La saga dei termini di accertamento degli oneri pluriennali

11 Febbraio 2021

Il termine decadenziale per l'accertamento degli oneri pluriennali decorre dall'anno della prima esposizione, seppure frazionata, in dichiarazione. La prassi degli Uffici di ancorare il potere accertativo al periodo di imputazione dei singoli ammortamenti, costituisce un'artificiosa estensione dei termini di controllo, in contrasto con le esigenze di certezza giuridica. Questo, in sintesi, il principio statuito nella sentenza n. 2754 del 25 novembre 2020 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Massima

Il termine decadenziale per l'accertamento degli oneri pluriennali decorre dall'anno della prima esposizione, seppure frazionata, in dichiarazione.

La prassi degli Uffici di ancorare il potere accertativo al periodo di imputazione dei singoli ammortamenti, costituisce un'artificiosa estensione dei termini di controllo, in contrasto con le esigenze di certezza giuridica.

Questo, in sintesi, il principio statuito nella sentenza n. 2754 del 25 novembre 2020 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Il caso

La controversia ha avuto origine da un ricorso avverso una cartella di pagamento con cui l'Amministrazione, in seguito ad un controllo formale ex art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973, aveva recuperato a tassazione i costi per interventi di recupero del patrimonio edilizio indicati dal contribuente nel Modello Unico 2015, in considerazione della mancata produzione della documentazione attestante il loro sostenimento. Il contribuente, dopo aver evidenziato di non possedere più la documentazione a causa del decorso di oltre dieci anni tra la data del sostenimento delle spese (anni 2005 e 2006) e quella della richiesta da parte dell'Agenzia delle Entrate (novembre 2017), ha eccepito la tardività della notifica della cartella esattoriale per decorso dei relativi termini decadenziali.

Secondo l'Ufficio, invece, il controllo formale ex art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973 da eseguirsi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo alla presentazione della dichiarazione, legittimerebbe la richiesta documentale inoltrata nel 2017 avente ad oggetto la dichiarazione del 2015. In sostanza, in base alla tesi erariale, il momento a cui ancorare il termine di decadenza per il controllo formale (o, in generale, per l'azione di accertamento) non sarebbe quello in cui la spesa è stata sostenuta, bensì quello in cui il contribuente usufruisce della detrazione.

Sia i giudici di prime cure che quelli di seconde cure, in ossequio al principio statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza del 24 aprile 2018, n. 9993, hanno accolto la tesi del contribuente, affermando che “in tema di accertamento, nell'ipotesi di beni ammortizzabili, il termine di decadenza per l'esercizio del potere impositivo decorre dall'annualità nella quale è stata presentata la dichiarazione in cui i costi sono stati concretamente sostenuti […] rispetto alla quale sorgono i presupposti del diritto alla deduzione […] non potendo il contribuente, come peraltro affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 280/2005, essere esposto all'azione del Fisco per un periodo eccessivamente dilatato”.

La questione

Il legislatore permette ai contribuenti di detrarre, ai fini Irpef, le spese sostenute per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio (i.e. manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ricostruzione o ripristino dell'immobile danneggiato a seguito di eventi calamitosi etc.), mediante la loro ripartizione in dieci quote annuali - di pari importo - nell'anno in cui sono state concretamente sostenute e in quelli successivi.

La querelle che ha originato la controversia nasce dalla prassi dell'Amministrazione finanziaria, di recuperare le singole non spettanti attraverso il controllo formale della dichiarazione dei redditi in cui sono state dichiarate che, come nel caso di specie, può essere successivo anche di molte annualità rispetto alla prima. Prescindendo, cioè, dall'annualità di formazione della spesa (ossia, dall'anno del primo rateo).

La soluzione giuridica

Nell'accogliere le doglianze del contribuente, il Collegio lombardo ha osservato, in primis, che le detrazioni in questione rappresentano un mero automatismo ripetuto negli anni a fronte di una documentazione originaria che, non subendo modifiche o integrazioni, il contribuente è tenuto a mettere a disposizione dell'Ufficio per due o quattro anni (attualmente cinque)-a seconda che l'Ufficio attivi un controllo formale o un'attività accertativa- dalla prima dichiarazione fiscale. Non rileverebbero, conseguentemente, le annualità successive, contenenti solo una mera ripartizione annuale della spesa originariamente sostenuta e prive di elementi nuovi che possano portare ad una “riapertura” dei termini dell'attività controllo.

La tesi erariale - secondo cui il termine decadenziale si determinerebbe dall'annualità di indicazione del singolo rateo -, dunque, non trova conferma in una meccanicistica applicazione del principio di autonomia dei periodi d'imposta di cui all'art. 7, comma 1, del d.P.R. n. 917 del 1986 (Tuir). Criterio, dunque, che non rileva in termini assoluti ed incondizionati, non potendo operare in relazione a situazioni geneticamente unitarie e, comunque, destinate a ripercuotersi su annualità successive. Secondo la Commissione Regionale, infatti, una estremizzazione di tale principio imporrebbe al contribuente, in lampante contrasto con la ratio sottesa alle norme sui termini di decadenza, di conservare per oltre un decennio la documentazione relativa alle spese sostenute, esponendolo a verifiche e controlli fiscali oltre qualsiasi termine ragionevole. In violazione, peraltro, del principio affermato Giudice delle Leggi nella sentenza n. 208 del 2005 secondo cui è alla prima dichiarazione che devono essere ricollegati i presupposti del diritto alla detrazione (o deduzione) e, quindi, la predisposizione della documentazione giustificativa.

Il rinvio alle Sezioni unite (Cass. ordinanza 5 giugno 2020, n. 10701)

La Corte di Cassazione, invero, con ordinanza del 5 giugno 2020, n. 10701, dopo aver esternato una serie di dubbi sui precedenti arresti recati dalle pronunce n. 9993 del 2018 e n. 2899 del 2019, ha rimesso all'esame delle Sezioni Unite una questione identica. Secondo la Supreme Corte, in particolare, le conclusioni raggiunte nelle pronunce depositate nel biennio 2018/19 - secondo cui il recupero a tassazione dei ratei dei componenti reddituali pluriennali deve avvenire entro il termine per la rettifica della dichiarazione relativa al periodo d'imposta in cui il componente reddituale è maturato ed è stato contabilizzato e iscritto per la prima volta in bilancio - sarebbero fondati su argomenti “non del tutto persuasivi o, comunque, opinabili, potendo prestare il fianco, ciascuno, a più di un'obiezione”.

Tra i tanti, il Giudice remittente ha evidenziato di non ritenere applicabile alla fattispecie esaminata il principio espresso dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 208 cit. in quanto non vertente sulla decadenza in generale, ma sulla specifica disciplina della notificazione di una cartella di pagamento recante un ruolo formato a seguito di controllo automatizzato.

Osservazioni

La recente ordinanza della Corte di Cassazione riapre una querelle che sembrava definitivamente conclusa.

L'accoglimento delle tesi interpretative da parte delle Sezioni Unite, a parere degli scriventi, si risolverebbe in un ingiustificato svilimento dei principi ontologici alla base dell'istituto stesso della decadenza. Basti pensare a tutti quei beni per i quali sono previsti coefficienti di ammortamento molto bassi, in relazione ai quali il contribuente potrebbe trovarsi esposto a possibili contestazioni anche dopo oltre 30 anni dal sostenimento del costo.

L'auspicio, in conclusione, è che, per una volta, siano i principi di diritto a prevalere, anche a scapito della sempre attuale esigenza di fare cassa.

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