Prescrizione dell'illecito dell'ente e mancata notifica della richiesta di rinvio a giudizio
28 Gennaio 2021
Massima
In tema di bancarotta patrimoniale fraudolenta, nel valutare la rilevanza penale di condotte omissive ed inerti dei componenti del collegio sindacale occorre considerare che ai sensi degli artt. 2403 cod. civ. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale, comprendendo anche il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile. Il caso
Tanto in primo grado che in secondo grado i componenti di un collegio sindacale presso una società immobiliare fallita erano condannati per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad una condotta di distrazione avente ad oggetto il conferimento di tre complessi immobiliari di proprietà della fallita ad altra persona giuridica, a fronte del riconoscimento in favore della cedente di una partecipazione nel capitale sociale della cessionaria per un valore di circa 13 milioni di Euro a fronte di un valore dei beni ceduti non inferiore a 20 milioni di Euro.
È importante sottolineare che gli imputati erano sindaci presso entrambe le società, nonché presso altre imprese collegate ed utilizzate per porre in essere l'operazione delittuosa, e sulla scorta di tale circostanza i giudici di merito traevano la conclusione che i sindaci, “per via di tale osservatorio privilegiato, non potevano non accorgersi del programma illecito, ordito dai …domini del gruppo, per depauperare il patrimonio … essendo stata l'operazione negoziale, che aveva portato a tale risultato, contrassegnata da indici di sospetto di tale conclamata evidenza da non lasciare loro alcuna discrezionalità nell'adempimento dell'obbligo di predisporre una pronta ed efficace reazione”.
Con il ricorso per cassazione, si contestava in primo luogo l'affermazione secondo cui i sindaci avrebbero dolosamente omesso di assumere le iniziative di loro competenza per contrastare e bloccare le operazioni finalizzate alla mera spoliazione del patrimonio della fallita ad esclusivo vantaggio delle altre società del medesimo gruppo, mancando elementi di cui si potesse desumere che gli imputati si erano resi conto di questa circostanza. In secondo luogo, si contestava che all'epoca dei fatti i sindaci potessero adire l'art. 2409 cod. civ., trattandosi di una società a responsabilità limitata, nell'ambito della quale la citata disposizione codicistica non poteva trovare applicazione.
La questione
Da sempre, negli studi e nelle decisioni giurisprudenziali dedicate agli illeciti propri del diritto penale commerciale si discute dei confini della responsabilità penale dei soggetti – quali ad esempio i componenti del collegio sindacale o gli amministratori senza alcuna delega esecutiva - che, privi di autonomi poteri decisionali e non incaricati di compiti di gestione, svolgono funzioni di controllo e valutazione sulla condotta di quanti siano invece investiti dei suddetti poteri di amministrazione (sul punto, TORRE, La responsabilità penale dell'organo di controllo sulla amministrazione e dell'organo di controllo contabile, in Giur. Comm., 2012, 1, 564; LEI, I soggetti attivi dei reati societari, in Dir. Pen. Proc., 2010, 627; MANDELLI, I "sindaci" di s.p.a. tra doveri di sorveglianza e posizioni di garanzia, in Banca Borsa Tit. Cred., 2009, 1, 444; GIUNTA, Responsabilità penale dei sindaci per i reati degli amministratori, in Dir. Prat. Soc., 2007, 2, 6).
Indubbiamente, la eventuale responsabilità penale degli amministratori senza delega e dei sindaci si fonda sulla loro posizione di garanzia ex art. 40 c.p. (TORRE, La responsabilità penale, cit., 564; MANDELLI, I "sindaci" di s.p.a. tra doveri di sorveglianza, cit., 444). Su questi soggetti grava un obbligo di impedimento dell'evento rappresentato dall'assunzione, da parte dei soggetti sottoposti al loro controllo, di comportamenti illeciti; stante la sussistenza di tale posizione di garanzia rivestita dai soggetti in parola ed il conseguente obbligo di intervento in presenza di condotte delittuose poste in essere dagli amministratori esecutivi, all'inadempimento di tale dovere consegue una attribuzione di responsabilità per i reati da altri commessi (Cass., sez. V, 22 settembre 2009, Bossio, in Mass. Uff., n. 245138; Cass., sez. V, 27 aprile 1992, Bertolotti, in Mass. Uff., n. 191563, secondo cui, pur in presenza di eventuali deleghe rilasciate ad altri componenti del consiglio, gli amministratori non operativi comunque “sono penalmente responsabili, ex art. 40, comma 2, c.p., per la commissione degli eventi che vengono a conoscere (anche al di fuori dei prestabiliti mezzi informativi) e che, pur potendo, non provvedono ad impedire il verificarsi dell'evento illecito”). Se però il rimprovero che viene mosso al componente del collegio sindacale o al consigliere di amministrazione privo di deleghe attiene – non alla sua diretta partecipazione al fatto criminoso, ma - alla circostanza che egli, pur consapevole degli obblighi di intervento su di lui gravanti, non si sia adoperato onde impedire l'evento delinquenziale risulta evidente che il punto centrale della ricostruzione della responsabilità del componente del collegio sindacale o del consigliere di amministrazione privo di deleghe ruota intorno alla corretta definizione del suo atteggiamento soggettivo o meglio intorno alla individuazione delle condizioni in presenza delle quali la sua inerzia può considerarsi una modalità colpevole ed intenzionale di partecipazione all'altrui condotta delittuosa.
Al problema, la Cassazione ha da sempre ritenuto di poter trovare una soluzione nella teorica dei cd. “segnali d'allarme”. Secondo questa impostazione, stante l'impossibilità di accertare in termini oggettivi ed indiscussi la circostanza che il singolo fosse o meno a conoscenza delle altrui condotte o intenzioni criminose, per decidere della responsabilità del sindaco o dell'amministratore senza delega andava attribuito significativo valore probatorio alla presenza, nell'ambito della gestione sociale, di elementi sintomatici, di gravi irregolarità, la cui presenza consentisse al titolare della funzione di controllo – se non di essere certo, quantomeno – di sospettare che gli amministratori o comunque altri soggetti presenti all'interno dell'impresa stessero mettendo in atto comportamenti delittuosi. Spesso però l'obbligo di intervento – ovvero, ex art. 40 c.p., l'obbligo di impedire l'evento – viene nei fatti e surrettiziamente a tramutarsi nel diverso obbligo di informarsi su quanto si sta verificando in azienda onde essere in grado di intervenire e porre termine alle altrui condotte criminose; da qui la conclusione secondo cui “il componente del consiglio di amministrazione risponde del concorso nel reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato” (Cass., sez. V, 29 marzo 2012, Baraldi, in Mass. Uff., n. 252803) e “l'inerzia antidoverosa nello svolgimento dei compiti di vigilanza e di controllo, in presenza di determinati ‘segnali di pericolo', [viene ritenuta equivalente] a consapevole accettazione del rischio della verificazione degli eventi delittuosi poi di fatto occorsi” (NAPOLEONI, I reati societari. III. Falsità nelle comunicazioni sociali ed aggiotaggio societario, Milano 1996, 400. Nel senso che “il componente del consiglio di amministrazione risponde del concorso nel reato societario per mancato impedimento del reato anche quando egli sia consapevolmente venuto meno al dovere di acquisire tutte le informazioni necessarie all'espletamento del suo mandato”: Cass., sez. feriale, n. 51433/2017).
Recentemente tuttavia è dato riscontrare un atteggiamento più rigoroso da parte della giurisprudenza, giacché in alcune decisioni si afferma che per riconoscere la responsabilità penale dell'amministratore privo di delega o dei sindaci per fatti di bancarotta fraudolenta non sia sufficiente la oggettiva presenza di dati (i cosiddetti "segnali d'allarme", appunto) da cui desumere un evento pregiudizievole per la società o almeno il rischio della verifica di detto evento, ma è necessario che egli ne sia concretamente venuto a conoscenza ed abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo (Cass., sez. V, 4 aprile 2016, n. 13399; Cass., sez. V, 14 aprile 2016, n. 15639). Secondo questa innovativa impostazione, dunque, “il rilievo dell'esistenza di segnali noti non può non essere accompagnato dall'accertamento dell'elaborazione che degli stessi è stata fatta: quei segnali possono essere stati sottovalutati, malamente interpretati [e] ciò indirizza verso un comportamento colposo, non certo doloso, [essendo necessaria] la prova di una corretta elaborazione dei segnali … [in considerazione] delle capacità intellettive del soggetto, dell'evidenza e significatività dei segnali medesimi” (Cass., sez. IV, 5 settembre 2012, M., in Mass. Uff., n. 256342). Quale che ne sia la rilevanza e la macroscopicità, i “segnali di allarme” “devono essere stati percepiti ed assunti nel loro reale significato dal soggetto di cui trattasi: una condizione di dubbio circa la loro significatività non è di per sé incompatibile con l'accettazione dell'evento [poiché] il dubbio descrive una situazione irrisolta, perché accanto alla previsione della verificabilità dell'evento vi è la previsione della non verificabilità ed il dubbio corrisponde ad una condizione d'incertezza, che appare difficilmente compatibile con una presa di posizione volontaristica in favore dell'illecito, ad una decisione per l'illecito, ma che ove concretamente superato, avendo l'agente optato per la condotta anche a costo di cagionare l'evento, volitivamente accettandolo quindi nella sua prospettata verificazione, lascia sussistere il dolo eventuale" (Cass., sez. IV, 5 settembre 2012, M., citata. Nello stesso senso Cass., sez. I, 11 luglio 2011, Braidic, in Mass. Uff., n. 251484).
In sostanza è richiesto al giudice, qualora non sussista la prova che l'amministratore non esecutivo o il sindaco abbia acquisito diretta conoscenza delle condotte penalmente rilevanti, l'accertamento della percezione da parte dei medesimi dei sintomi dell'illecito, accertamento che pur se certamente desumibile anche dal grado di anormalità ed inequivocabilità di questi ultimi, deve essere passare attraverso una valutazione che deve avere ad oggetto la situazione concreta e che deve dunque essere parametrata alle specifiche peculiarità della singola vicenda, alle condizioni soggettive dell'agente ed al ruolo effettivamente svolto dal medesimo in seno all'organo collegiale (sia esso il consiglio di amministrazione o il collegio sindacale) e, quindi, al significato che per lo stesso assumono nella situazione data i segnali d'allarme astrattamente rilevabili.
Argomentando diversamente non si potrebbe ancora discutere di dolo, neppure nella forma del dolo eventuale, che richiede pur sempre da parte del soggetto attivo - per potersi affermare che un fatto è da lui voluto, per quanto in termini di mera accettazione del rischio che si produca - la determinazione di orientarsi verso la lesione o l'esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice: un conto è, dunque, che l'amministratore privo di delega rimanga indifferente dinanzi ad un "segnale di allarme" percepito come tale, in quanto decida di non tenere in considerazione alcuna l'interesse dei creditori o il destino stesso della società, ben altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri, ovvero che per colpevole - ma non dolosa - superficialità venga meno agli obblighi di controllo su di lui effettivamente gravanti, accontentandosi di informazioni insufficienti su un'operazione che gli viene sottoposta per l'approvazione senza che egli si renda davvero conto delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Solo nel primo caso, infatti, l'amministratore potrà essere chiamato a rispondere penalmente delle proprie azioni od omissioni, non già nel secondo, dove - ferma restando la prospettiva di ravvisare una sua responsabilità in sede civile, ricorrendone i meno rigorosi presupposti - può ritenersi provato soltanto l'addebito di aver agito (rectius: omesso di agire) per colpa.
La soluzione giuridica
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili.
Quanto al primo motivo, premesso che lo stesso, secondo la decisione, è inammissibile in quanto si limita a contestare il completo e plausibile costrutto motivazionale sotteso alla decisione impugnata, la Corte evidenzia come gli imputati fossero da tempo (almeno un triennio) inseriti nella galassia delle società di cui faceva parte la società fallita e ciò ben gli avrebbe consentito di percepire i profili di illiceità dell'operazione di bancarotta. Al cospetto di un comportamento assolutamente inerte ed omissivo tenuto dagli imputati, la deduzione difensiva, secondo la quale costoro nulla avrebbero potuto intuire di quanto gli amministratori della persona giuridica fallita stavano ordendo in frode ai creditori sociali, è ritenuta dalla Corte priva di pertinenza e di effettiva valenza censoria, ove si rammenti che, ai sensi degli artt. 2403 cod.civ. e ss., i poteri-doveri dei sindaci delle società di capitali non si esauriscono nella mera verifica contabile della documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma, pur non investendo in forma diretta le scelte imprenditoriali, si estendono al contenuto della gestione sociale (Cass., sez. V, 18 febbraio 2019, n. 12186; Cass., sez. V, 14 gennaio 2016, n. 18985), comprendendo, in effetti, il riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile (Cass., sez. V, 22 marzo 2016, n. 14045).
Sulla scorta di queste considerazioni, la Cassazione ritiene che nel caso di specie la responsabilità penale dei sindaci è stata dai giudici di merito correttamente ravvisata a titolo di concorso omissivo secondo il disposto di cui all'art. 40, comma 2, cod.pen., cioè sotto il profilo della violazione del dovere giuridico di controllo che, inerisce alla loro funzione, sub specie dell'equivalenza giuridica, sul piano della causalità, tra il non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire ed il cagionarlo. In particolare, la decisione in esame evidenzia che i sindaci non possono limitarsi a controllare l'operato degli amministratori ma devono prendere in considerazione tutta l'attività sociale, con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali, e non può non ricomprendere anche l'obbligo di segnalare tempestivamente tutte le situazioni suscettibili di mettere a repentaglio la prosecuzione dell'attività di impresa e l'assicurazione della garanzia dei creditori. Quanto alla lamentata impossibilità, per il collegio sindacale, di far ricorso alla previsione di cui all'art. 2409 cod. civ., la circostanza non rileva considerato che, pur non potendo far denuncia al Tribunale, gli imputati avevano a loro disposizione altri strumenti per arrestare il disegno criminoso degli amministratori, come il compimento di "atti di ispezione e controllo", la richiesta di informazioni agli amministratori, (art. 2403-bis cod.civ.) e infine la convocazione dell'assemblea societaria (art. 2406 cod.civ.) (Cass., sez. V, 11 maggio 2018, n. 44107). Non a caso, la giurisprudenza civile di legittimità evidenzia come, per la configurabilità della responsabilità dei sindaci ex art. 2407, comma 2, cod.civ. “per i fatti o le omissioni degli amministratori, quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica”, non è richiesta l'individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tali doveri, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l'incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all'assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Tribunale per consentirgli di provvedere ai sensi dell'art. 2409 cod. civ. (Cass. civ., sez. I, 3 luglio 2017, n. 16314; Cass. civ., sez. I, 13 giugno 2014, n. 13517), in quanto può ragionevolmente presumersi che il ricorso a siffatti rimedi, o anche solo la minaccia di farlo per l'ipotesi di mancato ravvedimento operoso degli amministratori, avrebbe potuto essere idoneo ad evitare (o, quanto meno, a ridurre) le conseguenze dannose della condotta gestoria.
Osservazioni
La decisione in commento pare consapevole della circostanza che si debba differenziare l'ipotesi in cui il componente del collegio sindacale non si avvede di quanto sta accadendo e quindi non interviene – nel qual caso allo stesso potrà contestarsi solo una responsabilità di natura colposa, rilevante solo in sede civilistica – dal caso in cui lo stesso soggetto intenzionalmente omette di assumere qualsiasi iniziativa, pur nella consapevolezza dei comportamenti criminosi assunti da terzi (CHIARAVIGLIO, La responsabilità dell'amministratore delegante fra "agire informato" e poteri di impedimento, in Società, 2010, 886; CANESTRARI, "Rischio d'impresa" e imputazione soggettiva nel diritto penale fallimentare, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2003, 194; STELLA, Criminalità d'impresa: lotta di sumu e lotta di judo, ivi, 1998, 459; PISANI, Controlli sindacali e responsabilità penale nelle società per azioni, Milano 2003; ALESSANDRI, Corporate governance nelle società quotate: riflessi penalistici e nuovi reati societari, in Giur. Comm., 2002, 80; CENTONZE, Controlli societari e responsabilità penale, Milano 2009; ID., Il problema della responsabilità penale degli organi di controllo per omesso impedimento degli illeciti societari. (Una lettura critica della recente giurisprudenza), in Riv. Soc., 2012, 317; CALAMANTI, La responsabilità degli amministratori di società controllante per falsità indiretta del bilancio consolidato, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2000, 553; MAZZACUVA, La responsabilità penale dei sindaci, in Soc., 1989, 379; STELLA – PULITANO', La responsabilità penale dei sindaci di società per azioni, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 1990, 553; MERCONE, L'obbligo di garanzia degli amministratori privi di deleghe e la funzione probatoria dei c.d. segnali d'allarme, in www.dirittopenalecontemporaneo.it; CRESPI, La giustizia penale nei confronti dei membri collegiali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1999, 1149).
Infatti, se è vero che la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice può determinare la sussistenza di una ipotesi di responsabilità penale a carico del soggetto che è rimasto inerente a fronte di una situazione che invece sollecitava il suo intervento, è altresì vero che per la formulazione di una tale conclusione è comunque necessario che in capo al singolo sussista (e ne sia data piena prova) l‘elemento soggettivo richiesto dalla disposizione incriminatrice. In quest'ottica, la valorizzazione, da parte della decisione, della circostanza che gli imputati erano componenti dei collegi sindacali in tutte le società del gruppo utilizzate per l'operazione di bancarotta rappresenta senz'altro una circostanza significativa, che evidenzia la possibilità di muovere agli stessi – se non un'accusa di compartecipazione diretta all'attività criminosa, quanto meno – un rimprovero a titolo di dolo eventuale (così, ad esempio, Cas.s, sez. V; 18 febbraio 2015, Fasola, in Mass. Uff., n. 267767), specie considerando come nel caso di specie i sindaci siano stati completamente inerti, nemmeno provando a chiedere un minimo di spiegazioni in ordine all'accaduto.
A prescindere da queste considerazioni, tuttavia, per rinvenire in ipotesi analoghe a quelle sopra considerate una responsabilità dei sindaci, può evidenziarsi che un efficace ed effettivo esercizio dei poteri di verifica ed intervento attribuiti ai componenti del collegio sindacale presuppone una implementazione in azienda di flussi informativi adeguati nei confronti dell'organo di controllo: i sindaci dunque dovranno “istituire, imponendoli, obblighi di flussi informativi a loro favore, periodici e ad evento, a carico dell'organo amministrativo e delle diverse funzioni interessate; in difetto di questi, l'opera dell'organo di controllo sarebbe discontinua e comunque tardivamente attivata, ancorata al solo dato prospettico” (RANALLI, Il ruolo di amministratori, sindaci e revisori nell'istituzione e verifica degli adeguati assetti organizzativi alla luce del novellato art. 2086 c.c., in Società Contratti, Bilancio e Revisione, 3/20, 18; MONTALENTI, I doveri degli amministratori degli organi di controllo e della società di revisione nella fase di emersione della crisi”, in TOMBARI (a cura di), Diritto societario e crisi d'impresa, Torino, 2014, 45; CAGNASSO, Gli assetti adeguati nella s.r.l., in IRRERA (a cura di), Assetti adeguati e modelli organizzativi, Bologna, 2016, 580; ABRIANI, Corporate governance e doveri di informazione, Riv. dir. impr., 2016, 234).. Emerge così un nuovo possibile profilo di responsabilità penale per i soggetti in parola, il cui accertamento potrà essere ancorato a presunzioni e logiche meno stringenti rispetto a quelle che si sono viste con riferimento alla tematica degli indici di crisi ed indicatori di squilibri patrimoniali dell'azienda. Infatti, è da ritenere che primo compito dei sindaci sarà quello di accertare che l'azienda sia strutturata in termini da garantire e consentire un adeguata circolazione di informazioni, di modo che il collegio sindacale possa in maniera continuativa conoscere dello stato patrimoniale, economico e finanziario dell'impresa: l'omessa valutazione di tale profilo sarà sicuramente addebitabile a titolo di colpa al collegio sindacale (non essendo consentito alcun margine di discrezionalità circa l'opportunità e la necessità di istituire o meno in azienda un tale circuito informativo ed essendo anche assai stringenti i criteri sulla base dei quali giudicare dell'idoneità dei flussi informativi fra le diverse strutture aziendali e l'organo di controllo), mentre la intenzionale e consapevole mancata attenzione a tale profilo consente di sostenere il loro concorso nell'altrui illecito a titolo di dolo eventuale. Quando i sindaci si disinteressano volontariamente della completezza, veridicità ed attendibilità di quanto loro comunicato dai vertici operativi dell'azienda sono evidentemente consapevoli di privarsi degli indispensabili strumenti per una corretta valutazione circa lo stato di solidità finanziaria, economica e patrimoniale della propria azienda, accettando quindi il rischio di non essere in grado di poter adeguatamente giudicare della correttezza delle altrui scelte di gestione del patrimonio aziendale (per approfondimenti, SANTORIELLO, Il diritto penale fallimentare dopo il codice della crisi, Torino 2021).
Apprezzabile infine come la decisione si chiuda con un'ultima osservazione riservata alla valenza da riconoscere all'eventuale “ignoranza” in capo ai componenti dell'organo di controllo della profondità ed incidenza dei loro doveri di intervento e vigilanza. Secondo la Cassazione una tale manifestazione di incompetenza non avrebbe comunque alcuna valenza scusante posto che “le disposizioni del codice civile che disciplinano la funzione dei sindaci di una società non hanno natura di norma extrapenale, poiché le stesse delineano il quadro di poteri e doveri, che, a certe condizioni, concorrono a delinearne la responsabilità penale”. |