Reato di indebita compensazione e sua consumazione al momento della presentazione del modello f24

Giovambattista Palumbo
14 Gennaio 2021

Il reato di indebita compensazione non presuppone la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto si consuma al momento della presentazione del modello F24. Il mancato versamento si realizza infatti in quel momento, per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti.
Massima

Il reato di indebita compensazione non presuppone la presentazione della dichiarazione annuale, in quanto si consuma al momento della presentazione del modello F24. Il mancato versamento si realizza infatti in quel momento, per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti.

Il caso

La Corte di Cassazione, Sez. Penale, con la sentenza n. 32686 del 23/11/2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di reato di indebita compensazione.

Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Milano aveva confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale, che aveva condannato l'imputato alla pena di 10 mesi di reclusione relativamente al reato di cui all'art. 10 quater del Dlgs. 74 del 2000.

L'imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della pronuncia, laddove la sentenza di appello si richiamava alla decisione di primo grado, senza però rispondere alle argomentazioni dell'appello e senza rilevare l'assenza della presentazione della dichiarazione (nella quale sarebbero risultati i crediti inesistenti) per l'anno di imposta in discussione.

E l'assenza della dichiarazione IVA, che aveva provveduto solo agli adempimenti trimestrali, determinava peraltro automaticamente, ad avviso del ricorrente, "la caducazione dell'avviso di accertamento".

Infine, l'imputato evidenziava che il soggetto che aveva tratto effettivo beneficio dalla violazione era solo la società, laddove il rappresentante legale è responsabile (in solido con la società) solo per una somma pari alla sanzione irrogata.

La questione

Nel caso in esame, dalla comunicazione della notizia di reato, presentata dall'Agenzia delle Entrate, si evinceva che i crediti dedotti in compensazione erano inesistenti, in quanto non risultava presentata dalla società legalmente rappresentata dall'imputato la dichiarazione IVA relativa all'esercizio nel quale i crediti inesistenti sarebbero maturati.

Nel ricorso in cassazione non si contestava dunque l'inesistenza dei crediti, ma ci si limitava a reiterare acriticamente i motivi dell'appello, insistendo sulla rilevanza dell'assenza della dichiarazione IVA (pur nell'effettuazione degli adempimenti trimestrali) ai fini della non configurabilità del reato in giudizio, laddove invece, secondo il giudice di appello, in tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione si era comunque consumato al momento della presentazione dell'ultimo modello F24 relativo all'anno interessato, in quanto, con l'utilizzo del modello indicato, si era perfezionata la condotta incriminata, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell'indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale.

Aggiungeva inoltre la Corte d'Appello che, a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 del medesimo Dlgs. n. 74 del 2000, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all'Iva, il delitto di indebita compensazione non presuppone invece la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale (cfr., Cass., Sez. 3, n. 4958 del 01/02/2019).

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Cassazione la pronuncia di secondo grado era corretta.

Il ricorso, secondo la Suprema Corte, era nella specie inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, genericità e perché, valutato nel suo complesso, chiedeva comunque una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità.

Evidenziano, in particolare, i giudici di legittimità che, in tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, Dlgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiede, sotto il profilo oggettivo, che il mancato versamento di imposta risulti formalmente "giustificato" da una illegittima compensazione, ex art. 17 Dlgs. 9 luglio 1997, n. 241, operata tra le somme spettanti all'erario e i crediti vantati dal contribuente, in realtà non spettanti o inesistenti (cfr., Cass., Sez. 3, n. 15236 del 14/04/2015).

E nella specie la presentazione di mod. F24 non risultava minimamente contestata dall'imputato.

Osservazioni

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, giova anche evidenziare quanto segue.

L'art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 sanziona chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del Dlgs n. 241/97, crediti non spettanti o inesistenti, per un importo annuo superiore a 50.000 euro.

La ratio della norma sul reato di indebita compensazione è quella di sanzionare la condotta omissiva, supportata dalla redazione di un documento ideologicamente falso, idonea a realizzare una compensazione che non avrebbe dovuto avvenire (per l'inesistenza o la non spettanza del credito).

In sostanza, più che alla dimensione formale bisogna guardare alla natura sostanziale dell'operazione.

Il "disvalore" del fatto non si incentra peraltro in questi casi su una "frode", intesa come idoneità all'inganno della condotta criminosa, quanto piuttosto (e semplicemente) sul mero utilizzo "indebito" dell'istituto della compensazione.

La tutela dell'interesse erariale alla riscossione dei tributi prende dunque in considerazione i comportamenti di illecito utilizzo del meccanismo di compensazione, che anticipa il momento di rilevanza penale alla mera violazione di detta procedura.

E la soglia di rilevanza penale deve ritenersi riferita all'ammontare dei crediti non spettanti utilizzati per le compensazioni indebite, che non sono tra l'altro immediatamente percepibili dall'Amministrazione finanziaria, perché emergono soltanto qualora gli organi accertatori appurino l'insussistenza o la non spettanza del credito, circostanza che rende la condotta descritta dall'art. 10-quater del Dlgs. 74/2000 dotata di particolare gravità e insidiosità.

Come anche sottolineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 35 del 21 febbraio 2018, il delitto di indebita compensazione presenta del resto un evidente tratto differenziale rispetto agli altri delitti in materia di omesso versamento delle imposte.

Mentre infatti nelle ipotesi di cui agli artt. 10-bis e 10-ter del D.Lgs. n. 74/2000 la condotta incriminata risulta priva di connotati di insidiosità, in quanto l'omesso versamento delle somme dovute è prontamente riscontrabile dall'Amministrazione finanziaria, lo stesso non può dirsi per l'ipotesi disciplinata dall'art. 10 quater, laddove la condotta esprime una componente di frode, ossia un quid pluris, con la redazione appunto di un «documento ideologicamente falso», mediante l'abusivo utilizzo dell'istituto della compensazione.

L'essenza della condotta incriminata è dunque rappresentata dal ricorso a un istituto applicato nonostante l'assenza di un valido titolo.

Ed è indubbio che il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti si configura sia in caso di c.d. compensazione orizzontale, concernente crediti e debiti di imposta di natura diversa, sia in caso di c.d. compensazione verticale, riguardante crediti e debiti per tributi di natura omogenea (cfr., Cass., n. 5934 del 07/02/2019; Cass., n. 8689 del 28/02/2019, Cass., Sent. n. 13149 del 28/04/2020).

Il più recente orientamento della Cassazione supera del resto anche una decisione di segno opposto (Cass., Sez. 1, n. 38042/2019), laddove i giudici affermavano che le tre fattispecie di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e art. 10-quater sarebbero parificate, con la conseguenza che quella contemplata dalla norma di cui all'art. 10-quater , come le altre due, punirebbe sempre e solo l'omesso versamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

Tale superata pronuncia non teneva però conto del chiaro disposto normativo del citato art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241, che, menzionato dall'art. 10-quater, non limita in alcun modo la facoltà del contribuente di procedere alla compensazione di postazioni di debito o credito afferenti alla medesima imposta (cd. compensazione verticale), essendo l'innovazione introdotta dalla disposizione dell'art. 10-quater, Dlgs. n. 74 del 2000 costituita proprio dal superamento del concetto di compensazione tradizionale tra debiti e crediti di imposta della stessa natura, mediante l'estensione della facoltà di compensazione anche a debiti e crediti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali (c.d. compensazione orizzontale).

L'art. 17 del D.Lgs. 9 luglio 1997 n. 241 disciplina peraltro:

  • i versamenti unificati di tributi, contributi, premi e altre entrate, nonché dei relativi interessi e sanzioni; e
  • la possibilità di compensare i debiti e crediti dei tributi, contributi, premi ed altre entrate oggetto di versamento unificato.

E i versamenti unificati e l'eventuale compensazione avvengono mediante l'utilizzo degli appositi modelli F24.

In conclusione, l'utilizzo della compensazione in assenza dei relativi presupposti non integra una violazione meramente formale ed equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste (cfr., Cass., 21/07/2017, n. 18080; Cass. 22/11/2018, n. 30220; Cass. 04/04/2018, n. 8247).

E anche il superamento del limite massimo dei crediti d'imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo ed è come tale sanzionato (cfr., Cass., Ord. n. 13396 del 01/07/2020).

Nel caso di errata utilizzazione del credito IVA oltre il limite previsto si verifica infatti comunque un omesso versamento dell'imposta, laddove il sistema che prevede un limite massimo alla compensazione dei crediti non è in contrasto con la disciplina comunitaria, atteso che sulla specifica questione è già intervenuta anche la Corte di giustizia, la quale, con decisione del 16 marzo 2017, ha affermato che tale limitazione è consentita a condizione che l'ordinamento giuridico nazionale, come appunto anche quello italiano, preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d'imposta entro un termine ragionevole.