La Cassazione riesamina i criteri per la valutazione della morosità nelle locazioni non abitative
01 Febbraio 2021
Massima
In tema di locazione, ai fini dell'emissione della pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità, il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento anche in base al comportamento del conduttore successivo alla proposizione della domanda. In tal caso - come in ogni caso di contratto di durata in cui la parte che chieda la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione - non si ha - diversamente dal caso in cui si applichi la regola generale posta dall'art. 1453 c.c. per cui, proposta la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, si cristallizzano fino alla pronuncia giudiziale definitiva le posizioni delle parti nel senso che, come è vietato al convenuto eseguire la sua prestazione, così non è consentito all'attore pretenderla - il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua a godere del bene locato ed è tenuto ex art. 1591 c.c. a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna. Il caso
La Corte di Cassazione interviene per definire un giudizio che ha avuto origine da uno sfratto per morosità intimato relativamente ad una locazione non abitativa per il mancato pagamento di sei mensilità di canone. Nel caso, dopo la notifica dell'intimazione di sfratto il conduttore aveva pagato i canoni insoluti prima dell'udienza di comparizione e si era opposto alla convalida dello sfratto: lo sfratto non era stato convalidato ed il giudizio era proseguito - previa conversione del rito - concludendosi con sentenza che aveva dichiarato risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore. La sentenza del Tribunale era stata appellata dal conduttore che aveva sostenuto che nel caso difettasse la “gravità” dell'inadempimento. Respinto l'appello dal giudice di secondo grado che aveva ritenuto “solutoriamente rilevante l'inadempimento” della conduttrice, questa aveva proposto ricorso davanti alla Corte di Cassazione sostenendo che la sentenza d'appello fosse viziata perché non avrebbe dato rilievo al pagamento effettuato pur successivamente all'intimazione e non avrebbe considerato la tolleranza manifestata dal locatore in relazione a precedenti ritardi nel pagamento del canone. La Cassazione respinge il ricorso ritenendo che la sentenza impugnata abbia applicato correttamente la regola posta dall'art. 1455 c.c. in tema di risoluzione del contratto per grave inadempimento. La questione
Il tema sul quale interviene la Corte di Cassazione con il provvedimento che si annota è quello dell'applicazione al contratto di locazione non abitativa della regola fissata dall'art. 1455 c.c. a proposito della risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore quanto all'obbligo di pagamento del canone. Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza della Corte di Cassazione nell'esaminare la questione segue un percorso articolato. a. Il primo punto esaminato concerne l'individuazione della norma della quale deve farsi applicazione nel caso considerato. Al proposito la Corte - richiamando quanto già segnalato da Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2019, n. 30730 (sentenza che viene richiamata in numerosi passaggi dell'ordinanza) - sottolinea che trattandosi di locazione non abitativa la questione dell'inadempimento dell'obbligo di pagamento del canone va definita facendo ricorso alla regola fissata dall'art. 1455 c.c. non potendosi utilizzare la previsione dell'art. 5 della l. n. 392/1978 che riguarda solo le locazioni abitative. Viene sottolineato al proposito che l'art. 41 della l. n. 392/1978, che disciplina le locazioni non abitative, “non richiama l'art. 5 della medesima legge, che, derogando all'art. 1455 c.c., introduce una presunzione assoluta dell'elemento oggettivo dell'inadempimento, sottratto alla valutazione discrezionale del giudice, fondata su due elementi, l'uno temporale - il protrarsi del ritardo nella corresponsione dei canoni per oltre venti giorni - l'altro quantitativo - il mancato pagamento di una rata di canone oppure di oneri accessori per un importo superiore a due mensilità”, norma della quale, però, non è consentita l'applicazione estensiva, come affermato già da Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 1990, n. 12210. Ne deriva che nel caso la verifica della gravità dell'inadempimento è lasciata alla valutazione del giudice, così come prevede l'art. 1455 c.c., che, appunto, “rimette al giudice la valutazione della ricorrenza di un inadempimento che rilevi dal punto di visto solutorio”. Da notare, però - osserva a questo punto la Corte richiamando un principio ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 1234; Cass. civ.,sez. III, 20 gennaio 2017, n. 1428) - che non è esclusa la possibilità di utilizzo indiretto dell'art. 5 della l. n. 392/1978 quanto alle locazioni non abitative potendosi comunque fare ricorso ai parametri fissati da questa norma per ricavarne un orientamento in sede di applicazione dell'art. 1455 c.c. b. Chiarito che deve utilizzarsi l'art. 1455 c.c. (per cui “il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”), la Corte ricorda che a proposito della valutazione dell'inadempimento nel pagamento del canone si prospettano due orientamenti: per il primo la valutazione va condotta considerando l'inadempimento in sé (dandosi rilievo soprattutto al fatto che ciò che viene in discussione è l'obbligo di pagamento del canone, obbligo principale del conduttore), mentre per l'altro va considerata la gravità dell'inadempimento anche in rapporto all'interesse della controparte contrattuale (strada questa che impone di accertare “caso per caso se l'inadempimento abbia inciso sull'interesse della parte non inadempiente determinando un'alterazione del sinallagma”). E' questa seconda strada che la Corte ritiene di dovere seguire. La valutazione della gravità dell'inadempimento richiede dunque la considerazione di aspetti sia di carattere oggettivo sia di carattere soggettivo: “nella disposizione si intrecciano una valutazione che sembra possedere tutti i crismi dell'oggettività - la non scarsa importanza dell'inadempimento - ed un parametro certamente soggettivo - qual è l'interesse della parte non inadempiente”. E' in questo contesto che si rende utile per le locazioni non abitative quale elemento di orientamento la regola che l'art. 5 della l. n. 392/1978 fissa per le locazioni abitative: attesa la delicatezza della valutazione della gravità dell'inadempimento nel caso delle locazioni non abitative, il giudice può nel caso “avvalersi orientativamente dei parametri valevoli per sciogliere il contratto di locazione ad uso abitativo” contribuendo tale “tipizzazione normativa … a dare concretezza ed oggettività alla valutazione del giudice che, altrimenti, in un ambito nel quale il suo potere discrezionale appare singolarmente ampio e la dialettica tra regole e principi si rivela particolarmente complessa, rischierebbe di restare pericolosamente priva di coordinamento con le direttive del sistema”. D'altra parte la sola considerazione del profilo oggettivo non sarebbe di per sé “sufficiente, occorrendo parametrarla all'interesse del contraente deluso”, interesse da apprezzarsi in una chiave che sia però a sua volta definita ed obiettiva: il fatto che il locatore “abbia agito per chiedere la risoluzione del contratto per l'altrui inadempimento o l'aver diffidato l'inadempiente non basterebbero” poiché così “si otterrebbe il risultato di rimettere la risoluzione alla scelta dell'adempiente”. E' per questa ragione che - come aveva affermato già Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1990, n. 1046 - “l'interesse dell'altro contraente (...) non deve essere tanto inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore avrebbe potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo in relazione all'attitudine dell'inadempimento a turbare l'equilibrio contrattuale ed a reagire sulla causa del contratto e sul comune interesse negoziale”. Ne deriva che “il punto di rottura del rapporto che giustifica la cancellazione del vincolo è dato dall'incrocio tra il grave inadempimento e l'intollerabile prosecuzione del rapporto”. c. Al fine di rendere più chiara l'operazione che deve compiersi la Corte fornisce a questo punto alcune indicazioni di carattere concreto spiegando i passaggi logici e le indagini da compiersi per dare soluzione alle questioni che il tema pone. Viene dunque chiarito che - sul piano operativo - in primo luogo, dovrà essere preso in considerazione l'aspetto oggettivo dell'inadempimento e dunque l'entità concreta di questo e la sua natura. Dovrà, poi, valutarsi il risultato raggiunto considerando i profili propri dell'interesse del creditore della prestazione: operazione delicata che richiede la considerazione di un insieme di elementi e fattori che l'ordinanza in esame elenca in via esemplificativa: - “il piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto”; - “gli adempimenti irrinunciabili ed essenziali”; - “le rinunce e le attese tollerabili pur di conservare il contratto”. Da notare che proprio con riguardo al profilo relativo al “ritardo” nell'adempimento l'ordinanza in commento indica numerosi ulteriori aspetti specifici che dovranno essere tenuti presenti per il corretto apprezzamento della gravità dell'inadempimento ai fini della risoluzione del contratto: - la durata del ritardo; - l'entità della somma il cui pagamento sia ritardato; - “il tipo di impiego” della somma dovuta cui si collegherebbe l'esigenza del locatore di disporne entro il termine fissato. Tutti aspetti - quelli elencati - che attengono appunto all'interesse del creditore della prestazione. d. A questo punto, il provvedimento prende in esame gli ulteriori aspetti della questione legati alla messa in mora del conduttore ed alla tolleranza del locatore. Quanto alla messa in mora - si ricordi che nel giudizio definito dal provvedimento che si annota la conduttrice aveva sostenuto che la mancanza della messa in mora dovesse fare pensare ad una tolleranza della locatrice relativamente ai ritardi nel pagamento - l'ordinanza osserva che “la intimazione in mora, cioè la richiesta, con i caratteri di cui all'art. 1219 c.c., dell'adempimento non è affatto elemento costitutivo della domanda di risoluzione”: il fatto che la locatrice non avesse “chiesto né sollecitato l'adempimento non è di alcun giovamento” pertanto per la conduttrice. Né può giovare a quest'ultima - si nota - la “precedente inerzia della locatrice rispetto ai pur reiterati ritardi” che “non può essere interpretata alla stregua di un comportamento tollerante di accondiscendenza ad una modifica contrattuale relativamente al termine di adempimento”. Invero “un comportamento di significato così equivoco, quale quello di non aver preteso in passato l'osservanza dell'obbligo” non può indurre il conduttore a “ritenere di poter adempiere secondo la propria disponibilità” (infatti “tale comportamento può essere ispirato da benevolenza piuttosto che essere determinato dalla volontà di modificazione del patto”: così Cass. civ., sez. III, 26 novembre 2019, n. 30730; Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1994, n. 466). Del resto, la tolleranza del locatore rispetto ad un inadempimento non può estendere i suoi effetti ad altri inadempimenti (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2015, n. 11110). La conduttrice pertanto “non poteva legittimamente ritenere che il comportamento asseritamente tollerante, proprio perché neutro, avesse ingenerato in lei il ragionevole affidamento in merito alla rinunzia alla pretesa di un adempimento puntuale”. e. La Corte, dunque, ritiene - in via conclusiva - che la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione della regola fissata dall'art. 1455 c.c. Essa infatti: a) da un lato, “ha valutato l'intervenuto pagamento del canone, tenendo conto, però, che in tema di risoluzione del contratto per inadempimento non trova applicazione nei contratti di durata la regola secondo cui la proposizione della domanda di risoluzione comporta la cristallizzazione delle posizioni delle parti contraenti fino alla pronuncia giudiziale definitiva, nel senso che, come è vietato al convenuto di eseguire la prestazione, così non è consentito all'attore di pretenderla, atteso che nel contratto di locazione, invece, trova applicazione la regola secondo cui il conduttore può adempiere anche dopo la proposizione della domanda, ma l'adempimento non vale a sanare o diminuire le conseguenze dell'inadempimento precedente e rileva soltanto ai fini della valutazione della relativa gravità” (così Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2006, n. 24207): nella sostanza si riconosce corretta l'opinione secondo cui l'adempimento tardivo non può eliminare gli effetti sul contratto determinati dal precedente inadempimento (come affermato da Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1999, n. 8550: il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti non esclude la valutazione da parte del giudice della gravità dell'inadempimento del conduttore dedotto con l'intimazione di sfratto); b) d'altro lato, ha correttamente applicato il principio per cui “in tema di contratto di locazione, ai fini dell'emissione della richiesta pronunzia costitutiva di risoluzione del contratto per morosità del conduttore il giudice deve valutare la gravità dell'inadempimento di quest'ultimo anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda, giacché in tal caso, come in tutti quelli di contratto di durata in cui la parte che abbia domandato la risoluzione non è posta in condizione di sospendere a sua volta l'adempimento della propria obbligazione, non è neppure ipotizzabile, diversamente dalle ipotesi ricadenti nell'ambito di applicazione della regola generale posta dall'art. 1453 c.c.” (nelle quali - come detto - fino alla pronunzia giudiziale definitiva, “come è vietato al convenuto di eseguire la sua prestazione, così non è consentito all'attore di pretenderla”) “il venir meno dell'interesse del locatore all'adempimento da parte del conduttore inadempiente, il quale, senza che il locatore possa impedirlo, continua nel godimento della cosa locata consegnatagli dal locatore ed è tenuto, ai sensi dell'art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto (salvo l'obbligo di risarcire il maggior danno) fino alla riconsegna”: la Corte nota così - in altre parole - che il fatto che il conduttore continuasse ad occupare l'immobile pur dopo la proposizione della domanda di risoluzione del contratto (e che il locatore si trovasse di fatto nella condizione di dovere subire la permanenza nell'immobile del conduttore e la conseguente indisponibilità del bene) rendeva rilevante anche l'eventuale inadempimento successivo (Cass. civ., sez. III, 30 maggio 2008, n. 14470). Principio che si lega alla considerazione che quando sia proposta domanda di risoluzione del contratto di locazione per il mancato pagamento dei canoni scaduti e sia domandata la condanna del conduttore al pagamento dei canoni a scadere in corso di causa la domanda di risoluzione deve ritenersi proposta anche in relazione ai canoni che andranno a scadere, sì che la risoluzione può essere dichiarata anche soltanto in relazione a questo inadempimento, sussista o meno l'inadempimento originario (così Cass.civ.,sez. III, 9 gennaio 2007, n. 202).
Osservazioni
L'ordinanza fornisce lo spunto per qualche breve considerazione. a. Innanzitutto, dal provvedimento esaminato emerge l'opportunità che le parti forniscano - nel contratto di locazione - indicazione degli obiettivi che esse si pongono con il contratto: una tale indicazione (che l'ordinanza espressamente considera menzionando al proposito il“piano dei rischi e dei benefici espressi nel contratto”) consentirebbe infatti al giudice, nel caso di inadempimento, di valutare la gravità di questo. Da segnalare anche l'opportunità che nel testo del contratto siano menzionati gli “adempimenti irrinunciabili ed essenziali” (indicazione che potrebbe essere formulata non già con una clausola risolutiva espressa ma piuttosto con la semplice menzione degli elementi sui quali potesse basarsi la valutazione circa la gravità dell'inadempimento). Può pensarsi, pertanto, all'inserimento nel contratto di indicazioni atte a chiarire - per esempio - che il locatore farà ricorso all'entrata derivante dal canone della locazione per fare fronte ad un determinato e preciso suo obbligo (del quale potranno essere indicate misura e scadenza) oppure che il locatore ha necessità di disporre della somma relativa al canone per fare fronte ad altre esigenze delle quali si tratterà di fornire chiara indicazione nel testo del contratto. Potranno così apprezzarsi correttamente gli effetti del mancato o ritardato adempimento da parte del conduttore dell'obbligo di pagamento e potrà formularsi correttamente la valutazione della gravità dell'inadempimento. Da sottolineare, poi, che il fatto che nel contratto siano menzionati gli elementi ora ricordati consentirebbe anche al conduttore di sapere anticipatamente quali potrebbero essere le conseguenze del suo inadempimento, aspetto rilevante anche sul piano della “prevedibilità” del danno ai fini del risarcimento (art. 1225 c.c.). Da notare che l'opportunità dell'inserimento delle indicazioni cui si è fatto qui cenno nel testo del contratto è certamente più presente nel caso delle locazioni non abitative che nel caso delle locazioni abitative dal momento che per queste l'art. 5 della l. n. 392/1978 individua i caratteri e la misura dell'inadempimento ai fini della dichiarazione della risoluzione del contratto. b. Quanto è detto nell'ordinanza concerne, dunque, l'ipotesi della valutazione da parte del giudice dell'importanza dell'inadempimento per l'applicazione della regola fissata dall'art. 1455 c.c. Peraltro proprio il fatto che l'art. 1455 c.c. richieda la valutazione da parte del giudice dell'importanza dell'inadempimento - valutazione che la stessa ordinanza esaminata consente di comprendere quanto sia complessa e delicata - suggerisce l'inserimento nei contratti di locazione non abitativa di una clausola risolutiva espressa che indicasse entità e durata del ritardo nel pagamento che comportasse la risoluzione del contratto: questa clausola (che si ritiene non possa considerarsi vessatoria in quanto in sostanza diretta a riprodurre il criterio legale di predeterminazione della gravità dell'inadempimento di cui all'art. 5 della l. n. 392/1978: Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2018, n. 28502; Cass.civ.,sez. III, 14 gennaio 2000, n. 369) escluderebbe la necessità che il giudice compisse valutazioni complesse e delicate e renderebbe chiara ogni cosa. Da segnalare che la presenza di una clausola risolutiva espressa potrebbe essere utile anche ai fini della ricostruzione della volontà delle parti circa l'importanza che esse abbiano inteso attribuire ai diversi obblighi contrattuali (essa sarebbe pertanto utile anche a prescindere dal suo utilizzo diretto: si veda la già ricordata Cass. civ.,sez. III, 26 novembre 2019, n. 30730). Anche con riguardo a questo tema va notato come l'opportunità della previsione di una tale clausola risolutiva espressa sia certamente più presente nel caso delle locazioni non abitative che nel caso di quelle abitative (poiché per queste l'art. 5 della l. n. 392/1978 predetermina la soglia dell'inadempimento da considerarsi grave). Peraltro quantomeno per le locazioni abitative di cui al comma 1 dell'art. 3 della l. n. 431/1998 (le locazioni c.d. libere) la possibilità di inserimento di una clausola risolutiva espressa della natura qui ipotizzata non è esclusa. c. Da notare, infine, che l'inserimento nel testo del contratto di indicazioni circa gli obiettivi che le parti intendono perseguire e circa la maggiore o minore importanza che esse intendano attribuire alle diverse previsioni del contratto potrebbe presentare utilità anche sotto profili ulteriori rispetto a quello della valutazione della gravità dell'inadempimento. Una possibile utilità in questo senso potrebbe vedersi nel caso in cui dovesse procedersi alla rinegoziazione del canone. A questo proposito va ricordato che da parte di molti attualmente viene prospettata la necessità o comunque l'opportunità che in relazione alle sopravvenienze derivanti dall'epidemia da Coronavirus i canoni delle locazioni non abitative (e - secondo alcuni - anche delle locazioni abitative) siano “rinegoziati” dalle parti. Al riguardo si segnalano alcuni provvedimenti di giudici di merito che hanno proceduto alla riduzione del canone in sede giudiziale (v., in questo senso, Trib. Roma 27 agosto 2020) o all'avvio d'ufficio di una procedura di rinegoziazione del canone (si veda in questo senso Trib. Milano 21 ottobre 2020) in applicazione di quanto suggerito in materia dalla “relazione tematica” 8 luglio 2020 dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione. Proprio tale “relazione tematica” ha suggerito che il giudice - ove le parti del contratto di locazione non raggiungano un accordo circa la rinegoziazione del canone - pronunci sentenza con la quale, in applicazione della previsione dell'art. 2932 c.c., fissi il nuovo canone con un provvedimento che sostituisca l'atto negoziale non concluso dalle parti. Tale intervento del giudice dovrebbe essere - secondo la relazione in questione - appunto sostitutivo dell'accordo delle parti e dovrebbe essere attuativo della volontà delle parti quale espressa nel contratto. In questa prospettiva, il fatto che le parti indichino nel contratto elementi atti a chiarire la loro volontà in vista della conclusione del contratto ed in relazione al contenuto di questo potrebbe presentare utilità. Riferimenti
De Tilla, Sull'offerta non formale della prestazione del conduttore, in Arch. loc. e cond., 2008, 375; Roma, Locazioni ad uso non abitativo: morosità e valutazione della gravità dell'inerente inadempimento, in Rass. loc. e cond., 2000, 576; Scarpa, L'esecuzione secondo buona fede del contratto di locazione, in Immob. & proprietà, 2010, 654; Sorrentino, Giudizio di buona fede e rapporto di locazione, in Giur. it., 2005, I, 1810.
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