Niente spese processuali per il contribuente soccombente nel merito se l'AdE è stata in giudizio senza difensore

25 Febbraio 2021

Il contribuente che sia risultato soccombente in un grado tributario di merito, con rigetto del ricorso di primo grado o in appello, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, qualora l'Agenzia delle Entrate si sia difesa attraverso i funzionari del proprio ufficio legale. Al più l'Agenzia delle Entrate può solo pretendere il rimborso delle spese generali se supportate da specifica ed apposita nota spese. La rifusione delle spese, in tal caso, può avvenire soltanto qualora l'ente si sia avvalso dell'Avvocatura di Stato.
Massima

L'Agenzia delle Entrate è stata in giudizio senza il ministero di difensore e, quindi, deve escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall'Ufficio per diritti e onorari.

Il caso

Il contribuente Tizio proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Chieti avverso l'avviso di accertamento, avente ad oggetto il recupero della maggiore Irpef per l'anno di imposta 2011 attinente la mancata dichiarazione di redditi provenienti da tre contratti di locazione.

L'adita Commissione Provinciale accoglieva il ricorso limitatamente a sei mensilità dell'anno 2011, in quanto riferiti a canoni non riscossi, stante la morosità del conduttore.

Tale decisione era impugnata dall'Ufficio e la Commissione Regionale dell'Abruzzo accoglieva l'atto di appello, rilevando che i canoni di locazione, ancorché non percepiti, dovevano essere dichiarati sino a quando fosse intervenuta una causa di risoluzione del contratto.

Avverso tale decisione il contribuente proponeva Ricorso per Cassazione, affidandolo a quattro motivi.

In particolare, il ricorrente con il primo motivo d'impugnazione denunciava violazione dell'art. 1458 c.c., in relazione all'art. 3601 comma nr. 3 c.p.c., posto che l'impugnata sentenza non aveva tenuto conto che la norma civilista sopra indicata, prevede espressamente l'effetto retroattivo della risoluzione del contratto per inadempimento.

Con il secondo motivo di ricorso, il contribuente deduceva la violazione degli artt. 91 e 360, 1 comma nr 3 c.p.c., in quanto la Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo aveva erroneamente liquidato le spese di giudizio, pur in mancanza di costituzione dell'Agenzia a mezzo dell'Avvocatura dello stato o di un legale.

Soltanto quest'ultimo motivo era condiviso dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale in relazione all'eccezione, annullava la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione del pagamento delle spese processuali, confermandola nel resto (v. Cass. Civ. n. 27444/2020).

Ad avviso della Suprema Corte, il contribuente che sia risultato soccombente in un grado tributario di merito, con rigetto del ricorso di primo grado o in appello, non può essere condannato al pagamento delle spese processuali, qualora l'Agenzia delle Entrate si sia difesa attraverso i funzionari del proprio ufficio legale. La rifusione delle spese, in tal caso, può avvenire soltanto qualora l'ente si sia avvalso dell'Avvocatura di Stato.

Al più, l'Agenzia delle Entrate può solo pretendere il rimborso delle spese generali se supportate da specifica ed apposita nota spese.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se laddove il contribuente sia risultato soccombente in un grado tributario di merito, con rigetto del ricorso di primo grado o in appello, possa essere condannato al pagamento delle spese processuali, in favore dell'Agenzia delle Entrate, ove questa si sia difesa attraverso i funzionari del proprio ufficio legale e non facendo ricorso all'Avvocatura dello Stato.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituti coinvolti.

A mente dell'art. 91 c.p.c., il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell'altra parte e ne liquida l'ammontare insieme con gli onorari di difesa.

Con la locuzione spese, il codice di procedura civile opera un generico ed indistinto riferimento a tutti gli esborsi che, complessivamente considerati, costituiscono il costo del processo, cioè a tutti gli oneri economici relativi ad attività direttamente coordinate con lo svolgimento del processo

Destinatari della statuizione sulle spese processuali sono, dunque, esclusivamente le parti del giudizio e, in particolar modo parte soccombente la cui condanna alle spese risponde, infatti, all'esigenza di evitare una diminuzione patrimoniale alla parte che abbia dovuto svolgere un'attività processuale per veder riconosciuto un proprio diritto.

Rimane, pertanto, esclusa la pronuncia in favore del contumace vittorioso (non compie atti processuali e non ha sofferto esborsi: v. Cass. n. 13491/2014, Cass. 43/1999 e Cass. n. 9419/1997) e della autorità amministrativa, quando possa stare in giudizio avvalendosi di funzionario appositamente delegato (ad es., nei giudizi di opposizioni a sanzioni amministrative ex lege L. 24.11.1981, n. 689: in questo caso alla P.A. compete solo il rimborso delle spese vive documentate, con esclusione di esborsi per diritti ed onorari: v. Cass. n. 18066/2007, Cass. n. 2872/2007, Cass. n. 15431/2006 e Cass. n. 17708/2005).

È espressamente disposto che soltanto la parte completamente vittoriosa non possa essere condannata, nemmeno in minima quota, al pagamento delle spese stesse (v. Cass. 24683/2013 e Cass. 23719/2013) mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca è rimesso all'apprezzamento del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, decidere se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione (v. Cass. 13858/2013).

La regola della soccombenza è unicamente basata sul raffronto tra domande ed eccezioni formulate e contenuto della decisione, consistendo nella pura e semplice difformità tra la richiesta della parte (intesa nell'accezione comprensiva di domande e eccezioni), come definitivamente fissata in sede di precisazione delle conclusioni e il contenuto della pronuncia del giudice e, quindi, sulla base di ragioni processuali o di merito ed anche in relazione a fasi strutturalmente autonome del giudizio di cognizione (es. regolamento di giurisdizione).

La soccombenza è, poi, intesa in senso virtuale (cioè come apprezzamento prognostico sulla presumibile fondatezza della domanda proposta: v. Cons. Stato Sez. VI, 15/06/2020, n. 3767 e T.A.R. Campania, Salerno, 22.5.2018, n. 791) nella peculiare ipotesi di cessazione della materia del contendere (v. Cass. 2215/2015, Cass. 10553/2009, Cass. 24642/2008, Cass. 19160/2007 e Cass. 21244/2006).

Trattasi di un principio di portata generale, operante anche nel processo tributario (v. Cass. 3148/2016) ex artt. 92 c.p.c. e 15 D.Lgs. n. 546/1992, anche, qualora il processo sia dichiarato estinto per cessazione della materia del contendere derivante dall'annullamento dell'atto in corso di causa (v. CTP Cosenza 6.10.2008 n. 254).

In casi del genere la Commissione che prende atto del venir meno della materia del contendere, è tenuta ad effettuare una valutazione circa l'esito virtuale della controversia (v. Cass. 8377/2017), accollando le spese processuali alla parte virtualmente soccombente (v. Cass. 19947/2010 e Cass. 21530/2007).

Come sopra detto, il provvedimento di condanna ha ad oggetto le spese ripetibili ed effettivamente sopportate dalla parte, ovverosia le spese relative ad atti funzionali all'attività difensiva (in primis, diritti ed onorari di avvocato), purché documentate (v. Cass. 5802/2004 e Cass. 13539/2003) ed anche stragiudiziale (purché si tratti di prestazioni previste dalla tariffa professionale, v. Cass. 2275/2006 e Cass. 14594/2005).

Parimenti, in forza del principio della soccombenza all'avvocato sono riconosciute e liquidate le competenze di giudizio, anche nelle ipotesi di costituzione in proprio dello stesso (v. Cons. Stato 2.10.2018, n. 5654 e Cons. Stato 2.10.2018, n. 5653).

Rientrano nel novero delle spese ripetibili le somme versate all'erario per imposta di registro per atti prodotti in giudizio e soggetti ad imposta in caso d'uso, le spese successive all'emissione della sentenza, per la sua registrazione e trascrizione (v. Cass. 25680/2018, Cass. 15706/2006 e Cass. 11170/2002), gli accessori fiscali al difensore (Iva e contributo cassa avvocati), i quali sono dovuti anche in mancanza di un'espressa domanda e di una specifica menzione nel provvedimento di condanna alle spese, in quanto oneri accessori che conseguono in via generale al pagamento degli onorari all'avvocato (v. Cass. 18192/2018, Cass. 4674/2017, Cass. 10336/2009 e Cass. 9904/2009).

Ancora, è oggetto della statuizione di condanna alle spese il rimborso forfetario per spese generali, stabilito in misura percentuale sull'importo di diritti ed onorari.

In proposito, secondo la giurisprudenza, l'attribuzione di detto rimborso spetta automaticamente al professionista, anche in assenza di allegazione specifica e di richiesta, poiché implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari (v. C. 15985/2020, Cass. 13693/2018 e Cass. 10997/2007), anche laddove non sia fatta espressa menzione nel dispositivo della sentenza (v. Cass. 2170/2011).

Spetta al giudice liquidare in modo distinto spese ed onorari in relazione a ciascun grado del giudizio, poiché solo tale specificazione consente alle parti di controllare i criteri di calcolo adottati e, di conseguenza, le ragioni per le quali sono state eventualmente ridotte le richieste presentate nelle note spese (v. Cass. 4990/2020 e Cass. 24890/2011).

La liquidazione, altresì, va operata distinguendo l'eventuale fase cautelare da quella di merito ed i vari gradi di giudizio, al fine di consentire alla parte interessata di verificare il rispetto delle tariffe professionali forensi (v. Cass. 6338/2008, Cass. 5318/2007 e Cass. 9700/2003).

In buona sostanza, il contenuto della liquidazione giudiziale ricalca la partizione prescritta per la nota delle spese che il difensore deve depositare all'atto del passaggio in decisione della causa, ai sensi dell'art. 75 disp. att. (va evidenziato che la mancata presentazione di essa, non dispensa il giudice dal provvedere alla liquidazione sulla base degli atti di causa, v. Cass. 16993/2007, Cass. 19269/2005 e Cass. 1440/2000).

Il deposito della nota spese specifica (cioè con l'indicazione delle singole partite) vincola il giudice sotto due aspetti: 1) l'importo liquidato non può essere superiore a quello richiesto nella notula (v. Cass. 5327/2003); 2) il giudice non può limitarsi ad una globale determinazione dei diritti e degli onorari in misure inferiori a quelle esposte, ma deve fornire adeguata motivazione della eliminazione o della riduzione delle singole voci - analiticamente indicate - da lui operata, onde consentire la verifica di conformità della liquidazione agli atti e alle tariffe (v. Cass. 14038/2017, Cass. 23059/2009, Cass. 4404/2009, Cass. 2748/2007, Cass. 13085/2006).

Laddove il difensore abbia depositato una richiesta di onorari formulata in relazione ai minimi previsti dalla tariffa forense, la loro riduzione senza motivazione è illegittima, in quanto posta in contrasto con il principio della inderogabilità dei minimi edittali sancito dall'art. 24, L. 13.6.1942, n. 794 (v. Cass. 29594/2017 e Cass. 22991/2017).

Spetta al Giudice specificare le singole voci che compongono la liquidazione delle spese, evitandone una quantificazione globale, generica ed omnicomprensiva delle stesse tale da viziare la pronuncia per impedito il controllo sulla correttezza della liquidazione (v. Cass. 5885/2014 e Cass. 17028/2006).

Per quanto attiene agli onorari di avvocato, il giudice deve tener conto dei limiti minimi e massimi fissati per ciascun scaglione tariffario ed operare la concreta determinazione alla stregua della difficoltà e della importanza della causa, con una valutazione discrezionale (v. Cass. 22625/2013), che non richiede motivazione se la quantificazione rimane compresa tra i valori tariffari massimi e minimi, la cui normale inderogabilità non viola il principio di libera concorrenza tra professionisti fissato dalle norme dell'Unione Europea (v. Cass. 7094/2006, Cass. 6213/2005 e Cass. 8135/2004).

È, comunque, fatta salva la possibilità per il giudice, a norma dell'art. 60, 5° co., R.D.L. 27.11.1933, n. 1578 di determinare la sola voce dell'onorario (e non già le spese e i diritti) al di sotto dei minimi fissati dalle tariffe professionali, quando la causa risulti di facile trattazione, purché sia adottata espressa ed adeguata motivazione sul punto (v. Cass. 17920/2009, Cass. 27804/2008, Cass. 18829/2007 e Cass. 13478/2006).

Ciò premesso e tornando al caso in premessa, un contribuente impugnava un avviso di accertamento avente ad oggetto il recupero della maggiore Irpef per l'anno di imposta 2011 in relazione alla mancata dichiarazione di redditi provenienti da tre contratti di locazione.

L'atto di appello principale proposto dall'Agenzia delle Entrate era accolto dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Abruzzo, la quale condannava il contribuente al pagamento delle Tasse richieste e provvedeva anche a liquidare, in favore dell'Agenzia delle Entrate, le spese processuali arrivando a triplicare l'importo delle stesse rispetto a quello stabilito dal giudice di primo grado.

Contro tale decisione il contribuente proponeva ricorso per Cassazione.

La tesi della ricorrente era in parte condivisa dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale accoglieva soltanto il secondo motivo del ricorso del contribuente in relazione alle spese processuali.

Le conclusioni della Suprema Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, nell'accogliere il solo secondo motivo di ricorso introduttivo, evidenziava che in caso di liquidazione delle spese di giudizio in favore dell'Agenzia delle entrate nell'ipotesi in cui essa non si sia costituita a mezzo dell'Avvocatura dello stato o di un legale, risulta violato l'art. 91 c.p.c. (v. Cass. 27444/2020).

Come risulta dall'intestazione della sentenza di secondo grado, infatti, l'Agenzia delle Entrate era in giudizio senza il ministero di un difensore, dovendosi pertanto escludere che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall'Ufficio per diritti e onorari (v. Cass. 8413/2016).

Osservazioni

Con la sentenza in commento, i Giudici della Sezione Tributaria stabiliscono il perimetro di applicazione dell'addebito delle spese processuali ai contribuenti che perdano una causa tributaria.

Afferma la Suprema Corte di Legittimità che laddove l'autorità amministrativa, resista o agisca in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato, non può ottenere la condanna dell'opponente, che sia soccombente, al pagamento dei diritti di procuratore e onorari di avvocato.

Ciò poiché, in capo al funzionario amministrativo che sta in giudizio, difettano le relative qualità; al più, l'Agenzia delle Entrate può solo pretendere il rimborso delle spese generali se supportate da specifica ed apposita nota spese (v. Cass. 11389/2011 e Cass. 18066/2007).

Per precisione di narrazione, va sottolineato che tale orientamento era già emerso in altre pronunce di legittimità, anche al di fuori dell'ambito tributario.

Invero, in precedenza il Giudice di Legittimità aveva statuito che la Pubblica Amministrazione vittoriosa nel giudizio di opposizione proposto, ex art. 170, del d.P.R. n. 115/2002, avverso il provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato “ha diritto, se costituitasi personalmente ovvero a mezzo di funzionario delegato, al rimborso delle sole spese (v. Cass. 20980/2016) che, documentate e richieste, risultino da apposita nota”, mentre è esclusa la condanna dell'opponente agli onorari forensi (v. Cass. Civ., 30597/2017).

Come è facile pensare, trattasi di un indirizzo da accogliere con favore, stante che è risaputo che a disincentivare l'impugnazione di provvedimenti impositivi, che pur si ritengano ingiusti, è (anche) la paura di ritrovarsi, in caso di soccombenza, a dover pagare anche le spese di lite dell'avversario.

Si confida, pertanto, nel consolidamento di tale orientamento, tramite il quale si permetterà al cittadino di non doversi almeno più preoccupare, prima di ricorrere, del rischio di essere chiamato a sostenere anche le spese legali (non) sopportate dall'Ente.

Cass. 8413/2016, Cass. 11389/2011 e Cass. 18066/2007.

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