
Commette il reato di occupazione abusiva di edificio pubblico adibito ad alloggio popolare colui che, in assenza di un regolare contratto di assegnazione, detiene l'immobile sine titulo, pur corrispondendo l'indennità di occupazione, acquisendo la residenza e procedendo all'allaccio a proprio nome delle utenze. Il versamento dell'indennità di occupazione e il rilascio di documenti indicanti la residenza e l'allaccio delle utenze domestiche, lungi dal costituire la scriminante dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p., al contrario costituiscono prova in ordine al suo perdurare nel tempo. Il comportamento acquiescente dell'ente pubblico non assume alcuna rilevanza. Il caso
La Corte d'Appello di Firenze conferma la condanna per il reato di occupazione abusiva di edificio, avente ad oggetto beni appartenenti al demanio comunale, posto in essere dal detentore dell'immobile che, residente nell'abitazione e titolare delle utenze domestiche, ha regolarmente pagato l'indennità di occupazione. Va evidenziato che l'imputato non aveva fatto alcuna richiesta di accesso alla graduatoria per l'assegnazione delle case popolari e quindi non era pendente alcuna pratica che avrebbe potuto lasciar presagire una possibile, auspicata e successiva regolarizzazione del rapporto locativo. Avverso la sentenza di condanna ricorre per cassazione l'imputato, il quale lamenta l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata qualificazione dell'immobile come edificio pubblico adibito ad alloggio popolare, nonché l'esistenza di fatto di un valido titolo di abitazione, derivante dall'aver ottenuto dallo stesso comune proprietario dell'immobile regolare residenza e quindi di aver potuto attivare le utenze domestiche a proprio nome. Tale comportamento di acquiescenza dell'ente pubblico sopperirebbe di fatto alla costituzione di un formale titolo abitativo. Inoltre, il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento dello stato di necessità, almeno ai fini dell'applicazione delle attenuanti generiche. Si contesta infine l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione. La questione
La questione sottoposta alla Suprema Corte concerne la qualificazione del fatto di reato come occupazione abusiva di immobile, punito dall'art. 633 c.p., posto che l'occupante, pur essendo sprovvisto di un contratto locativo, aveva ottenuto la residenza, il che avrebbe comportato una sorta di “regolarizzazione” di fatto del rapporto di locazione, desumibile dal versamento dell'indennità di occupazione, dall'allaccio delle utenze domestiche e dal rilascio di documenti indicanti la residenza. Siffatte circostanze costituirebbero titolo idoneo a scriminare la condotta dell'occupante ex art. 54 c.p., che prevede lo stato di necessità, o quanto meno a ridimensionarne il dolo, o infine, ad incidere sul trattamento sanzionatorio, mediante la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Altro aspetto concerne l'intervenuta prescrizione che pone delicate questioni in ordine alla natura giuridica del reato di occupazione abusiva di immobili. La pronuncia fornisce l'occasione per chiarire alcuni quesiti. Il primo è se e in che misura possa configurarsi la scriminante dello stato di necessità. Il secondo abbraccia un più ampio scenario, concernente il ruolo svolto dalla acquiescenza di fatto dell'ente pubblico proprietario dell'immobile che tollera l'arbitrario subentro di un soggetto diverso dall'assegnatario. Non rileva in questa ipotesi l'ultimo quesito, concernente l'efficacia da annettersi all'istanza con la quale l'occupante abusivo chieda di sanare la sua posizione, e all'eventuale provvedimento dell'ente pubblico. Nel caso di specie, infatti, l'imputato non era neppure iscritto nelle liste dei richiedenti l'alloggio pubblico. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte, nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza, precisa che le censure difensive relative alla pretesa regolarizzazione del rapporto di locazione, desumibile dal versamento dell'indennità di occupazione e dal rilascio di documenti indicanti la residenza e l'allaccio delle utenze domestiche, lungi dal costituire una scriminante o incidere sull'elemento soggettivo del reato, al contrario costituiscono prova in ordine al suo perdurare nel tempo. Ritiene infatti la Corte che debba assolutamente escludersi una qualunque valenza giuridica alla condotta unilaterale dell'occupante abusivo che corrisponde il canone, così come non assume alcuna rilevanza giuridica il mantenimento di una situazione di fatto o il suo recepimento passivo e acritico da parte dell'amministrazione pubblica che ha ricevuto il pagamento dell'indennità, consentito l'acquisizione della residenza e la voltura delle utenze, nelle eventuali more dell'adozione di un provvedimento amministrativo. Gli alloggi popolari, infatti, possono essere occupati solo da coloro che ne risultino assegnatari in esito ad un formale provvedimento di assegnazione; in difetto di tale titolo di legittimazione, l'occupazione è arbitraria e concreta il reato di cui all'art. 633 c.p. Si precisa, inoltre che, pur ammettendo una possibile successiva regolarizzazione del rapporto locativo, il reato si perfeziona immediatamente con l'abusiva introduzione nell'immobile e con la destinazione del medesimo a propria stabile dimora, a nulla rilevando le condotte di pagamento dell'indennità di occupazione, che non rilevano giuridicamente, così come non rileva - almeno durante la durata dell'occupazione abusiva - neppure la successiva regolarizzazione dell'uso dell'immobile. In merito, la giurisprudenza ha sempre affermato che anche qualora fosse stato acquisito successivamente il titolo abitativo, il reato si sarebbe consumato egualmente e protratto per tutta la durata dell'occupazione sine titulo. L'Illecito penale infatti ha natura permanete e cessa solo quando si realizza compiutamente il titolo di legittimazione. L'acquiescenza di fatto dell'ente che abbia ricevuto l'autodenuncia con eventuale istanza di regolarizzazione e percepito il canone di locazione, non elimina la illiceità del fatto, posto che a tale ente compete l'obbligo di rispettare la legge che prevede i requisiti per l'assegnazione. Quindi la sanatoria non vale per il passato e la regolarizzazione successiva non costituisce causa di estinzione del reato né elide la situazione di arbitrarietà pregressa (Cass. pen., sez. II, 9 ottobre 2007, n. 37139). In ordine alle doglianze relative al decorrere del termine di prescrizione, la questione della natura giuridica del reato de quo merita un approfondimento. Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte, in senso assolutamente maggioritario, ritiene che il reato abbia natura permanente (Cass. pen., sez. II, 13 febbraio 2019, n. 16363; Cass. pen., sez. III, 26 novembre 2003, n. 2026; Cass. pen., sez. I, 21 giugno 2001, n. 29362), anche se si suole distinguere a seconda che l'introduzione nel fondo sia seguita, da un insediamento istantaneo (nel qual caso il reato ha natura istantanea) o si protragga con una occupazione ininterrotta per un tempo superiore a quello strettamente necessario per integrare il delitto (nel qual caso ha natura permanente). E' noto che i reati istantanei sono quelli nei quali l'azione antigiuridica si compie e si realizza definitivamente col verificarsi dell'evento, cosicché in tale momento il reato stesso viene ad esaurirsi. Sono permanenti, invece, i reati in cui, nonostante il realizzarsi dell'evento, gli effetti antigiuridici non cessano, ma permangono nel tempo per l'impulso della intenzionale condotta dell'agente. Il criterio distintivo fra le dette categorie di reati va quindi individuato in riferimento alla circostanza se il verificarsi dell'evento coincida con la cessazione dei suoi effetti (reati istantanei), ovvero che tali effetti permangano anche dopo la realizzazione dell'evento in conseguenza della intenzionale condotta dell'agente (reati permanenti). Ebbene, nel caso di specie, trattasi di reato permanente, in quanto all'introduzione nell'abitazione è seguito un lungo periodo di insediamento, tale da consentire di acquisire la residenza e di attivare le utenze domestiche. Pertanto, in ordine all'eccezione di intervenuta prescrizione la consumazione si protrae cronologicamente per tutta la durata della condotta di occupazione, finchè non intervenga sentenza di condanna di primo grado, termine da cui inizia a decorrere il termine di prescrizione. Neppure può assumere rilevanza lo stato di necessità nel caso di specie, essendo acquisito che l'imputato disponesse di altri immobili nella medesima zona, né la Corte di legittimità può sindacare la valutazione della Corte di merito che aveva ampiamente motivato in ordine al disvalore sociale della condotta dell'imputato, che non era neppure iscritto nelle graduatorie per l'assegnazione dell'alloggio popolare. Osservazioni
Il reato di occupazione sanziona la condotta di chi abusivamente e senza l'autorizzazione del titolare, invade edifici o terreni, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, con una sanzione da 103 a 1.032 euro e la reclusione fino a due anni; il reato è di perseguibile su querela della persona offesa, ma per l'occupazione di immobili pubblici o destinati a uso pubblico è prevista la procedibilità d'ufficio (art. 639 c.p.). Con riguardo al fatto che chi ha occupato l'immobile sia stato costretto da uno stato di necessità, occorre ricordare che l'art. 54 c.p. positivizzi un'ipotesi di causa di giustificazione per il caso di chi abbia commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale e non evitabile di un danno grave alla persona. Il tenore letterale della norma conduce a ritenere che il legislatore abbia voluto circoscrivere la portata della scriminante ai soli diritti personalissimi. Ciononostante si sono contrapposte in giurisprudenza due posizioni: la prima, certamente più rigorista, ritiene che il danno grave alla persona debba essere interpretato solo nel senso di pericolo per la vita e l'integrità fisica; la seconda invece, con un'interpretazione estensiva, ha ascritto rilievo a qualsiasi diritto inviolabile della persona. In questo modo sono rientrate nel concetto di danno grave alla persona ex art. 54 c.p. anche situazioni che pongono in pericolo solo indirettamente l'integrità fisica, in quanto attentano alla sfera dei beni primari collegati alla personalità, tra i quali deve essere ricompresa anche l'esigenza di un alloggio. Nel tempo, la giurisprudenza si è andata assestando sempre più su tale ultima interpretazione estensiva del concetto di danno grave alla persona, includendo anche il diritto di abitazione tra quelli inviolabili della persona, che trova il suo fondamento costituzionale nel “catalogo aperto” rappresentato dall'art. 2 Cost., oltre che nell'art. 3, comma 2, Cost. L'abitazione, in sostanza, viene a essere intesa come strumento indispensabile per consentire la concreta attuazione dei diritti fondamentali e la sua mancanza rappresenta un grave ostacolo allo sviluppo della persona. Tuttavia, questo orientamento si è consolidato nel riconoscere la sussistenza della scriminante in questione solo in casi di assoluta emergenza e necessità, escludendo, pertanto, il riconoscimento dell'art. 54 c.p. ogni qualvolta l'occupazione abusiva dell'immobile derivi dall'indisponibilità di altri luoghi da adibire ad abitazione e non da reali pericoli di danni gravi alla persona e comunque solo per un periodo transitorio e non certo per sopperire alla necessità di trovare un alloggio al fine di risolvere, in via definitiva, la propria esigenza abitativa (Cass. pen., sez. II, 21 dicembre 2011, n. 4292). Ebbene in questo senso la pronuncia in commento si allinea perfettamente all'orientamento suddetto, dando rilevanza al fatto che l'imputato disponesse di altri immobili da adibire ad abitazione addirittura nella medesima zona. Riferimenti
Fiandaca - Musco, Diritto penale. Parte speciale, vol. 2, tomo II, 7^ ediz., Torino, 2015; Venditti, voce Invasione di terreni o edifici, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 625; Armani, voce Invasione di terreni o edifici, in Noviss. dig. it., VIII, Torino, 1962, 1005. |