Rappresentanza e legittimazione processuale: spetta al Presidente della Commissione tributaria

Ignazio Gennaro
04 Febbraio 2021

È al Presidente della Commissione tributaria (Provinciale o Regionale) che spetta la rappresentanza legale e, conseguentemente, la legittimazione processuale attiva e passiva in eventuali contenziosi che a qualsiasi titolo abbiano come parte l'Organo giurisdizionale. Il Direttore di Segreteria della Commissione tributaria non può essere considerato titolare 'ratione officii' del rapporto dedotto in giudizio: non detiene né la rappresentanza legale, né conseguentemente, la legittimazione processuale della Commissione. Pertanto, l'eventuale appello da questi interposto avverso una sentenza (nella specie in materia di Contributo unificato) è inammissibile.
Massima

È al Presidente della Commissione tributaria (Provinciale o Regionale) che spetta la rappresentanza legale e, conseguentemente, la legittimazione processuale attiva e passiva in eventuali contenziosi che a qualsiasi titolo abbiano come parte l'Organo giurisdizionale. Il Direttore di Segreteria della Commissione tributaria non può essere considerato titolare 'ratione officii' del rapporto dedotto in giudizio: non detiene né la rappresentanza legale, né conseguentemente, la legittimazione processuale della Commissione.

Pertanto, l'eventuale appello da questi interposto avverso una sentenza (nella specie in materia di Contributo unificato) è inammissibile.

Il caso

La Commissione tributaria provinciale di Palermo accoglieva il ricorso proposto da un contribuente avverso un Invito al pagamento per Contributo unificato relativo ad un pregresso contenzioso. L' Ufficio di Segreteria della Commissione, in persona del Direttore della stessa - giusta delega rilasciata dal Direttore della Direzione della Giustizia tributaria del Dipartimento delle Finanze del Ministero dell'Economia e Finanze - interponeva appello avverso la predetta sentenza, dinnanzi alla Commissione tributaria regionale per la Sicilia.

Il Contribuente appellato si costituiva in giudizio e ne chiedeva il rigetto.

La Commissione del gravame valutata preliminarmente la legittimazione attiva del direttore della segreteria della Commissione tributaria provinciale di Palermo ad effettuare l'impugnativa dichiarava l'appello inammissibile.

Secondo i giudici trinacrini il provvedimento originariamente impugnato (Invito al pagamento Contributo unificato) “costituisce atto emanato da un ufficio che rappresenta una mera articolazione interna della Commissione Tributaria il cui vertice va individuato nel Presidente della Commissione e non certo nel Direttore della segreteria, ufficio, quest'ultimo necessariamente caratterizzato da una funzione ausiliare e servente di quella giurisdizionale propria dell'organo giudiziario. È pertanto al Presidente della Commissione Tributaria che spetta la rappresentanza legale e, conseguentemente, la legittimazione processuale attiva e passiva in eventuali contenziosi che a qualsiasi titolo dovessero avere come parte quell'organo giurisdizionale.”.

La questione

Il tema affrontato dai Giudici Siciliani ha riguardato la titolarità della legittimazione processuale attiva e passiva in eventuali contenziosi che a qualsiasi titolo riguardino la Commissione tributaria (sia Provinciale che Regionale).

Secondo il Collegio dell'Isola “la presenza del Ministero dell'Economia e delle Finanze nel contesto della giurisdizione tributaria, e per esso della Direzione della Giustizia tributaria, non può essere letta che come una mera attività di supporto amministrativo, funzionalmente subalterna e sotto la vigilanza di quella magistratuale – confermata anche dall'art. 15, comma 1, del d.Lgs. 545/1992, il quale prevede che il Presidente di ciascuna Commissione tributaria esercita la vigilanza sulla qualità ed efficienza dei servizi di segreteria della propria Commissione – la cui massima espressione è ancorata allo status di magistratura togata (pur proveniente da altri plessi giurisdizionali) che caratterizza il vertice delle Commissioni e delle loro sezioni...”.

Ne consegue che nessuna legittimazione può essere riconosciuta al Direttore di Segreteria a promuovere o resistere in contenziosi che, comunque, riguardino la Commissione tributaria.

La soluzione giuridica

La “ratio decidendi” della pronuncia in esame va ricercata nel D.lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 - Pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 9 del 13 gennaio 1993).

Tale norma, in sintesi, compendia il funzionamento degli organi della Giustizia tributaria (Giurisdizione ed Uffici di Segreteria) e ne disciplina le competenze.

L'art. 15 comma 1 del D.Lgs. in parola – per quanto qui di interesse - dispone che “Il Presidente di ciascuna commissione tributaria esercita la vigilanza sugli altri componenti e sulla qualità e l'efficienza dei servizi di segreteria della propria commissione, al fine di segnalarne le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'Economia e delle Finanze per i provvedimenti di competenza. Il Presidente di ciascuna commissione tributaria regionale esercita la vigilanza sulla attività giurisdizionale delle commissioni tributarie provinciali aventi sede nella circoscrizione della stessa e sui loro componenti”.

Sulla base di tale disposto normativo la Commissione di appello Siciliana ha quindi ritenuto che è al Presidente della Commissione Tributaria (Provinciale o Regionale) che spetta sia la rappresentanza legale che la legittimazione processuale attiva e passiva in eventuali contenziosi che hanno come parte il rispettivo organo giurisdizionale.

Osservazioni

Ad avviso dei Giudici tributari di appello, quindi, il Direttore della Segreteria della Commissione tributaria non detiene né la rappresenta legale né, conseguentemente, la legittimazione processuale riferita alla Commissione “essendo un Funzionario preposto ad una particolare articolazione interna dell'Organo giurisdizionale, pur munita di specifiche competenze all'interno della più complessa struttura giudiziaria”.

Per tale ragione, una diversa lettura condurrebbe ad un severo vulnus costituzionale poiché vedrebbe la giurisdizione tributaria potenzialmente asservita (sicuramente come immagine) o, comunque gravemente condizionata da un Ministero, quello per l'appunto dell'Economia e delle Finanze, che poi costituisce il beneficiario finale di gran parte delle entrate tributarie e, quindi convitato occulto di moltissimi processi tributari.

Riferimenti giurisprudenziali

Il Testo Unico delle Spese di Giustizia, all'art. 247 (d.P.R. n. 115/2002) dispone che l'ufficio incaricato della gestione delle attività connesse alla riscossione è quello presso il magistrato dove è depositato l'atto cui si collega il pagamento o l'integrazione del Contributo unificato.

L'art. 15 del citato Testo Unico prevede che il Funzionario verifica l'esistenza della dichiarazione della parte in ordine al valore della causa oggetto della domanda e della ricevuta di versamento; verifica, inoltre, se l'importo risultante dalla stessa è diverso dal corrispondente scaglione di valore della causa, procedendo, altresì alla verifica ogni volta che viene introdotta nel processo una domanda idonea a modificare il valore della causa.

L'art. 248 della norma in parola quindi prescrive che l'ufficio notifichi alla parte, ai sensi dell'art. 137 c.p.c., l'invito al pagamento dell'importo dovuto, quale risulta dal raffronto tra il valore della causa ed il corrispondente scaglione dell'articolo 13 del medesimo T.U., con espressa avvertenza che si procederà ad iscrizione a ruolo, con addebito degli interessi al saggio legale, in caso di mancato pagamento entro un mese.

La Commissione tributaria siciliana – con la sentenza in commento – ha comunque ritenuto di non entrare nel merito della “natura del predetto invito e sulla sua impugnabilità in sede giurisdizionale; profili che rileverebbero nel caso in cui si dovesse passare all'esame del merito del gravame...”.

Ha tuttavia statuito che “l'invito suddetto costituisce un atto emanato da un ufficio che rappresenta una mera articolazione interna della Commissione Tributaria il cui vertice, pur nell'attuale ibrido e, per certi versi poco chiaro assetto istituzionale, va individuato nel Presidente della Commissione e non certo nel Direttore della Segreteria”.

Pertanto, richiamando il consolidato principio di diritto secondo il quale la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice, se risultante dagli atti di causa (Cassazione civile, Sez. Un., 16/02/2016, n. 2951), ha dichiarato “inammissibile” l'appello sottoposto.

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