Impugnabile la cartella esattoriale notificata al socio in violazione del beneficium excussionis: dalle Sezioni Unite il vademecum sul riparto della prova

01 Febbraio 2021

In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l'altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.
Massima

In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l'altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.

In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l'onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l'amministrazione creditrice a dover provare l'insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l'insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata).

Ne consegue che, se l'amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto.

Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l'applicazione della regola suppletiva posta dall'art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l'onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario.

Il caso

La vicenda di specie trae origine dalla notifica a carico di un socio di una società in nome collettivo di una cartella di pagamento relativa a somme iscritte a ruolo riguardante IVA e IRAP derivanti da avviso di accertamento emesso a carico della società.

Il contribuente ha opposto la cartella lamentando la mancata notifica dell'atto presupposto e soprattutto la non debenza del tributo in virtù del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale, previsto dall'art. 2304 c.c.

Le doglianze sono state respinte sia dalla C.T.P. che dalla C.T.R.: per entrambi i giudici di merito, adesivi rispetto alla tesi della Amministrazione finanziaria ed alla giurisprudenza maggioritaria (Cass. civ., Sez. VI-V, n. 15966/2016; Sez. V, n. 26549/2016; Sez. VI-V, n. 49/2014; Sez. I, n. 1040/2009; Sez. L, n. 15713/2004), il beneficium excussionis attiene alla (sola) fase esecutiva della riscossione coattiva e non a quella - prodromica - della notifica della cartella di pagamento.

Il contribuente ha proposto infine ricorso per cassazione riproponendo l'eccezione di mancata preventiva escussione del patrimonio sociale con l'impugnazione della cartella di pagamento, come peraltro sostenuta da altro più recente indirizzo di legittimità, seppure minoritario (Cass. civ., Sez. V, n. 4959/2017; Sez. V, n. 23260/2018; Sez. V, n. 2878/2019).

La sezione tributaria della Cassazione, rilevato un contrasto giurisprudenziale al proprio interno, con ordinanza n. 20494/2019 ha rimesso gli atti al Primo Presidente ravvisando i presupposti per un intervento nomofilattico, anche come questione di massima di particolare importanza (art. 374, comma 2, c.p.c.).

La questione

Le Sezioni Unite civili della Cassazione sono state chiamate a decidere se, in tema di riscossione coattiva tributaria a mezzo ruolo, in caso di mancata preventiva escussione del patrimonio sociale, il socio di una s.n.c., coobbligato illimitatamente responsabile, possa impugnare la cartella di pagamento deducendone, quale vizio proprio, la violazione dell'

a

rt. 2304 c.c.

Il nodo problematico si inscrive entro la più ampia – e complessa – problematica della responsabilità solidale d'imposta del socio di società di persone: questione all'interno della quale riecheggia l'antichissimo dibattito (risalente addirittura al codice del commercio del 1865), circa l'efficacia esecutiva del titolo “sociale” nei confronti del socio ovvero circa la possibilità per l'agente della riscossione di notificare al socio la sola cartella di pagamento, ancorché il ruolo si sia formato esclusivamente nei confronti del debitore principale (la società) e sia intestato ad essa.

La sentenza in commento affronta il tema dell'ambito di cognizione del giudice deputato a decidere sull'impugnazione della cartella di pagamento ricevuta dall'obbligato in via sussidiaria in relazione ad un debito dell'obbligato principale che scaturisce da un avviso di accertamento non impugnato.

Le soluzioni giuridiche

I punti oggi approfonditi dal Collegio allargato concernono anzitutto l'identificazione della portata soggettiva del titolo esecutivo nella riscossione e nell'esecuzione a mezzo ruolo di imposte, in relazione ai coobbligati in via sussidiaria, nonché i margini entro i quali costoro possono esercitare il proprio diritto di difesa.

Nell'odierno dictum si riverberano gli effetti della rivoluzione copernicana operata dalla dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 57 D.P.R. n. 602/1973, n. 602, ad opera di Corte Cost. n. 114/2018, che ha esteso l'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. nell'ambito della riscossione a mezzo ruolo.

Il giudice nomofilattico ha anzitutto disatteso l'indirizzo maggioritario: ciò in ragione del vistoso – e oggi ritenuto ingiustificato (alla stregua di Corte cost. n. 114/2018, § 11) – vuoto di tutela che avrebbe determinato l'avallo di questa tesi tradizionale ai danni del coobbligato sussidiario, il quale sarebbe costretto ad aspettare il pignoramento, per natura invasivo della propria sfera giuridica, per far valere l'improcedibilità dell'azione esecutiva, oppure a sperare, per poterlo fare, nella notifica dell'intimazione ad adempiere la quale, tuttavia, è solo eventuale (art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973).

Secondo il vertice allargato di legittimità il socio può senz'altro impugnare la cartella proponendo l'intera gamma delle contestazioni che gli spettano innanzi al giudice tributario, il cui ambito di cognizione si estende sino all'inizio della fase dell'esecuzione forzata, sicché sono sottratte alle Commissioni tributarie solo le controversie attinenti alla fase dell'esecuzione forzata, ovvero gli atti dell'esecuzione tributaria successivi alla notificazione (effettivamente e validamente eseguita), della cartella o dell'intimazione di pagamento (Cass. civ., Sez. U, n. 7822/2020), mentre vi rientrano quelle scaturite dagli atti prodromici all'esecuzione quali la cartella di pagamento o l'intimazione di pagamento, se autonomamente impugnabili ai sensi dell'art. 19 D.Lgs. n. 546/1992 (Cass. civ., Sez. U, n. 8279/2008; Cass. civ., Sez. U, n. 8770/2016).

Il S.C. ha altresì escluso che, in questo modo, verrebbe attribuita al giudice tributario un'azione innaturale di mero accertamento – tesi nella specie sostenuta dalla Procura generale – poiché quella davanti alla giurisdizione tributaria è pur sempre inscrivibile nel modello impugnatorio delineato dal suddetto art. 19 D.Lgs. n. 546/1992.

L'assetto così delineato trova inoltre conferma – ad avviso del massimo Consesso – in caso di impugnazione dell'atto cd. impoesattivo, che realizza l'accorpamento in un solo atto delle funzioni di atto impositivo, titolo esecutivo e precetto: eliminata l'iscrizione a ruolo, non v'è più la necessità di notificare la cartella di pagamento sicché il coobbligato deve ricevere la notificazione dell'accertamento esecutivo e non può che impugnarlo dinanzi al giudice tributario.

Osservazioni

Il giudice nomofilattico, nel ricomporre il conflitto in subiecta materia, ha “corretto il tiro” anche rispetto all'orientamento minoritario reputandolo eccessivo nelle (sole) conseguenze già propugnate (là dove sosteneva che l'escussione del patrimonio sociale dovesse comunque precedere la notificazione della cartella al socio a pena di nullità ab origine): in proposito la sentenza in rassegna afferma che la violazione del beneficium excussionis non configura un vizio proprio della cartella perché la relativa deduzione è eccezione integrante autonoma causa petendi d'impugnazione appartenente al perimetro dell'opposizione all'esecuzione.

La soluzione più originale si rinviene, poi, nell'ultima parte della decisione in commento, ove i Supremi giudici addivengono ad un esito del tutto ineditoche “supera” entrambi gli indirizzi in conflitto.

Secondo il plenum di Piazza Cavour, la mera violazione dell'ordine che il creditore deve seguire per far valere le proprie ragioni non può di per sé comportare la caducazione della pretesa rivolta al socio ma al più può fondare la richiesta di sospensione cautelare dell'esecuzione dell'atto riscossivo impugnato ex art. 47D.lgs. n. 546/1992.

In tal caso, per ottenere la sospensione, egli deve provare il fumus boni iuris ossia, in radice, l'insussistenza della qualità di socio illimitatamente responsabile, o la violazione dell'ordine; è altresì necessario che evidenzi la propria situazione economica, gli effetti lesivi irreversibili e inadeguatamente ristorabili dall'esecuzione e, comunque, l'intollerabile scarto tra il pregiudizio derivante dall'esecuzione dell'atto e le concrete possibilità di risarcimento in caso di accoglimento (v. Corte cost. n. 217/2010, § 2.3).

A questa stregua il Supremo consesso giunge infine ad puntuale riparto dell'onere della prova in questi esatti termini:

  • nella società semplice (e nelle società irregolari) è il socio a dover provare che il creditore può agevolmente soddisfarsi sul patrimonio sociale;
  • nella società in nome collettivo, in accomandita semplice e per azioni l'onere della prova s'inverte, essendo invece il creditore a dover provare l'insufficienza del patrimonio sociale. Così quando risulti aliunde dimostrata in modo certo detta incapacità per la realizzazione anche parziale del credito (ad es., in caso di società cancellata), non c'è necessità per il creditore erariale di sperimentare l'azione esecutiva sul patrimonio della società; sul versante opposto, anche l'esito negativo del pignoramento presso terzi è inidoneo a far ritenere certa l'incapienza del patrimonio societario, potendo la società disporre di altri beni sufficienti a garantire il soddisfacimento del credito.

Sicché, conclusivamente, se l'Amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto, con conseguente annullamento totale della cartella nei confronti del soci ed esclusione, in radice, del problema decadenziale.

Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti, con conseguente annullamento parziale della cartella.

Se nessuna prova si riesce a dare, l'applicazione della regola suppletiva posta dall'art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l'onere della prova gravi sul creditore oppure sul coobbligato sussidiario.

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