L’acquisto di azioni proprie, preceduta dalla rivalutazione delle stesse, non è “abusivo” del diritto
22 Febbraio 2021
Massima
Un'operazione di cessione di partecipazioni, il cui valore, precedentemente all'operazione, è stato rivalutato ex Legge n. 448 del 2001 e successive modifiche, con il pagamento di un'imposta sostitutiva, non può essere considerata elusiva. La questione
In particolare, l'Ufficio ha contestato ad una persona fisica di avere ceduto alla società partecipata le azioni proprie, dopo averle rivalutate, eccependo l'applicazione delle disposizioni dell'art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente e ritenendo “abusiva” una sequenza negoziale riconducibile al c.d. “leveraged cash out” (Si ricorda che anche la Commissione Tributaria Provinciale di Padova ha ritenuto non abusiva un' operazione di acquisto di azioni proprie, preceduto dalla rivalutazione con pagamento dell'imposta sostitutiva. Cfr. sentenza 20 febbraio 2020, n. 58). Secondo l'Agenzia delle Entrate, con tale operazione, il contribuente avrebbe ottenuto un vantaggio tributario, dal momento che avrebbe trasformato la tassazione prevista per i redditi di capitale (distribuzione di utili) in quella, nel caso di specie inferiore a causa dell'imposta sostitutiva, stabilita per i redditi diversi. I giudici veneti hanno statuito l'insussistenza del presupposto del “vantaggio fiscale indebito”, riconoscendo come l'operazione posta in essere, pienamente lecita, si ponga su un piano di pari dignità sistematica rispetto alla distribuzione di utili e come, pertanto, debba essere garantita al contribuente, ai sensi del co. 4 dell'art. 10-bis cit., la libertà di scelta tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; dall'altro lato, il Collegio di secondo grado ha, in ogni caso, riconosciuto l'adeguatezza delle ragioni extrafiscali addotte dal contribuente e, in particolare, il fatto che la distribuzione dei dividendi a beneficio (necessariamente) di tutti i soci avrebbe arrecato un pregiudizio alla struttura finanziaria della società. Le motivazioni della sentenza sono condivisibili per queste ragioni. La soluzione giuridica
Brevi cenni all'abuso del diritto La normativa sull'abuso del diritto è contenuta nell'articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), secondo il quale configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.
È stato osservato che per l'esistenza dell'abuso occorrono tre presupposti:
Pertanto, la norma in oggetto sembra restringere l'ambito applicativo della disposizione nel senso che, per far scattare la norma antielusiva, non è sufficiente un'operazione priva di valide ragioni economiche, ma occorre anche che l'indebito vantaggio sia lo scopo essenziale dell'operazione. In altri termini, l'indebito vantaggio fiscale, in assenza di sostanza economica, non determina necessariamente l'applicazione della norma sull'abuso. Ciò sarebbe confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate, secondo la quale, per constatare l'abuso del diritto, è necessario prioritariamente procedere alla verifica dell'esistenza del primo elemento costitutivo - l'indebito vantaggio fiscale - in assenza del quale l'analisi antiabusiva si deve intendere terminata. Diversamente, al riscontro della presenza di indebito vantaggio, si proseguirà nell'analisi della sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi (assenza di sostanza economica e essenzialità del vantaggio indebito). Infine, solo qualora si dovesse riscontrare l'esistenza di tutti gli elementi, l'Amministrazione Finanziaria procederà all'analisi della fondatezza e della non marginalità delle ragioni extra fiscali (Così la Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 17 ottobre 2016, n. 93). Pertanto, quando l'operazione non consente la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito, non può essere considerata elusiva (Così la Risposta di interpello dell'Agenzia Entrate del 30 ottobre 2019, n. 450). E tale vantaggio indebito non può verificarsi quando si sfrutta una norma che permette di sostenere un'imposta sostitutiva per usufruirne.
La rivalutazione delle partecipazioni e la mancanza di elusività secondo la Corte di Cassazione In merito alle operazioni, precedute da una rivalutazione delle quote ex Legge n. 448 del 2001 e successive modifiche, si ricorda che la Corte di Cassazione (Con ordinanza del 6 novembre 2020, n. 24839) ha considerato non abusiva un'operazione che riguardava la vendita di azioni rivalutate a una società controllata dal soggetto cedente non imprenditore, a cui ha fatto seguito la cessione totalitaria delle partecipazioni detenute nella società cessionaria delle quote rivalutate, a favore di un'altra società a responsabilità limitata. L'eccezione sollevata dall'Agenzia delle Entrate si focalizzava sulle modalità con cui era stata strutturata l'operazione, in quanto le suddette cessioni erano avvenute solo alcuni giorni prima del pagamento dei dividendi, peraltro già deliberati, e al prezzo corrispondente ai dividendi stessi. Il suddetto corrispettivo era stato versato dalla cessionaria appena ricevuti i dividendi. Pertanto, secondo la tesi erariale, le cessioni sarebbero finalizzate esclusivamente al conseguimento di un risparmio d'imposta, ottenuto con il pagamento dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni azionarie, eludendo così il pagamento delle imposte sui dividendi, formalmente non percepiti, ma di fatto corrispondenti al prezzo di cessione a terzi delle medesime azioni. In merito, la Cassazione ha considerato non elusivo il comportamento del contribuente nonostante la cessione delle azioni fosse avvenuta due giorni prima della distribuzione di dividendi già deliberati e il pagamento del dovuto fosse stato posto in essere in corrispondenza della distribuzione dei medesimi, in quanto tale scelta, pur singolare, non può essere collegabile assiomaticamente, come preteso, ad un esclusivo intento elusivo dell'intera operazione di cessione delle partecipazioni societarie. A questo punto non si può non fare a meno di citare un'altra ordinanza (quella del 17 marzo 2020, n. 7359), con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di parte erariale, risultante soccombente, sia in primo che in secondo grado, in una causa in cui si contestava l'elusività di un'operazione di riorganizzazione societaria complessa, portata termine mediante atti di fusione, costituzione di nuove società, conferimento d'azienda, rivalutazione di partecipazioni sociali, ex Legge n. 448/2001 e successive modifiche, e loro trasferimenti. La Suprema Corte ha ritenute infondate le eccezioni dell'Ufficio, considerato che, in assenza di alcun divieto aggirato, il complesso delle operazioni contestate ha evidenziato la sussistenza di ragioni economiche tali da poterne escludere la predisposizione in vista del solo conseguimento di un indebito risparmio d'imposta. Infatti, secondo i giudici di legittimità, la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative e, pertanto, non è possibile sostenere che c'è stato un illecito risparmio tributario. Inoltre, a parere della Suprema Corte, l'esistenza di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda (in tal senso cfr. Cass. sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4604; Cass. sez. 5, 21 gennaio 2011, n. 1372). Pertanto, secondo i giudici di legittimità, non è abusivo del diritto godere della normativa agevolativa applicabile alla cessione di partecipazioni rispetto a quella prevista per la distribuzione di dividendi.
La rivalutazione delle partecipazioni societarie in prossimità della loro cessione non costituisce affatto un'operazione abusiva. Il Legislatore, invero, con la previsione a favore dei contribuenti di procedere con la rivalutazione delle partecipazioni, previo pagamento di un'imposta sostitutiva, ha semplicemente preferito assicurarsi l'incasso, certo e immediato, di un'imposta sostitutiva, rispetto all'incasso (non certo nella sua esistenza) possibile e futuro di un'imposta più elevata. Pertanto, la rivalutazione delle partecipazioni disciplinata dall'art. 5, Legge n. 448/2001 e successive modificazioni ha comportato dei vantaggi (legittimi), sia per i contribuenti, sia per lo stesso Erario. Si consideri peraltro il fatto che proprio l'Agenzia delle Entrate, in alcuni documenti di prassi, ha messo in evidenza come non possa essere affatto considerata abusiva la rivalutazione delle partecipazioni effettuata in prossimità della cessione delle medesime. Si tratta di un legittimo risparmio d'imposta che si pone perfettamente in linea con la ratio di quanto previsto dagli articoli 5 e 7 della Legge n. 448/2001. Infatti, è stato chiarito che: “… la rappresentata cessione … della totalità delle partecipazioni della società istante (rimasta titolare dell'azienda relativa al solo ramo operativo) da parte del socio-società e dei soci-persone fisiche non imprenditori, non integra alcun "indebito risparmio d'imposta"; ciò comporterà in capo alla prima, il realizzo di una plusvalenza esente ai sensi dell'art. 87 del TUIR (ricorrendone i presupposti di legge) e, in capo ai secondi, un capital gain da partecipazione qualificata (essendo le partecipazioni al capitale sociale in esame di entrambi i soci superiori al 25%) ex articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del TUIR, che sarà, di fatto, "azzerato" a seguito della prospettata adesione alla rivalutazione delle partecipazioni da essi detenute” (così la Risoluzione 25 luglio 2017 n. 97/E). In altro documento erariale (nella Risoluzione 17 ottobre 2016 n. 93/E), è stato sostenuto che non può affatto essere equiparato a una fattispecie di abuso del diritto un mero risparmio d'imposta per il quale il contribuente decide di optare (“L'eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all'avvenuta assegnazione, è una facoltà che il Legislatore non ha inteso vietare, con la conseguenza che, ad avviso della scrivente, il legittimo risparmio di imposta che deriva dall'operazione non è sindacabile ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000”). In senso analogo il Comitato Consultivo per le norme antielusive (con il parere del 20 ottobre 2003 n. 16), il quale, ha qualificato come non elusive le seguenti operazioni: rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda; scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio immobiliare alla costituenda società; concessione in locazione, alla scissa, degli immobili; cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria.
Tali principi sono coerenti con quanto espressamente stabilito dal quarto comma dell'art. 10-bis, Legge n. 212/2000. Dispone per l'appunto il citato comma quarto: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”. Pertanto, la mera opzione del contribuente per un regime fiscale meno oneroso, e al contempo previsto dal nostro ordinamento giuridico, non può costituire elemento da cui desumere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto. Anche la giurisprudenza di secondo grado ha sancito che non può essere considerata alla stregua di una scelta elusiva la mera opzione dei contribuenti di avvalersi della rivalutazione delle partecipazioni prevista dalla Legge n. 448/2001. Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha sancito che: “… la rivalutazione delle quote è prevista dall'art. 5 della L. n. 448 del 2001 ed è il risultato di una scelta del legislatore che ha preferito incassare una imposta sostitutiva ridotta (4%), ma certa e "subito", rispetto all'incasso solo possibile e futuro di una imposta più elevata. I contribuenti si sono avvalsi della L. n. 44872001, ma questo non consente di affermare che la loro scelta sia fiscalmente elusiva” (cfr. sentenza 22 novembre 2018 n. 1326).
La stessa Commissione Regionale ha stabilito che: “L'obiettivo ricercato dai ricorrenti appare, a giudizio della Commissione, del tutto legittimo ed ad esso non può negarsi un valore economico ed organizzativo … a giudizio del Collegio, l'ottenimento di un passaggio generazionale all'interno delle due famiglie, con una contestuale riunificazione in capo ad una holding di partecipazione di differenti realtà industriali, costituisce di per sé una valida ragione economica. Per quanto concerne il processo posto in essere e contestato dall'Amministrazione, la Commissione ritiene che l'utilizzo della rivalutazione delle partecipazioni ai sensi dell'art. 5 della L. n. 448 del 2001, non può certo essere considerata una operazione di per sé elusiva se finalizzata al perseguimento di una valida ragione economica; inoltre la possibilità di operare una cessione di partecipazioni, invece che una vendita, rientra pienamente nelle legittime opzioni che la legislazione prevede; non appare infatti, in presenza di una valida ragione economica, legittimo vincolare il comportamento del contribuente alla sola scelta del conferimento della società preceduto dalla distribuzione di utili pregressi» (cfr. sentenza 12 luglio 2018 n. 847).
Inoltre, sempre i giudici di secondo grado del Veneto hanno sancito che : “Dalla lettura degli atti e della documentazione prodotta in giudizio si evince che nel presente caso sono effettivamente esistenti delle ragioni organizzative che hanno motivato il complesso delle operazioni poste in essere, costituite dalla concentrazione sulla società L. Srl di funzioni in grado di consentire alla G. SpA di concentrarsi sul “core business”, quali quelle finanziarie o di supporto per servizi di tipo gestionale o amministrativo … la Commissione ritiene che… l'Ufficio si sia completamente sottratto dalla verifica ed eventuale confutazione delle ragioni organizzative ed economiche dichiarate dalla società negli atti e che sono state richiamate dagli stessi primi giudici; tale circostanza non è di poco conto in quanto è la stessa normativa richiamata … che prevede la non sussistenza dell'elusione di imposta in presenza di valide ragioni economiche ed organizzative» (Cfr. sentenza 13 dicembre 2019 n. 1325).
Osservazioni
Il principio stabilito dalla sentenza in esame è importante in quanto sostiene che affinché un'operazione possa essere considerata abusiva o elusiva l'Amministrazione Finanziaria deve identificare e provare il congiunto verificarsi di tre presupposti costitutivi:
Inoltre, viene precisato che l'opzione tra la cessione di azioni precedentemente affrancate, sulle quali è stato calcolato e pagato, in parte, il corrispondente carico fiscale, e la distribuzione di utili, è lasciata alla libera disponibilità del contribuente, anche se si è conseguito un risparmio di imposta, che non è né indebito né illecito. Infatti, tanto la rivalutazione delle partecipazioni quanto l'acquisto di azioni proprie sono state attuate ricorrendo a strumenti ordinari, espressamente contemplati dal sistema ed utilizzati nel pieno rispetto delle finalità e delle motivazioni poste dal legislatore. Ciò sarebbe coerente con altra giurisprudenza secondo la quale il contribuente può scegliere la strada economicamente più vantaggiosa offerta dall'ordinamento tributario per raggiungere il medesimo risultato e non deve quindi necessariamente intraprendere il percorso più oneroso (cfr. Cass. Civ., 14 gennaio 2015, n. 439). In merito, autorevole dottrina (cfr. Assonime nella circ. 21 del 4 agosto 2016 pag. 104-108), prendendo spunto dalla sentenza di Cassazione del 5 dicembre 2014, n. 25758, afferma che: “per ottenere un risparmio d'imposta anche l'aver scelto, per raggiungere un determinato obiettivo, una specifica operazione o una pluralità di operazioni in luogo di altre solo per ottenere un risparmio d'imposta o, comunque, per non incorrere negli oneri fiscali che le altre alternative avrebbero presentato, è di per se´ una giustificazione sufficiente a legittimare la scelta del contribuente, purchè non risultino “violati” i principi dell'ordinamento fiscale e la ratio del regime fiscale di cui viene fatta applicazione”. Si segnala, per completezza di esposizione, una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, secondo la quale, la rivalutazione delle partecipazioni societarie in prossimità della loro cessione non costituisce affatto un'operazione abusiva. Infatti, il legislatore, invero, con la previsione a favore dei contribuenti di procedere con la rivalutazione delle partecipazioni, previo pagamento di un'imposta sostitutiva, ha semplicemente preferito assicurarsi l'incasso, certo e immediato, di un'imposta sostitutiva, rispetto all'incasso (non certo nella sua esistenza) possibile e futuro di un'imposta più elevata. Pertanto, la rivalutazione delle partecipazioni, disciplinata dall'art. 5, Legge n. 448/2001 e successive modificazioni, ha comportato dei vantaggi (legittimi), sia per i contribuenti, sia per lo stesso Erario. Si consideri peraltro il fatto che proprio l'Agenzia delle entrate, in alcuni documenti di prassi, ha messo in evidenza come non possa essere affatto considerata abusiva la rivalutazione delle partecipazioni effettuata in prossimità della cessione delle medesime. Si tratta di un legittimo risparmio d'imposta che si pone perfettamente in linea con la ratio di quanto previsto dagli artt. 5 e 7 della Legge n. 448/2001. Infatti, nella risoluzione n. 93/E/2016 è stato chiarito che: la mera opzione del contribuente per un regime fiscale meno oneroso, e al contempo previsto dal nostro ordinamento giuridico, non può costituire elemento da cui desumere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto (cfr. sentenza 19 ottobre 2020 n. 136). |