Trust e imposta di successione e donazione
08 Febbraio 2021
Massima
Nell'ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all'art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l'istituzione di un trust, ma ciò non è sufficiente a giustificare l'applicazione dell'imposta di successione e donazione, perché, a tal fine, deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un'acquisita, maggiore, capacità contributiva. Non si può dunque affermare che, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari acquisiscano già un qualche incremento patrimoniale che comporta una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo solo quando il trustee abbia portato a termine l'attività ad esso demandata. La strumentalità dell'atto istitutivo e di dotazione del trust ne giustifica pertanto, sotto tale profilo, la neutralità fiscale. Il caso
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 29505 del 24/12/2020, ha chiarito alcuni rilevanti profili in tema di imposta di successione e donazione e trust. Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto aveva parzialmente accolto gli appelli proposti dall'Agenzia delle Entrate in due diversi procedimenti, dalla CTR riuniti, relativi all'impugnazione di due distinti avvisi di liquidazione dell'imposta di successione e donazione, riguardanti due conferimenti di denaro in un trust. In particolare, i giudici di appello avevano ritenuto dovute le imposte indicate negli avvisi, ma non le sanzioni. L'oggetto del giudizio atteneva ad un trust costituto il 09/07/2007 a Lugano. La disponente, in quell'occasione, aveva nominato trustee una società fiduciaria avente sede a Cipro, affidandole il compito di gestire i beni conferiti, e aveva destinato agli scopi del trust la somma di Euro 14.500,00. Successivamente, in data 28/09/2007, la stessa disponente aveva destinato al trust l'ulteriore somma di Euro 2.100.000,00. Dagli atti si evinceva che, al momento della costituzione, i beneficiari finali del trust erano stati indicati in modo generico e solo successivamente erano stati designati i tre figli della disponente. Come detto, gli avvisi impugnati avevano riguardato proprio i menzionati conferimenti in denaro. All'esito del giudizio di secondo grado, la Commissione Tributaria Regionale aveva dunque ritenuto che l'art. 2, commi 47 e 49, D.L. n. 262 del 2006, conv. con modif. in L. n. 286/2006, nel prevedere l'applicazione dell'imposta di successione e donazione anche agli atti di destinazione, avesse in sostanza istituito una nuova imposta, applicabile anche al conferimento di capitali nel trust, aggiungendo che soggetti passivi della stessa erano il disponente ed il trustee, in solido tra loro. Avverso la sentenza la disponente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell'art. 2, commi 47 e 49, cit., per avere la CTR ritenuto che la norma richiamata avesse introdotto una nuova imposta, che colpisce i vincoli di capitale, trattandosi invece della stessa originaria imposta, applicabile ai trasferimenti di beni, operati, oltre che per successione, anche per atto tra vivi, e connotati dallo spirito di liberalità o dalla gratuità, ovvero, appunto, dalla presenza di un vincolo di destinazione, con la conseguenza che l'imposta doveva essere corrisposta, non al momento della istituzione del trust o del conferimento in esso di beni, ma in quello di trasferimento dei beni in esso presenti ai destinatari finali. Con altro motivo di impugnazione si censurava poi la sentenza per avere la CTR affermato che soggetto passivo dell'imposta è anche il trustee, e comunque la violazione dell'art. 57 del d.P.R. n. 131/1986, non potendo quest'ultimo essere considerato condebitore solidale. La questione
Passando ad esaminare le singole censure, la Suprema Corte dichiara innanzitutto l'inammissibilità della seconda, con cui la ricorrente - colei cioè che aveva istituito il trust e conferito il denaro - aveva impugnato la decisione della CTR nella parte in cui questa aveva affermato che il trustee era soggetto passivo dell'imposta, ravvisando anche una responsabilità solidale di quest'ultimo con la disponente stessa. In questo modo, però, rileva la Cassazione, la parte aveva fatto valere ragioni che solo il trustee era legittimato a proporre, in violazione dell'art. 81 c.p.c., secondo il quale nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi previsti dalla legge. Nel caso di specie, il ricorso per cassazione era stato presentato solo dalla disponente, che, in base a quanto evidenziato, non poteva far valere i motivi di impugnazione personali del trustee, il cui ipotetico accoglimento, peraltro, non avrebbe arrecato alcun risultato utile alla medesima, non migliorando la sua esposizione debitoria nei confronti dell'erario. Quanto invece alla prima censura, la Corte, nel ritenerla fondata, rileva che oggetto di imposizione in ciascuno dei procedimenti riuniti era stato il conferimento di denaro in un trust, il cui scopo era quello di gestire i beni in esso conferito per poi devolverli ai beneficiari, solo successivamente individuati. Prima di evidenziare le soluzioni giuridiche raggiunte dalla Corte, occorre però rilevare quanto segue. L'art. 2, D.L. n. 262/2006, conv. con modif. in L. n. 286/2006, al comma 47, ha istituito l'imposta sulle successioni e donazioni «sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54». Nel reintrodurre nell'ordinamento l'imposta sulle successioni e donazioni (abrogata dall'art. 13 L. n. 383/2001), la norma appena riportata ha peraltro rimodulato la configurazione del tributo, ampliandone la base impositiva con l'inclusione di tutti i trasferimenti a titolo gratuito ed anche degli atti con cui si costituiscono vincoli di destinazione. Il tema dunque era, nella specie, se il trust potesse o meno rientrare in tale rimodulazione e in che termini e da quali soggetti l'imposta, eventualmente applicabile, fosse dovuta. A tal fine è peraltro rilevante comprendere il meccanismo di funzionamento dell'istituto, laddove il trustee acquista sì la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sé, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito. Il trustee acquista dunque la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma si tratta di un trasferimento strumentale, perché finalizzato al perseguimento degli scopi indicati nell'atto costitutivo, che non incrementa il patrimonio personale del trustee, perché i beni trasferiti restano separati, e segregati, essendo destinati a restare temporaneamente sotto il controllo del trustee prima della destinazione ai beneficiari finali. Con la dotazione del trust, il disponente non vuole pertanto arricchire il trustee, il cui patrimonio personale non trae infatti alcun vantaggio, tenuto conto che i beni restano segregati, ma vuole che quest'ultimo abbia tutti i poteri per gestire e disporre di tali beni, in modo tale da poter attuare le finalità per cui il trust è stato istituito, a vantaggio dei beneficiari finali. Il trasferimento dei beni al trustee avviene pertanto in via strumentale e temporanea e non determina effetti traslativi in favore del trustee
Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione rileva che l'estensione dell'imposizione al più ampio genus degli atti a titolo gratuito (rispetto alla species delle sole liberalità, previste in origine dall'art. 1 del D.Lgs. n. 346/1990) conduce a correlare il presupposto del tributo all'accrescimento patrimoniale (senza contropartita) del beneficiario, anziché all'animus donandi, che infatti manca negli atti a titolo gratuito diversi dalle liberalità. E anche per quanto riguarda la costituzione dei vincoli di destinazione, la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che l'art. 2, comma 47, cit. abbia mantenuto, come presupposto impositivo, quello stabilito dall'art. 1 D.Lgs. n. 346/1990, e cioè il "reale trasferimento" di beni o diritti, e quindi il "reale arricchimento" dei beneficiari, aggiungendo espressamente, tra gli atti suscettibili d'imposizione, (oltre ai trasferimenti a titolo gratuito, anche) la costituzione dei vincoli di destinazione. E questo appunto per evitare che un'interpretazione restrittiva, determinata dal rinvio all'abrogato D.Lgs. n. 346/1990, potesse portare, in tali ipotesi, all'esclusione dell'imposta, che non era contemplata nel Dlgs. n. 346 del 1990 semplicemente perché, all'epoca, la costituzione di tali vincoli non era ancora prevista nel nostro ordinamento (così Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; v. anche Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019 e Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020). Tale soluzione, rileva la Corte, risponde alla necessità di operare una lettura costituzionalmente orientata della normativa in esame (artt. 53 e 23 Cost.), attribuendo giusto rilievo al fatto che l'imposta disciplinata dal Dlgs. n. 346 del 1990, richiamato dall'art. 2, comma 47, sopra riportato, non può non essere posta in relazione con "un'idonea capacità contributiva". Pertanto, nell'ambito concettuale dei negozi costitutivi di vincoli di destinazione sono senza dubbio compresi gli atti di destinazione di cui all'art. 2645 ter c.c., come pure qualsiasi atto volto alla costituzione di patrimoni vincolati ad uno scopo, e dunque anche l'istituzione di un trust, ma ciò non è comunque sufficiente a giustificare l'applicazione dell'imposta in questione, perché deve operarsi un effettivo trasferimento di ricchezza, che sia indice di un'acquisita maggiore capacità contributiva. Come più volte evidenziato dalla Cassazione (v. da ultimo Cass., Sez. 5, n. 8082 del 23/04/2020), ferma restando l'indubbia discrezionalità del legislatore nell'individuare i presupposti del tributo, quest'ultimo deve pur sempre muoversi in un ambito di ragionevolezza, e di non arbitrio (Corte Cost., sentenza del 15 maggio 2015, n. 83), perché la capacità contributiva, in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese, esige l'oggettivo e ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (così Corte Cost., ordinanza del 28 novembre 2008, n. 394). Trasponendo tutto ciò in riferimento alla figura del trust, è dunque opportuno evidenziare quanto segue. Con tale figura si intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente - con atto tra vivi o mortis causa - ponendo dei beni sotto il controllo di un trustee nell'interesse di un beneficiario o per un fine determinato. Tale figura assume del resto connotazioni diverse a seconda delle modalità con cui viene istituito, delle finalità che persegue e dei soggetti che rivestono le diverse figure (a titolo esemplificativo, il trustee può essere un terzo o lo stesso settlor, i beneficiari possono essere da subito individuati in modo specifico oppure no). Vi sono però alcuni elementi caratterizzanti comuni, i quali possono essere individuati:
Il trust non è peraltro dotato di una propria personalità giuridica e il trustee è l'unico soggetto di riferimento nei rapporti con i terzi, non in qualità di legale rappresentante del trust, ma come colui che dispone dei beni e dei diritti in esso conferiti, in conformità alle istruzioni e in coerenza con lo scopo a cui il patrimonio è destinato (così, Cass, Sez. 3, n. 3128 del 10/02/2020). È pertanto evidente, conclude la Cassazione, il carattere fiduciario del rapporto fra disponente e trustee, il quale acquista la proprietà dei beni o dei diritti conferiti nel trust, non a proprio vantaggio - perché non incrementano il suo patrimonio personale, ma restano separati e segregati - ma per compiere gli atti di gestione (e, se previsti, di disposizione), che consentano di realizzare lo scopo per il quale il trust è stato istituito; e comunque non nell'interesse proprio, ma di terzi. Sulla base di tali premesse, pertanto, l'istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, e dunque non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva. I beni e i diritti, come detto, non sono infatti a lui attribuiti in modo definitivo, essendo egli solo tenuto solo ad amministrarli e a disporne (se richiesto), in regime di segregazione patrimoniale, in vista del trasferimento che dovrà poi compiere. Né può ritenersi, sottolinea ancora la Corte, che la costituzione del trust produca un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento (anzi, semmai il contrario). E non si può neanche affermare, almeno in via generale, che, grazie alla sola costituzione del trust, i terzi beneficiari, ove esistenti, acquisiscano già un qualche incremento patrimoniale che comporta una maggiore capacità contributiva, verificandosi tale effetto migliorativo nella sfera giuridica di questi ultimi solo quando il trustee abbia portato a termine l'attività ad esso demandata. La strumentalità dell'atto istitutivo e di dotazione del trust, in conclusione, secondo la Suprema Corte, ne giustifica pertanto, nei termini indicati, la neutralità fiscale, tenuto conto che l'indice di ricchezza, al quale, come visto, deve sempre collegarsi l'applicazione del tributo, non prende consistenza prima che il trust abbia attuato la propria funzione. Prima di questo momento, l'utilità, insita nell'apposizione del vincolo, si risolve, dal lato del conferente, in un'autorestrizione del potere di disposizione, mediante la segregazione e, dal lato del trustee, in un'attribuzione patrimoniale meramente formale, separata dai beni personali del trustee. E, come visto, quando il conferimento costituisce un atto sostanzialmente neutro, che non arreca un reale e stabile incremento patrimoniale al beneficiario, resta esclusa la ricorrenza di un presupposto suscettibile di imposizione indiretta (così da ultimo Cass., Sez. 5, n. 1131 del 17/01/2019; Cass., Sez. 5, n. 11401 del 30/04/2019). In questi casi, l'imposta sulle successioni e donazioni, prevista dall'art. 2, comma 47, cit. è quindi dovuta non al momento dell'istituzione del trust o in quello di dotazione patrimoniale dello stesso, fiscalmente neutri, ma semmai in seguito, al momento dell'eventuale trasferimento dei beni o dei diritti a terzi, perché, come sopra evidenziato, solo tale atto costituisce un effettivo indice di ricchezza ai sensi dell'art. 53 Cost. (così Cass., Sez. 5, n. 19167 del 17/07/2019; Cass., Sez. 5, n. 16699 del 21/06/2019). Osservazioni
In conclusione, e a prescindere dallo specifico caso processuale, in termini generali, giova evidenziare quanto segue. Ai fini dell'applicazione delle imposte di successione, registro ed ipotecaria, si deve realizzare un trasferimento effettivo di ricchezza mediante un'attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. E nel trust, come visto, tale trasferimento non si realizza né con l'atto istitutivo, né con quello di dotazione patrimoniale fra disponente e trustee. Tali atti sono infatti meramente attuativi degli scopi di segregazione e costituzione del vincolo di destinazione. Nel trust il trasferimento si realizza quindi solo con l'attribuzione finale del bene al beneficiario, in quanto solo quest'ultimo costituisce un effettivo indice di ricchezzaai sensi dell'art. 53 Cost. L'imposta sulle successioni e donazioni ha come presupposto l'arricchimento patrimoniale a titolo di liberalità. E, ai fini della sua applicazione in misura proporzionale, occorre valutare se, sin dall'istituzione del trust, si sia realizzato un trasferimento definitivo di beni e diritti dal trustee al beneficiario. In mancanza di tale condizione, l'atto dovrà quindi essere assoggettato alla sola imposta fissa di registro. Il trasferimento del bene dal settlor al trustee avviene del resto a titolo gratuito e non determina effetti traslativi, poiché non comporta l'attribuzione definitiva al trustee. Quest'ultimo è infatti tenuto solo ad amministrarlo ed a custodirlo, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del suo ritrasferimento ai beneficiari finali. E tale atto è pertanto soggetto a tassazione in misura fissa, sia per quanto attiene all'imposta di registro che per le imposte ipotecaria e catastale. È erroneo dunque in questi casi considerare il trust liberale come immediatamente produttivo degli effetti traslativi finali, che costituiscono il vero presupposto dell'imposta. La sua costituzione va pertanto considerata estranea al presupposto dell'imposta indiretta sui trasferimenti, mancando l'elemento fondamentale dell'attribuzione definitiva dei beni al beneficiario. E dunque, in ogni tipologia di trust, l'imposta proporzionale non andrà anticipata né all'atto istitutivo, né a quello di dotazione, bensì riferita a quello di sua attuazione e compimento. E tale soluzione può trovare applicazione anche nel caso del cosiddetto trust auto-dichiarato, che è connotato dalla coincidenza tra disponente e trustee. Anzi, è proprio la mancanza di trasferimento patrimoniale intersoggettivo a rendere, in tal caso, ancor più evidente l'incongruenza dell'applicazione dell'imposta proporzionale, laddove il patrimonio rimane in capo allo stesso soggetto. |