Ai fini della validità della notifica degli atti tributari rileva il domicilio fiscale del contribuente
22 Gennaio 2021
Massima
In caso di difformità tra le risultanze anagrafiche e domicilio fiscale è valida la notificazione dell'avviso perfezionatasi presso quest'ultimo indirizzo. La disciplina della notifica degli atti tributari si fonda sul criterio del domicilio fiscale e sull'onere preventivo del contribuente di indicare all'Ufficio tributario il proprio domicilio fiscale e di tenere detto Ufficio costantemente informato delle eventuali variazioni.
L'Agenzia delle Entrate-Riscossione, ente strumentale (mero “adiectus solutionis causa”) che ha assunto la qualifica di Agente della Riscossione ed è subentrato nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia,è strettamente connessa all'Agenzia delle Entrate con un vincolo di soggezione amministrativa. L'ente fiscale può stare in giudizio direttamente o mediante la struttura sovraordinata. La prescrizione del diritto alla riscossione è disciplinata dall'art. 2946 secondo cui: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni” .
La prescrizione decorre dal giorno in cui il tributo è dovuto o dal giorno dell'ultimo atto interruttivo della prescrizione.
Il caso
Il contribuente (persona fisica) ha impugnato dinnanzi alla C.T.P. di Milano l'intimazione di pagamento della cartella esattoriale dell'Agenzia delle Entrate -Riscossione di Milano per un debito fiscale di circa € 135.000,00 maturato per il mancato versamento nell'anno di imposta 2004 dell'Irpef, oltre interessi e sanzioni.
A fondamento dell'impugnativa proposta volta ad ottenere l'annullamento della cartella di pagamento il contribuente ha eccepito:
Si è costituita in giudizio l'Agenzia delle Entrate eccependo l'inammissibilità del ricorso e la non applicabilità della prescrizione breve al credito fiscale. La C.T.P ha accolto il ricorso del contribuente e annullato la cartella di pagamento rilevando:
Pertanto la cartella avente ad oggetto crediti o tributi si prescrive nel termine breve di 5 anni anche quando non sia stata impugnata nei termini di legge. La questione
Avverso tale decisione l'Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale 2^ di Milano (in nome e per conto dell'Agente della Riscossione) ha proposto appello censurando le motivazioni della sentenza emessa dalla C.T.P. e deducendo che:
Si è costituito nel giudizio di impugnazione il contribuente il quale ha chiesto la conferma della sentenza appellata e il rigetto della doglianze dell'Ente fiscale rilevando:
La C.T.R. Lombardia, con la sentenza qui in commento, ha accolto l'impugnativa dell'Ente fiscale e riformato la sentenza della C.T.P. assumendo in sintesi che:
La soluzione giuridica
L'agente della riscossione quale “Adiectus solutionis causa” Con l'ordinanza in commento, la C.T.R. ha fornito in primo luogo importanti chiarimenti sul rapporto esistente tra l'Agenzia delle Entrate (titolare del credito vantato nei confronti del contribuente) e l'Agenzia delle Entrate – Riscossione (ente pubblico economico strumentale dell'Agenzia delle Entrate istituito con Decreto Legge 22 ottobre 2016 n. 193 , deputato alla riscossione dei crediti erariali e sottoposto all'indirizzo e vigilanza del Ministro dell'Economia e delle Finanze.) Il nuovo ente ha sostituito Equitalia Servizi di Riscossione SpA. Secondo i Giudici di appello l'Agente della riscossione deve essere equiparato a mero “adiecutus solutionis causa” ovvero mero soggetto legittimato dal creditore a ricevere il pagamento al suo posto. Secondo il codice civile (art. 1188 c.c.) l'adempimento fatto nei confronti di questo soggetto è idoneo ad estinguere il debito. I caso di impugnazione di un atto dell'Agente della riscossione, sia nell'ambito del processo tributario,che di quello ordinario, appare di assoluto rilievo verificare se si configuri un litisconsorzio necessario tra l'Agente della riscossione e l'ente impositore e se la legittimazione a stare in giudizio spetti unicamente al soggetto che ha emesso l'atto impugnato o se, viceversa, intervengano altri fattori in forza dei quali si configuri una legittimazione concorrente tra gli stessi. Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire (Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 07/03/2017) 08-10-2018, n. 24678) che nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale qualora il contribuente destinatario della stessa deduca la mancata notifica la legittimazione passiva spetta non soltanto all'Ente Impositore, quale titolare della pretesa sostanziale contestata, ma anche, quale litisconsorte necessario, all'esattore, che ha emesso l'atto opposto. Quest'ultimo, infatti, ha interesse a resistere in ragione delle onerose conseguenze a cui l'amministrazione tributaria andrebbe incontro nell'ipotesi in cui risulti soccombente per annullamento della cartella in discorso. Va poi puntualizzato che con il D.L. 22/10/2016 n.193 (conv. in L. 225/2016) è stato disposto lo scioglimento delle società del Gruppo EQUITALIA a decorrere dalla data del 01/7/2017 dalla quale, come dispone il comma 2 dell'art.1, “l'esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale[…]è attribuito all'Agenzia delle Entrate… ed è svolto dall'ente strumentale di cui al comma 3”. Il predetto comma 3 dispone che “Al fine garantire la continuità e la funzionalità delle attività di riscossione, è istituito, a far data dal 01 luglio 2017, un ente pubblico economico, denominato Agenzia delle Entrate-Riscossione, ente strumentale all'Agenzia delle Entrate, sottoposto all'indirizzo e alla vigilanza del Ministro dell'Economia e delle Finanze”. Secondo la previsione della legge il nuovo ente pubblico subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, del Gruppo Equitalia ed assume la qualifica di Agente della Riscossione. Può svolgere anche le attività di riscossione delle entrate tributarie o patrimoniali delle amministrazioni locali. L'art.3 9 del D.Lgs. n. 112/1999 dispone a sua volta che “Il concessionario, nelle liti promosse contro di lui che non riguardano esclusivamente la regolarità o la validità degli atti esecutivi, deve chiamare in causa l'ente creditore interessato; in mancanza risponde della lite”. Nel processo tributario di primo grado, che è processo di tipo impugnatorio, l'AdR è solo legittimato passivo, ovvero può rivestire unicamente la funzione della parte contro la quale è diretto il ricorso del contribuente, mentre nei gradi successivi, per l'ipotesi di accoglimento (anche solo parziale) del ricorso del contribuente, può essere legittimato attivo. Poiché, però, il processo tributario può avere per oggetto sia atti della fase di accertamento (posti in essere dall'ente impositore) sia atti di riscossione (posti in essere dall'AdR), i quali ultimi talora presentano vizi che incidono sui presupposti atti di accertamento, si era posto il problema dell'individuazione del legittimato passivo nel processo nell'ipotesi che il ricorso del contribuente, pur avendo ad oggetto un atto posto in essere dall'AdR, sia fondato su ragioni sostanziali che esulino dalla competenza dell'autore dell'atto, come si può verificare per i vizi relativi alla pretesa impositiva contenuta nel ruolo che è notificato al contribuente con la cartella di pagamento.
Tale questione è stata risolta dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.16412/2007, le quali richiamando l'art.39 Dlgs 112/99 hanno evidenziato che “se l'azione del contribuente per la contestazione della pretesa tributaria a mezzo dell'avviso di mora è svolta direttamente nei confronti dell'ente creditore, il concessionario è vincolato alla decisione del giudice nella sua qualità di adiectus solutionis causa; se la medesima azione è svolta nei confronti del concessionario, questi, se non vuole rispondere dell'esito eventualmente sfavorevole della lite, deve chiamare in causa l'ente titolare del diritto di credito . In ogni caso, l'avere il contribuente individuato nell'uno o nell'altro il legittimato passivo nei cui confronti dirigere la propria impugnazione non determina l'inammissibilità della domanda, ma può comportare la chiamata in causa dell'ente creditore nell'ipotesi di azione svolta avverso il concessionario, onere che, tuttavia, grava su quest'ultimo, senza che il giudice adito debba ordinare l'integrazione del contraddittorio”. Ne deriva pertanto che:
In tale predetta ipotesi ove sia convenuto in giudizio solo l'AdR non esiste alcun difetto di contraddittorio per l'omessa citazione, da parte del ricorrente, dell'Ente impositore, poiché in base al disposto del cit. art.39 il concessionario della riscossione è sostituto processuale (ex art. 81 c.p.c.) dell'ente impositore. Negli arresti piu` recenti, oltretutto,la Suprema Corte, pur non modificando la sua posizione per quanto concerne la fattispecie dellitisconsorzio, ritiene, tuttavia, sussistere, a carico dell'ente impositore, un interesse preminente a partecipare e conoscere della lite, dettato dalla titolarita` del credito da parte del medesimo.
La notifica degli atti tributari. La prevalenza del domicilio fiscale sulla residenza del contribuente. La sentenza in commento affronta e risolve altresì la problematica della notificazione degli atti tributari nel caso in cui il domicilio fiscale del contribuente e la sua residenza anagrafica non coincidano. Il luogo di consegna della cartella è, infatti, fondamentale per comprendere se l'agente della riscossione ha rispettato le regole di legge vigenti in materia di notifica e se quest'ultima può considerarsi valida o contestabile. I dubbi sorgono soprattutto quando la cartella è notificata presso il domicilio fiscale ed esso non coincide con la residenza anagrafica della persona o con la sede legale della società. Può accadere che la cartella non venga notificata presso l'indirizzo di residenza del contribuente, bensì presso altro luogo, indicato come domicilio fiscale nella dichiarazione dei redditi. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza (Cfr. Cass. sent. n. 11726/2016) la notifica è comunque corretta poiché l'Agenzia delle Entrate ha fatto affidamento sui dati riferiti dallo stesso contribuente. Il domicilio fiscale è la sede principale degli affari ed interessi economici del contribuente e coincide con il luogo in cui egli gestisce detti interessi, in modo abituale e riconoscibile dai terzi. Il domicilio fiscale è un concetto inerente al diritto tributario e per le persone fisiche coincide con il comune di residenza anagrafica. Per residenza si intende invece il luogo dove ci si stabilisce e dove si abita (art. 43 c.c). La residenza e il domicilio possono anche coincidere ma questa sovrapposizione non è in alcun modo una regola. Da quanto detto fino ad ora infatti è possibile che una persona che abbia la sua residenza presso un certo indirizzo possa scegliere di fissare il proprio domicilio in un altro luogo sulla base di dove svolge le proprie attività lavorative. L'individuazione del domicilio fiscale è fondamentale per determinare il luogo in cui il contribuente deve pagare le imposte e deve, dunque, ricevere gli atti tributari (avvisi di accertamento, cartelle esattoriali ecc.). Il contribuente può comunque modificare l'indirizzo di ricezione degli atti tributari, eleggendo domicilio presso una persona o un ufficio nel Comune del proprio domicilio fiscale per la notificazione degli atti o degli avvisi che lo riguardano (per esempio elezione di domicilio presso lo studio del proprio commercialista). L'elezione di domicilio è valida solo se risulta espressamente da apposita comunicazione effettuata al competente ufficio dell'Agenzia delle Entrate, tramite raccomandata con avviso di ricevimento o in via telematica. La C.T.R. con la sentenza in commento ha richiamato preliminarmente la normativa sul punto (l'art. 60, I comma, lett. C) del d.P.R. 600/1973) secondo cui: “ salvo il caso di consegna dell'atto o dell'avviso in mani proprie, la notificazione deve essere fatta nel domicilio fiscale del destinatario”. La CTR riconosce la piena validità della notifica della cartella esattoriale effettuata presso il domicilio indicato nella dichiarazione dei redditi del contribuente, ancorché lo stesso sia diverso dalla sua residenza. I Giudici hanno ribadito inoltre l'onere del contribuente di indicare sempre all'Ufficio tributario il proprio domicilio fiscale tenendo detto Ufficio costantemente informato di eventuali variazioni. In mancanza si ritiene valida la notifica effettuata presso l'ultimo domicilio fiscale noto all'Amministrazione finanziaria. Si tratta di un mero onere di comunicazione (non obbligo) con la conseguenza che se non viene assolto il contribuente non sarà sottoposto a sanzioni ma dovrà accettare inevitabilmente le conseguenze della sua inerzia. Nel sistema giuridico tributario assume un rilievo essenziale la nozione di “domicilio fiscale” (che prevale sulla mera residenza anagrafica) concetto che riassume l'imprescindibile relazione tra il contribuente e l'ufficio finanziario. Si segnala che il domicilio fiscale, oltre a individuare il luogo in cui devono essere eseguite le notificazioni degli atti tributari (articolo 60, primo comma, lettera c), d.P.R. n. 600/1973), fissa anche la competenza territoriale dell'Agenzia delle entrate, che ha titolo per l'esercizio della potestà impositiva. Sulla questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione chiarendo che la notifica dell'avviso di accertamento deve essere eseguita presso il domicilio indicato in dichiarazione dei redditi, se il contribuente ha segnalato un indirizzo diverso dalla residenza anagrafica (Cfr. Corte di Cassazione ord. n. 20939 del 6 agosto 2019).
Evidenziano, inoltre i giudici di legittimità che l'indicazione in dichiarazione, da parte del contribuente, del Comune di domicilio fiscale e dell'indirizzo va effettuata in buona fede e nel rispetto del principio di affidamento, non essendo tenuta l'Amministrazione finanziaria a controllare l'esattezza del dato indicato (cfr. Cass. n. 25680 del 14/12/2016 e Cass., n. 15258 del 21/07/2015). Il contribuente, che abbia, quindi, indicato nella denuncia dei redditi il proprio domicilio fiscale in un luogo diverso da quello di residenza, non potrà poi invocare detta difformità al fine di eccepire l'invalidità dell'avviso di accertamento, compiuto dall'ufficio del domicilio da lui stesso dichiarato. La notificazione che si sia perfezionata presso l'indirizzo indicato nella dichiarazione dei redditi deve considerarsi valida, nonostante che tale indicazione sia difforme (non importa se per errore o per malizia) rispetto alle risultanze anagrafiche (Cfr. Corte di Cassazione sent. del 21.7.2015, n. 15258). Lo stesso orientamento è stato recepito anche nell'ordinanza della Corte di Cassazione n. 9567 depositata il 25 maggio 2020 nella quale in tema di validità della notifica dell'avviso di accertamento è stato rimarcato che “va ritenuta la nullità della notifica dell'atto impositivo (per compiuta giacenza ai sensi dell'art. 8 della legge 890/1982), siccome eseguita in luogo diverso dal domicilio eletto agli specifici fini ..”
L'Agenzia delle Entrate non ha l'obbligo di avvalersi del ministero del difensore. L'Agenzia delle entrate – Riscossione, come sopra premesso, è il nuovo agente della riscossione che, come previsto dal Decreto Legge n. 193/2016, a far tempo dall'1 luglio 2017. Precisa la CTR nella sentenza in commento che tale ente strumentale – mero “adiectus solutionis causa” – è subentrato, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali (successione nella legitimatio ad causam), delle cessate società per azioni del Gruppo Equitalia ed ha assunto la qualifica di Agente della Riscossione con i poteri e secondo le disposizioni di cui al titolo I, capo II, e al titolo II, del d.P.R. 602/1973 (successione nel munus pubblicum). La qualificazione quale ente strumentale ex art. 1, comma 2 e 3, d.l. 193/2016, conv. con modif. con 1. 225/2016, comporta che il nuovo ente sia strettamente legato all'Agenzia delle Entrate con un vincolo di soggezione amministrativa e l'articolo 11, comma 2, sancisce che gli enti fiscali possono stare “in giudizio direttamente o mediante la struttura territoriale sovraordinata” (facendo uso degli strumenti amministrativi dell'avocazione o della sostituzione). Nel caso che qui ci occupa, le cartelle esattoriali, emesse dall'Agenzia delle Entrate-Riscossione ne determinano la legitimatio ad causam ex art. 10, primo alinea, d.lgs. 546/1992 che recita : “sono parti del processo dinanzi alle commissioni tributarie oltre al ricorrente, l'ufficio dell'agenzia delle entrale e … l'agente della riscossione … che hanno emesso l'atto impugnato … ” mentre sul piano della legitimatio ad processum ,l'art. 11, c. 2, primo alinea, d.lgs. 546/1992 stabilisce che : “l'Ufficio della'Agenzia delle Entrate … nonché dell'agente della riscossione, nei cui confronti è proposto ricorso, sta in giudizio direttamente e\o- mediante la struttura territoriale sovraordinata”. La capacità di stare in giudizio direttamente, o mediante la struttura territoriale sovraordinata, con l'eventuale rappresentanza, patrocinio ed assistenza in giudizio dell'Avvocatura dello Stato – anziché dei diversi difensori abilitati, come indicati ai commi 3, 5 e 6 dell'art. 12 D.Lgs. 546/1992 – è divenuta dunque , come per le Agenzie fiscali, quella propria dell'Agente della riscossione.
La prescrizione del crediti erariali. Orientamenti a confronto. La CTR, nella sentenza in commento, conferma da ultimo il termine di prescrizione decennale vigente in materia di tributi. Nella pronuncia in oggetto, i Giudici di seconde cure pongono in rilievo la circostanza che il credito erariale per la riscossione dell'imposta - a seguito di accertamento divenuto definitivo - è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all'art. 2948, n. 4, c.c. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, bensì all'ordinario termine di prescrizione decennale di cui all'art. 2946 c.c., in quanto la prestazione tributaria, attesa l'autonomia dei singoli periodi d'imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi (da ultimo Cass. ord. n. 16232 del 19/07/2020). La pronuncia in commento appare condivisibile in considerazione del fatto che la prestazione tributaria non può considerarsi una prestazione periodica, essendo necessario, per ogni singolo periodo di imposta, un riesame dell'esistenza dei presupposti impositivi; si tratta, infatti, di titoli nuovi e diversi per ogni periodo d'imposta, dipendenti dalle operazioni imponibili effettuate nel corso dell'anno. Esistono tuttavia anche orientamenti minoritari (CTP Reggio Calabria sent. 2634/2014, CTP Messina, sent. n. 512/2013, CTP Milano, sent. n. 207/2004, Trib. Roma, sent. n. 981/1990) che hanno ritenuto che il credito erariale rinveniente dalla dichiarazione annuale debba ricondursi nell'alveo dell'art. 2948, n. 4, cc. e che pertanto sia assoggetto al termine di prescrizione quinquennale dallo stesso previsto. Ciò in ragione del fatto che la Cassazione ( Cass. sent. n. 4283/2010, n. 2941/2007, n. 4271 del 2003 e Cass. SS.UU. n. 10955/2002) in varie pronunce, ha chiarito che la disposizione codicistica trova applicazione nella ipotesi di prestazioni periodiche in relazione ad una "causa debendi continuativa", ma non anche nell'ipotesi di debito unico (ad es. imposta di registro in relazione allo specifico atto su cui vi grava). Osservazioni
La sentenza contiene tre proposizioni di estremo interesse. Innanzitutto convalida la scelta unificatrice del legislatore come emergente del combinato disposto d.lgs. n. 156/2015 e d.l. 193/2016, conv. in l. n. 225/16, ravvisandone le ragioni non solo in una direzione strategica di omogeneità dell'assetto defensionale tributario territoriale per tutti gli Enti fiscali, ma anche in contingenti ed evidenti necessità di contenimento dei costi pubblici. In secondo luogo, ribadisce la precedenza nel diritto tributario dell'istituto del domicilio fiscale destinato ad esprimere quella relazione spaziale tra contribuente ed ente impositore che è necessaria ai fini della certezza dello svolgimento dei rapporti giuridici. Nell'ottica di garantire certezza dei rapporti tra Fisco e contribuente non sembra invece perfettamente in linea il richiamo alla prescrizione ordinaria (anziché quinquennale) dei crediti erariali poggiante unicamente sul dato dell'inesistenza di una specifica norma e sull'annualità dell'accertamento del tributo posto che un più ridotto arco temporale nello spirare della pretesa porterebbe ad agevolare una più celere definizione della posizione contributiva del cittadino.
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