Circolazione dei crediti delle procedure concorsuali: possibilità di cessione anticipata rispetto alla chiusura del periodo d'imposta

Stanislao De Matteis
01 Marzo 2021

In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito IRES da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxi-periodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benché non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto.
La vicenda processuale

In data 29.06.2011 Toscana Finanza S.p.a., successivamente incorporata in Banca Ifis S.p.a., ha impugnato, in qualità di cessionaria del credito IRES da ritenute operate sugli interessi attivi relativamente al periodo 19.06.1987-30.11.2007, cedutole dal Consorzio Agricolo produttori Riso S.C.A.R.L. già in liquidazione coatta amministrativa, il silenzio rifiuto opposto alla richiesta di rimborso del credito ammontante a euro 173.009,00.

La ricorrente deduceva di avere acquistato il credito derivante da ritenute durante il corso della procedura e chieste a rimborso dalla cedente con dichiarazione presentata in data 26.06.2008.

L'Agenzia delle Entrate, Direzione provinciale di Pavia, si costituiva in giudizio, in data 10.10.2011, controdeducendo difetto di legittimazione attiva della ricorrente, in quanto alla data della cessione 19.03.2008 il Commissario liquidatore non era più in carica essendo cessata la procedura il 28.01.2008.

Inoltre, l'Ufficio controdeduceva che la scrittura di cessione del credito del 19.03.2010 specificasse come la cessione stessa traesse fondamento nello scambio di corrispondenza del 21.09.2004, allorquando il credito non esisteva perché non prodotta dichiarazione dei redditi, imprescindibile a norma dell'art. 43-bis d.P.R. n. 602/1973.

Si costituiva anche l'Agenzia delle Entrate, Centro operativo di Pescara, indicando la legittimazione passiva della Direzione provinciale di Pavia.

Con Sentenza n. 29/02/12 la CTP di Pavia accoglieva il ricorso e condannava l'Amministrazione finanziaria al pagamento di euro 173.009,00 oltre interessi legali e spese di lite affermando che la legittimazione permaneva in capo al Commissario liquidatore in forza di autorizzazione definitiva del Ministero dello sviluppo economico ricevuta in data 17.11.2009.

L'Agenzia delle Entrate, Ufficio di Pavia, con atto 17.04.2012, proponeva appello deducendo la nullità della cessione, dal momento che stipulata dopo la chiusura della procedura concorsuale ed alla cancellazione della società dal registro delle imprese, inoltre, ribadiva la nullità della scrittura di cessione per essere stata basata sul precedente atto di cessione del credito datato 21.09.2004, il quale, a suo dire, difettava di requisiti formali e sostanziali.

La Banca Ifis S.p.a. si costituiva in giudizio eccependo l'inammissibilità dell'appello.

L'appellata ribadiva, nel merito, la tesi secondo cui, ai sensi dell'art. 5 d.P.R. 322/1998, la cessione non può perfezionarsi prima della chiusura della procedura, considerato che i crediti diventano certi, liquidi ed esigibili solo al momento della loro previsione in dichiarazione, la quale deve obbligatoriamente essere presentata dopo la chiusura della procedura. Di conseguenza il commissario liquidatore, ai sensi di tale norma speciale, sarebbe il soggetto abilitato a redigere la dichiarazione e anche la consequenziale richiesta di rimborso e la cessione del medesimo credito.

Con Sentenza n. 171/44/2012 la Commissione Tributaria Regionale di Milano confermava la sentenza appellata e condannava l'Ufficio appellante alle spese oltre onere e contributi.

Avverso la suddetta Sentenza l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione. Con l'unico motivo di ricorso l'Ufficio ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 69 r.d. n. 2440/1923, degli artt. 120, 121 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonché dell'art. 5, comma 4-ter, d.l. 14 marzo 1988, n. 70, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto la legittimazione attiva del Commissario liquidatore alla cessione del credito, dopo la chiusura della procedura.

L'Ufficio ricorrente deduce come il credito sia stato ceduto in data 19.03.2010, in forza di scrittura privata autenticata in data 29.03.2010, momento in cui la procedura era già chiusa e quando la società in LCA era già stata cancellata dal Registro delle Imprese in data 18.04.2008. In tal senso, il ricorrente rileva che, al momento della cessione del credito, il Commissario Liquidatore fosse decaduto dalla carica e, per questo, fosse scevro dei poteri necessari a stipulare il contratto di cessione. Inoltre, il medesimo Ufficio, sostiene che l'autorizzazione alla cessione del credito richiesta in data 22.05.2003 e concessa solo il 17.11.2009 comporterebbe l'impossibilità per il Commissario liquidatore di rappresentare la società in LCA.

La Banca Ifis S.p.a., con controricorso, sostiene primariamente che la cessione del credito si sia correttamente perfezionata già in data 2004, momento in cui i Commissari avevano pieni poteri, all'esito dell'autorizzazione del 2003 da parte del Ministero dello Sviluppo Economico e che l'atto del 19.03.2010 non abbia altro che reso opponibile all'Agenzia delle Entrate la cessione già perfezionata.

La controricorrente inoltre, dopo aver affermato che la fattispecie, così come indicata, è errata in quanto fondata su una disciplina normativa riferibile al solo fallimento (art. 120 L.F.) e non anche alla liquidazione coatta amministrativa, sostiene che anche se fosse corretto nel caso di specie applicare tale articolo sarebbe erroneo ritenere che chiusa la procedura il Commissario non ha alcuna legittimazione attiva, essendo la stessa Legge fallimentare a riconoscere alcune ipotesi di ultrattività dell'organo concorsuale.

La questione prospettata dal ricorrente imponeva la risoluzione di una questione di massima importanza rispetto la legittimazione del Commissario liquidatore di una procedura di LCA a cedere il credito IRES di pertinenza della società in LCA, successivamente alla archiviazione della procedura di LCA e alla cancellazione della società.

La questione sottoposta alle Sezioni Unite

Per le indicate ragioni, la Sezione tributaria della Suprema Corte di cassazione, con l'Ordinanza n. 10129/2020, ha rimesso gli atti al primo Presidente per l'eventuale assegnazione della controversia alle Sezioni Unite Civili sulla seguente questione: “se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di LCA a chiedere il rimborso del credito IRES da eccedenza versata a titolo di acconto, liquidato all'atto della presentazione della dichiarazione dei redditi presentata a termini dell'

art. 10, comma 4, d.P.R. n. 600/1973

successivamente alla archiviazione della procedura”; nonché “se sussista la legittimazione del commissario liquidatore di una procedura di LCA a cedere il credito IRES da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, il cui importo sia stato acquisito dalla procedura cedente prima della predisposizione del riparto finale ma sia divenuto certo, liquido ed esigibile successivamente alla archiviazione della procedura per effetto della dichiarazione presentata, anche successivamente alla archiviazione della procedura e alla cancellazione della società, quale attività meramente esecutiva, effettuata in regime di prorogatio, volta a dare attuazione alla archiviazione della procedura concorsuale”.

Il percorso seguito nell'ordinanza di rimessione

La Sez. Tributaria della Corte di Cassazione, dopo essersi soffermata sulle particolari modalità di tassazione delle imposte sul reddito nelle procedure concorsuali*, ha rilevato come tale regime generi delle complessità difficilmente superabili.

*In evidenza

Anzitutto la Sez. trib. ha rilevato come la tassazione operi su quanto eventualmente residui all'esito del pagamento dei creditori concorsuali in sede di riparto finale, sicché la base imponibile attiene ad una grandezza patrimoniale data dalla differenza tra il residuo attivo ed il patrimonio netto dell'impresa all'inizio del procedimento.

Altra particolarità è che il periodo oggetto di tassazione è riferito a quello ricompreso tra l'inizio della procedura e la sua chiusura od archiviazione (c.d. maxi-periodo concorsuale).

Inoltre, è stato evidenziato come in relazione agli interessi attivi, per le imprese assoggettate a procedura il diritto al rimborso potrà sorgere con la dichiarazione del maxi-periodo con cui si accerta l'inesistenza del residuo attivo, in assenza di periodi intermedi nei quali sia possibile computare l'eccedenza in diminuzione dell'imposta. Infine, si è sottolineato come la dichiarazione relativa al maxi-periodo concorsuale vada presentata, ex art. 10, comma quarto, del d.P.R. n. 600/1973 entro quattro mesi dalla chiusura della procedura.

In particolare, se il diritto di chiedere il rimborso delle ritenute di acconto subite nel corso della procedura sovviene nel momento di chiusura della procedura stessa, e comunque compiute le operazioni di liquidazione, i creditori concorsuali sarebbero impossibilitati a beneficiare del residuo attivo data la decadenza della carica del soggetto che li rappresenta (nella fattispecie Commissario liquidatore).

Questo onererebbe i creditori a chiedere la riapertura della procedura, ovvero, dovrebbero procedere singolarmente sul patrimonio dei singoli soci tornati in bonis, a seguito della cancellazione della società.

L'Ordinanza interlocutoria, al fine di depurare la questione, ha indicato tre potenziali soluzioni.

Secondo la prima, tratta da Cass. n. 10349/2003, sarebbe possibile presentare la dichiarazione finale prima della chiusura della procedura dal momento che ‹‹in mancanza di una espressa previsione di legge che lo vieti e in considerazione del fatto che l'art.10, comma quarto del d.P.R. n. 600/1973 [abrogato ma applicabile “ratione temporis”], si limita solo a prevedere il termine ultimo, ma non anche quello iniziale per ottemperarvi››.

La seconda alternativa, prefigurata da Cass., n. 1150/2018, invece, ha statuito, sulla scorta dell'art. 2495 c.c., che ‹‹il diritto al rimborso spettante per l'eventuale eccedenza corrisposta può essere esercitato “pro quota” dai soci e sul rimborso ottenuto possono soddisfarsi i creditori rimasti insoddisfatti nella procedura concorsuale›› (Si vedano anche Cass., n. 10974/2007; n. 12433 del 2004).

Infine, la terza via percorribile, è quella che vede valersi della cessione del credito prima della predisposizione del conto della gestione e del piano di riparto, ricevendo immediatamente il prezzo della cessione, distribuito in sede di riparto in favore dei creditori concorsuali, e posponendo a dopo la chiusura della procedura la dichiarazione finale e la formalizzazione dell'atto di cessione, il tutto in regime di prorogatio dell'organo della procedura. In tali circostanze il ricavo della cessione del credito, formatosi durante la procedura, incassato dal Commissario liquidatore (o Curatore del fallimento) andrebbe a vantaggio dei creditori concorsuali quale credito futuro.

La decisione delle Sezioni Unite

La questione di massima di particolare rilevanza è stata definita dalle Sezioni Unite con il seguente principio di diritto: “In tema di circolazione dei crediti delle procedure concorsuali, posto che il credito ires da eccedenza d'imposta versata a titolo di ritenuta d'acconto nasce in esito e per l'effetto del compimento delle attività di liquidazione, di modo che la dichiarazione concernente il maxiperiodo concorsuale comporta soltanto la rilevazione di un credito già sorto, valida ed efficace tra cedente e cessionario è la cessione di quel credito operata dal commissario liquidatore di una società sottoposta a liquidazione coatta amministrativa antecedentemente alla cessazione della procedura, benchè non rispondente ai requisiti formali stabiliti dal regolamento sulla contabilità generale dello Stato; laddove il contratto stipulato dopo la cessazione della procedura, che risponda a quei requisiti, si traduce in una riproduzione contrattuale, la quale costituisce un adempimento dovuto, funzionale a consentire al cessionario di far valere nei confronti del fisco il credito che gli è stato ceduto".

Le ritenute sugli interessi attivi

Pare opportuno esaminare preliminarmente il meccanismo delle ritenute sugli interessi attivi, tenendo conto del diritto del contribuente al rimborso, nonché, soffermarsi sull'oggetto della cessione del credito in favore dell'istituto finanziario.

L'art. 26, comma secondo, del d.P.R. n. 600/1973 sancisce l'obbligo di operare le ritenute sugli interessi, premi ed altri frutti corrisposti ai depositanti e correntisti, dagli istituti di credito, inoltre, per ciò che qui rileva, il comma quarto, prevede che tali ritenute siano operate a titolo di acconto, nei confronti degli imprenditori individuali, se i titoli, i depositi e conti correnti, nonché i rapporti da cui gli interessi ed altri proventi derivano siano relativi all'impresa, delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice, e delle società di capitali.

Come noto, l'obbligo in capo ai sostituti d'imposta, di operare le ritenute d'acconto sui suddetti interessi, permane anche quando l'impresa a favore della quale siano corrisposti sia sottoposta a fallimento, ovvero, liquidazione coatta amministrativa (Ex plurimis Cass. Sent., n. 13154/1995; n. 7838 del 2001; n. 12433 del 2004; n.19314 del 2011).

Nello stesso senso, la Suprema Corte di cassazione, con la Pronuncia n. 6630 del 2019, ha cristallizzato che ‹‹L'impresa posta in liquidazione coatta amministrativa continua ad essere assoggettata all'imposta sul reddito di impresa, sia per quello prodotto nel periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio ed il provvedimento che ordina l'apertura della procedura, sia per quello eventualmente prodotto nel periodo compreso tra l'inizio e la fine della stessa, essendo stato previsto espressamente, in considerazione delle esigenze temporali proprie della liquidazione concorsuale, un periodo d'imposta diverso ed eventualmente più ampio di quello ordinario, coincidente con la durata della procedura medesima››.

Anche l'Agenzia delle Entrate, con la Circolare del 22.03.2002 n. 26/E, oltre a ribadire come l'obbligo di operare le ritenute permanga in capo ai sostituti d'imposta e, come la natura delle stesse non si modifichi nel caso in cui gli interessi siano corrisposti durante il corso di una procedura concorsuale, ha precisato che ‹‹il curatore agisce come organo di gestione del patrimonio del fallito, il quale resta l'unico titolare dello stesso e conserva la qualità di contribuente, sia come centro di imputazione del reddito che come soggetto direttamente inciso del prelievo tributario››.

In una seguente Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate, del 24.05.2002, n. 154, si è, altresì, osservato che ‹‹in presenza di ritenute operate a titolo d'acconto il vigente sistema tributario prevede il meccanismo dello scomputo [...]. In particolare, per le società e per gli enti soggetti all'imposta sul reddito delle persone giuridiche, l'articolo 93, comma 2, prevede che le ritenute di cui all'articolo 26, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 600, si scomputano nel periodo d'imposta nel quale i redditi cui afferiscono concorrono a formare il reddito complessivo››.

L'istituto dello scomputo e del rimborso nel caso in cui le ritenute siano state operate su interessi attivi maturati durante la procedura

Il problema che qui sovviene è quello di verificare l'operatività dell'istituto dello scomputo e del rimborso, previsto dall'odierno art. 79 TUIR, nel caso in cui le ritenute siano state operate su interessi attivi maturati durante la procedura, tenuto conto dell'attuale articolo 183 Tuir, al fine di determinare il reddito imponibile relativo al suddetto periodo.

L'art. 183 Tuir, comma secondo, prevede che ‹‹il reddito d'impresa relativo al periodo compreso tra l'inizio e la chiusura del procedimento concorsuale, quale che sia la durata di questo ed anche se vi è stato esercizio provvisorio, è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell'impresa o della società all'inizio del procedimento, determinato in base ai valori fiscalmente riconosciuti››.

Dunque, nulla vieta che il calcolo delle ritenute a titolo d'acconto operate sugli interessi attivi maturati nel corso della procedura concorsuale possa essere effettuato dal Curatore o Commissario liquidatore, in occasione della dichiarazione dei redditi finale, con relativo diritto al rimborso nel caso in cui non siano dovute imposte o siano dovute per un ammontare inferiore a quello delle ritenute.

A tal proposito, si rileva che il legislatore non abbia definito il concetto di residuo attivo, sicché la dottrina lo ha riconosciuto come l'insieme delle attività che al termine della procedura, dedotte le spese risultanti dal conto della gestione e le somme riconosciute ai creditori mediante il piano di riparto, vanno restituite al fallito tornato in bonis (Cfr. ZENATI-MANDRIOLI, I tributi nel fallimento, Milano, 2000, p.154).

Ulteriormente, l'Agenzia delle Entrate ha precisato come non sussista alcun residuo attivo da rendere al fallito qualora la procedura concorsuale si chiuda senza soddisfacimento integrale dei creditori e nel caso di chiusura per insufficienza, viceversa, nel caso di chiusura della procedura per inesistenza del passivo e chiusura per totale pagamento dei creditori sorgerà residuo attivo da restituire al fallito in bonis.

Anche la Corte di Cassazione ha statuito che le ritenute d'acconto, prelevate dai sostituti d'imposta, si scomputeranno dall'imposta dovuta ove vi sia residuo attivo, mentre, nel caso in cui non siano dovute imposte sui redditi d'impresa o siano dovute imposte per un ammontare inferiore a quello delle ritenute d'acconto, sopraggiungerà il credito al rimborso parziale o totale delle predette somme ‹‹senza che ciò si ponga in contrasto con il principio di capacità contributiva e il diritto di difesa›› (V. Cass., Sent. n. 19314 del 22 del 2011; n. 12433 del 2004; n. 14127 del 2001; n. 13154 del 1995).

Il momento in cui verificare la presenza del residuo attivo

Il momento opportuno per saggiare la presenza o meno del residuo attivo, e quindi, la possibilità di poter scegliere tra lo scomputo delle ritenute dall'imposta dovuta o il rimborso del credito, è ravvisabile in quello della presentazione della dichiarazione dei redditi relativi al maxi-periodo concorsuale, la quale va presentata, ai sensi dell'art. 5, comma quarto, del d.P.R. n. 322 del 1998, dall'organo della gestione, entro un termine con scadenza successiva a quello di chiusura della procedura (Tale termine è stato modificato nel corso del tempo; in origine l'art. 10, c.4, del d.P.R. n. 600/1973 prevedeva un termine di 4 mesi. Oggi, invece, l'art. 42 del D.L. n. 207/2008, conv. in L. n. 14 del febbraio 2009, lo ha fissato a 9 mesi.).

Dunque, il diritto al rimborso è riscontrabile solo successivamente alla chiusura della procedura concorsuale, a questo punto, il problema che può sorgere, vira sulla natura giuridica della situazione in cui versa il Commissario liquidatore o il Curatore dopo la chiusura della procedura.

Ed invero, avvenuta la chiusura della procedura, il Curatore o il Commissario liquidatore sembrerebbe impossibilitato a gestire tale credito a vantaggio della massa, dal momento che il rimborso potrebbe giungere a procedura terminata [Questa problematica attiene al fallimento ed alla LCA non riguarda, invece, il concordato preventivo. Invero, sul punto, la Corte di Cassazione ha chiarito come ‹‹In tema di reddito d'impresa, l'art. 183, comma 1, Tuir, il quale assoggetta a tassazione i redditi del fallimento e della liquidazione coatta amministrativa nel c.d. maxi-periodo concorsuale compreso tra l'inizio e la chiusura della procedura concorsuale, non si applica estensivamente al concordato preventivo, durante il quale l'imprenditore insolvente – che non perde la proprietà dei beni (c.d. spossessamento attenuato) – continua ad assolvere gli obblighi tributari secondo le regole ordinarie, come qualunque contribuente “in bonis”; ne consegue la scomputabilità delle ritenute in acconto operate ex art. 26, comma 2, d.P.R. n. 600/1973 in ciascun periodo d'imposta nel quale i redditi si sono prodotti›› (Cass., n. 10108/2020)].

Orbene, il fatto che la dichiarazione del maxi-periodo venga presentata dal Commissario dopo la chiusura della procedura concorsuale, comporterebbe il trasferimento del credito in favore del fallito tornato in bonis. In tal caso, seguendo l'impostazione di Cass. n. 1150/2018 e n. 3903/2004, in applicazione dei principi cristallizzati dalle SU n. 6070 del 2013, in relazione al thema della cancellazione della società a seguito della chiusura delle operazioni di liquidazione, il credito per l'eventuale eccedenza risultante dalla dichiarazione dovrebbe essere riscosso dai soci.

Sul punto, è stato, poi, precisato che, l'emersione di sopravvenienze, ossia di valori attivi che se conosciuti avrebbero dovuto figurare nel bilancio di liquidazione, comporta il sorgere di solidarietà attiva tra gli ex soci.

Dunque, alla stregua di tale indirizzo che privilegia il dato cronologico, i legittimati alla riscossione sarebbero gli ex soci, in solido, mentre, i creditori della massa, rimasti insoddisfatti, sarebbero costretti ad agire impiegando gli ordinari strumenti di tutela del credito (azione surrogatoria, in caso di inerzia, ovvero, procedura esecutiva, in caso di avvenuta riscossione). (Non pare potersi impiegare la strada della riapertura della procedura concorsuale, prevista per il fallimento, dal momento che, l'art. 120 l.fall. non è ritenuto applicabile nella LCA.).

La tesi poc'anzi esposta non è stata esente da critiche.

Ed invero, non sarebbe corretto privare i creditori concorsuali di un diritto al rimborso sorto in forza della procedura concorsuale. Il credito in oggetto, infatti, è di titolarità della massa in quanto connesso a ritenute operate su interessi maturati sul conto intestato alla procedura; non tenendo conto di tali argomentazioni si rischierebbe di depauperare ingiustamente i creditori. Non solo, si imporrebbe loro di agire in maniera gravosa mediante gli ordinari strumenti di tutela del credito, nonché, potrebbero verificarsi asimmetrie normative, in quanto i creditori potrebbero rimanere ignari dell'avvenuta riscossione da parte dei soci.

Da ultimo, si correrebbe il pericolo di ledere il principio della par condicio creditorum, poiché, sulle somme riscosse dai soci potrebbero concorrere non solo i soci della massa ma anche i creditori particolari del singolo ex socio.

La questione è stata altresì sottoposta al sindacato della Corte Costituzionale, la quale, con Ordinanza n. 114 del 2007, nonostante, abbia dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 2, del d.P.R. n. 600/1973, sollevata in relazione agli artt. 3, 36 e 53 Cost., ha precisato come il termine per la presentazione della dichiarazione possa considerarsi rispettato anche quando la dichiarazione sia presentata nel corso della procedura, e che anche il soggetto sottoposto a LCA abbia ‹‹diritto al rimborso totale o parziale delle ritenute d'acconto››, aprendo così le porte per la tesi della dichiarazione anticipata.

Tale indirizzo avalla un profilo più sostanziale, in quanto non si ritiene corretto sottrarre il credito agli aventi diritto solo perché vi è un meccanismo che consente di posticipare la presentazione della dichiarazione alla chiusura della procedura, realizzando il trasferimento del credito ad altri, e costringendo i creditori concorsuali a ricorrere all'esecuzione individuale, nonostante esistesse una procedura volta alla loro soddisfazione.

L'esigenza di ricondurre il credito agli aventi diritto ha dato vita ad una vera e propria querelle che ha condotto la Corte Costituzionale, con la già citata Ordinanza n. 114 del 2007, a ritenere legittimo anticipare a prima della chiusura della procedura la presentazione della dichiarazione di maxi-periodo, mutuando l'impostazione fornitaci dalla Corte di Cassazione nella Sentenza n. 10349/2003.

Secondo l'orientamento in parola, la norma che fissa il termine entro il quale il Curatore o Commissario deve presentare la dichiarazione avrebbe il fine di regolare il termine ultimo entro il quale la dichiarazione può essere presentata, e non anche quello di stabilire il termine iniziale per ottemperarvi, sicché quando la legge fa riferimento al termine (nel caso di specie era di 4 mesi dalla chiusura del fallimento) deve intendersi non che prima della chiusura non sia possibile la presentazione della dichiarazione, ma che essa possa avvenire anche prima della chiusura e fino al termine indicato dal legislatore (allora di 4 mesi, oggi, fino ai 9 mesi successivi).

Come precisato dalla Corte Costituzionale, il Curatore può presentare la dichiarazione ‹‹in modo legittimo ed efficace anche prima della formale chiusura della procedura, ai sensi dell'art.119 l.fall., quando sussista o una specifica esigenza della procedura o un oggettivo interesse della massa dei creditori e, da un lato, siano stati definiti tutti i rapporti pendenti e, dall'altro, siano noti al curatore tutti gli elementi che compongono il reddito da dichiarare…››.

Anche avverso questa tesi sono state mosse talune obiezioni.

In prima battuta, è stato rilevato come la soluzione sia caratterizzata da profili di facoltatività. Ed invero, la circostanza che la dichiarazione possa essere presentata discrezionalmente entro il termine (seppur previsto dalla normativa) successivo alla chiusura della procedura, consentirebbe al Curatore o al Commissario liquidatore di scegliere di conseguire un dato effetto piuttosto che l'altro, ossia, la possibilità di optare per la soddisfazione dei creditori concorsuali, con l'anticipazione della dichiarazione, ovvero, gli ex soci del soggetto fallito, in caso di presentazione della medesima dopo la chiusura o l'archiviazione (inoltre, l'impostazione, non risolve il quesito se il Commissario o il Curatore, presentata la dichiarazione finale dopo la chiusura della procedura, sia legittimato o no a chiedere il rimborso e ad operare un riparto post chiusura.).

In secondo luogo, risultano poco lapalissiane le modalità mediante le quali la presentazione della dichiarazione anticipata si debba innestare nel complesso di azioni utili al Curatore o Commissario liquidatore al fine di addivenire alla chiusura. Effettivamente, se si presentasse la dichiarazione prima della prefigurazione del piano di riparto, e si attendesse per la realizzazione dello stesso, la percezione del rimborso, sulle somme depositate presso l'istituto di credito a nome della procedura concorsuale, continuerebbero a maturare interessi attivi che andrebbero, anch'essi, assoggettati a ritenuta d'acconto.

Inoltre, è stato evidenziato che, se il Curatore decidesse, nell'aspettativa del rimborso, di eseguire il piano di riparto, l'aspettativa stessa colliderebbe con le previdenze disposte dal n. 3 dell'art. 118 l.fall., in relazione alla chiusura del fallimento.

Infine, risulta manifesto come, anche, la dichiarazione anticipata non garantirebbe il principio della ragionevole durata della procedura, dovendo attendersi l'approvazione dell'Amministrazione finanziaria circa l'erogazione del rimborso.

La dichiarazione di maxi-periodo anteriormente alla chiusura della procedura

Nonostante gli indicati profili di criticità, la soluzione da ultimo menzionata potrebbe essere condivisa attuando correttivi in grado di valicare le suddette obiezioni.

Relativamente alla prima critica, si potrebbe controbattere, sulla scorta dei principi enucleati dalla già menzionata Sentenza n. 10349/2003 della Corte di Cassazione, nonché, dall' Ordinanza n. 114 del 2007 della Corte Costituzionale, che allorquando il Curatore o il Commissario abbia definito i rapporti pendenti ed abbia una chiara visione del quadro relativo alla procedura, sia (quasi) dovuto a presentare tempestivamente la dichiarazione dei redditi; al fine di evitare non solo che una presentazione successiva avvantaggi gli ex soci, ma soprattutto, si aggirerebbe la paventata discrezionalità dell'organo gestorio nello scegliere di conseguire un dato effetto. Infatti, verrebbe meno la possibilità per il predetto organo di optare per la soddisfazione dei creditori concorsuali, ovvero, per gli ex soci del soggetto fallito.

In tale circostanza, comunque, vi sarebbe una forma di responsabilità, modellata su quella prevista dall'art. 2495, comma secondo, c.c., del Curatore o Commissario che, pur in forza di un quadro chiaro della situazione concorsuale, abbia incautamente richiesto il rimborso.

Quanto alla seconda critica sollevata, ossia, quella ad avviso del quale, nell'attesa del rimborso, continuerebbero a prodursi nuovi interessi attivi, si potrebbe superare indicando all'organo gestorio di chiudere il conto della procedura e versare le somme rimaste su un libretto di deposito infruttifero.

Da ultimo, per quanto concerne la problematica afferente il principio della ragionevole durata, si deve rilevare come la soluzione della dichiarazione anticipata sia eventualmente compatibile con la cessione di un credito (presente, in quanto già sorto grazie alla dichiarazione anticipata) ad un istituto di credito o società finanziaria.

Infine, non si può non considerare che la questione della lesione della ragionevole durata della procedura possa scaturire anche se si adoperasse la soluzione improntata sull'ultrattività, di cui si dirà nel prosieguo della trattazione, dal momento che, i tempi di attesa del rimborso potrebbero essere i medesimi, in quanto dipesi dall'Amministrazione finanziaria.

Alla ricerca di ulteriori soluzioni

Anche a causa delle imperfezioni rilevate in ordine alla soluzione della dichiarazione anticipata, parte della dottrina e giurisprudenza di merito hanno proseguito nel ricercare una soluzione che permetta ai creditori concorsuali di beneficiare della riscossione dei crediti d'imposta. È stata prospettata come soluzione alternativa il fenomeno dell'ultrattività dell'organo gestorio dopo la chiusura della procedura, tale da consentire al curatore o al commissario di ripartire, seppur dopo l'archiviazione, le somme ai creditori concorsuali mediante riparto supplementare.

Al riguardo si deve constatare che nonostante l'art. 120 l. fall., in tema di fallimento, prevede che la chiusura determina anche la decadenza degli organi preposti al fallimento, esistono delle ipotesi eccezionali sulle quali è possibile fondare il fenomeno dell'ultrattività.

Si parla di ultrattività in relazione agli adempimenti che il curatore è tenuto a svolgere, ai sensi dell'art. 119, comma 5, l. fall. Tale disposizione prevede, infatti, che con il decreto di chiusura il tribunale possa impartire al curatore alcune disposizioni esecutive al fine ad attuare gli effetti della decisione (riconsegna dei beni e delle scritture contabili all'ex fallito, cancellazione della trascrizione della sentenza del fallito sugli immobili invenduti, vigilanza sull'esecuzione del concordato fallimentare, presentazione della dichiarazione di maxi periodo). In tali casi però, trattandosi per la maggior parte di attività di carattere meramente esecutivo conseguenti alla chiusura, il cui contenuto è conformato dal tribunale, e il curatore è di fatto privo di discrezionalità, si è dubitato che possa parlarsi di ultrattività in senso tecnico.

Una vera e propria ultrattività è stata configurata, invece, relativamente alla possibilità di procedere, ai sensi dell'art. 117, comma 2, l. fall., ad un riparto supplementare dopo la chiusura della procedura. La norma prevede che nel riparto finale vengano distribuiti anche gli accantonamenti precedentemente fatti, ma se la condizione non si è ancora verificata o se il provvedimento non è ancora passato in giudicato, la somma viene depositata nei modi stabiliti dal giudice delegato e se si verificano gli eventi indicati può essere versata ai creditori a cui spetta o nel caso contrario può essere oggetto di riparto supplementare fra altri creditori.

Al riguardo ci si è interrogati se il credito di rimborso, sorto dalla dichiarazione successiva alla chiusura, possa essere lecitamente distribuito con riparto supplementare ai sensi dell'art. 117, comma 2, l. fall. Tale soluzione è stata talvolta utilizzata dalla giurisprudenza di merito (Tribunale di Padova, ord. del 26 aprile 2002, in Il fisco, 2004, n. 15, p. 2327; Tribunale di Padova, 6 febbraio 2003, in Il fall., 8, 2003, p. 899), attraverso un'interpretazione estensiva della disposizione applicabile anche alla l.c.a. ai sensi del rinvio contenuto nell'ultimo comma dell'art. 213 l. fall. Tale applicazione ha dato però luogo ad un intenso dibattito dottrinale. Avverso di essa è stato replicato che la norma consente riparti supplementari di somme acquisite attraverso un'attività di liquidazione durante la procedura, con un successivo e semplice spostamento a favore di altro creditore, ammesso al passivo, indicato dal giudice delegato e dal curatore, con la conseguenza che il riparto supplementare altro non sarebbe che un fenomeno successivo alla chiusura ma sostanzialmente correttivo del riparto finale già fatto nella procedura ed in relazione a somme già acquisite. Si è così affermato che tale meccanismo non possa essere applicato in relazione a crediti nascenti dalla dichiarazione finale per somme non ancora riconosciute ai creditori e non acquisite al fallimento (in quanto ottenibili solo con la dichiarazione finale). Nel caso quindi di sopravvenienza di attivo si è ritenuto che l'unico strumento possibile sarebbe costituito dalla riapertura del fallimento.

Tale obiezione è però superabile se si considera che l'ambito operativo del riparto supplementare è stato considerevolmente ampliato dal legislatore per effetto del d.l. del 28.06.2015 n. 93, convertito con modifiche dalla legge del 6.8.2015 n. 132. Il nuovo art. 118, comma 2, terzo periodo e ss., l. fall. configura un'ulteriore ipotesi di riparto supplementare non relativa a somme già acquisite, depositate ed in attesa di distribuzione, ma a quello di somme acquisite interamente dopo il fallimento. Tale disposizione, infatti, contende la c.d. chiusura anticipata del fallimento, permettendo la definizione della procedura nonostante la pendenza di giudizi dai quali possono derivare sopravveniente attive da distribuire ai creditori.

Innegabili solo le analogie intercorrenti tra la pendenza di un giudizio, dal quale può derivare il riconoscimento di nuovo attivo per il fallimento, e l'esistenza di una situazione di fatto potenzialmente idonea a far nascere, mediante la dichiarazione dei redditi, il diritto al rimborso delle ritenute, costituendo entrambe situazioni pendenti potenzialmente in grado di generare sopravvenienze attive da distribuire ai creditori esistenti al momento della chiusura. In tal caso quindi il curatore dovrebbe, presentando l'istanza di chiusura ai sensi dell'art. 118, comma 3, l. fall., indicare le condizioni per pervenire al nuovo attivo e domandare al tribunale l'autorizzazione a riscuotere il credito nascente dalla dichiarazione dei redditi e il tribunale, ai sensi dell'art 119, comma 5, l. fall., potrebbe autorizzarlo abilitandolo a disporre del credito ulteriore mediante un riparto supplementare.

Si deve però rilevare che tale meccanismo, anche se si può ritenere operante in relazione al rimborso dei crediti e applicabile alla liquidazione coatta non essendo di per sé inconciliabile con tale procedura, è stato introdotto dal legislatore solo nel 2015 e la sua operatività è stata fissata alla data di entrata in vigore non potendo quindi essere applicato per risolvere la fattispecie sottoposta all'attenzione delle Sezioni Unite.

La cessione del credito

A causa delle incertezze riguardanti l'individuazione del soggetto legittimato a riscuotere il credito da ritenute, nella pratica è stato particolarmente applicato il meccanismo della cessione del credito, attuabile ai sensi dell'art. 106 l. fall., il quale prevede la possibilità di cedere dei crediti, compresi quelli di natura fiscali o futuri, anche se oggetto di contestazione.

Relativamente allo schema negoziale utilizzabile, la dottrina ha individuato quattro schemi contrattuali alternativi: cessione di un credito presente ma non esigibile (nel caso in cui si ritenga che le ritenute facciano sorgere in capo alla procedura un immediato credito di imposta liquido ma non esigibile, essendo l'esigibilità differita e incerta. In tal caso il negozio di cessione avrebbe effetti traslativi immediati, ma l'esigibilità da parte del cessionario sarebbe differita al momento in cui il curatore darà evidenza al credito con la presentazione della dichiarazione e la richiesta di rimborso in suo favore.), cessione di un credito futuro, cessione del credito presente (Applicabile nel solo caso in cui si ammetta la possibilità per il curatore o il commissario di presentare la dichiarazione finale anche nel corso della procedura.), contratto preliminare di cessione di un credito futuro. Gli schemi ritenuti più adatti da applicare sono la cessione di credito futuro, in quanto il credito derivante dalle ritenute nascerà in futuro se, e nella misura in cui, dalla dichiarazione finale risulterà un'eccedenza dell'imposta trattenuta rispetto a quella dovuta e il contratto preliminare di cessione del credito futuro che obbligherebbe le parti, avendo efficacia obbligatoria, a stipulare il contratto definitivo una volta che il credito venga ad esistenza.

Relativamente però a tali due schemi contrattuali ci si è posti il problema concernente il fatto che l'effetto traslativo si verifica successivamente all'archiviazione della procedura e con quest'ultima il credito rientrerebbe, ove non si adottino correttivi, nella titolarità del fallito tornato in bonis. Per evitare quindi che il negozio sia colpito da inefficacia o che il contratto definitivo non possa essere stipulato a causa della sopravvenuta altruità del credito oggetto del preliminare, l'utilizzo di tali schemi negoziali dovrebbe sempre saldarsi con un meccanismo che consenta al curatore o al commissario di presentarsi come titolari del credito sia al momento della stipula del contratto (cessione del credito futuro o contratto preliminare) che nel momento in cui l'effetto traslativo si verifica. Tali meccanismi sono, nel caso in cui sia stata disposta una cessione di credito futuro, la presentazione di una dichiarazione anticipata rispetto alla chiusura, mentre nel caso di un contratto preliminare per la stipula del contratto definitivo successivo alla chiusura servirebbe oltre alla dichiarazione anticipata anche il meccanismo dell'ultrattività che consenta al commissario di conservare la disponibilità del credito.

Tale problema non era stato affrontato dalla Corte di Cassazione che, nel trattare una fattispecie simile, caratterizzata dalla cessione del credito operata dal curatore fallimentare autorizzata dal giudice delegato in pendenza del fallimento ed eseguita dall'organo gestorio dopo la chiusura, si era limitata ad affrontare la questione della legittimazione del curatore a cedere il credito dopo la chiusura del fallimento (Cass. n. 9444 del 2019).

In tal caso la Corte, valorizzando l'ampiezza dell'art 119, comma 5, l. fall., ha legittimato la stipula del contratto definitivo da parte del curatore assimilandola al compimento di una mera attività materiale, considerato che il contenuto negoziale doveva essere fatto risalire al precedente contratto preliminare stipulato in pendenza della procedura e che il programma negoziale era già stato interamente eseguito dalla controparte avendo già pagato il prezzo della cessione. Così facendo la Corte ha risolto il problema dell'individuazione del fondamento della legittimazione del curatore a stipulare il contratto di cessione dopo la chiusura del fallimento senza però affrontare l'ulteriore problema dell'effettiva possibilità per l'organo gestorio di disporre del credito insorto dopo la chiusura della procedura, dovendo quest'ultimo, con la chiusura, ritenersi trasferito nella titolarità del fallito tornato in bonis in mancanza di correttivi quali la dichiarazione anticipata o il fenomeno dell'ultrattività.

Le Sezioni Unite sulla cessione del credito

Secondo le Sezioni Unite, il credito in oggetto poteva essere oggetto di cessione nel corso della procedura, giusta il disposto dell'art. 106 l.fall., nel testo sostituito del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 93, comma 1, a decorrere dal 16 luglio 2006, stabilisce che "il curatore può cedere i crediti, compresi quelli di natura fiscale o futuri, anche se oggetto di contestazione...".

Lo scopo che si è prefisso il legislatore di quella riforma, dichiarandolo nella relazione, è stato proprio quello di evitare ritardi nella chiusura delle procedure concorsuali, sovente rallentata giustappunto dai tempi di accertamento e di rimborso dei crediti tributari.

Né rileva, ai fini della cessione, che il credito fosse esposto in una dichiarazione, rilevando piuttosto esso scaturisca da uno specifico rapporto tributario e che in quanto tale sia qualificabile come credito futuro (Cass. 24 giugno 2015, n. 13027; Cass. 24 ottobre 2019, n. 27278), o che derivi da rapporti tra cedente e ceduto anche soltanto eventuali al momento della cessione (tra varie, Cass. 11 maggio 1990, n. 4040; 10 dicembre 2018, n. 31896; 28 febbraio 2020, n. 5616).

Peraltro, se il credito è ceduto durante la liquidazione, il credito non si poteva dire certo, perchè erano in corso le attività di liquidazione dalle quali sarebbe scaturito (anzi, proprio la cessione in questione, che ha prodotto un provento, ha costituito una di quelle attività).

Ciò non impedisce però di dire che il credito è divenuto certo e attuale al termine di quelle operazioni, che hanno individuato la materia imponibile. Il che è avvenuto, quindi, durante la pendenza della procedura di l.c.a.: a norma della L. Fall., art. 213, la procedura è destinata a cessare, e a comportare la cancellazione della società che vi sia stata sottoposta, soltanto in esito all'approvazione del bilancio finale di liquidazione, del conto di gestione e dell'ultimo riparto ai creditori, che postulano, tutti, appunto la chiusura delle operazioni di liquidazione.

Altri strumenti elaborati dalla prassi

Accanto alla cessione del credito, nella prassi, sono stati individuati ulteriori strumenti di liquidazione dei crediti derivanti dalle ritenute operate sui depositi fallimentari.

Uno degli strumenti in apparenza utilizzabili potrebbe essere desunto dalla previsione dell'art. 117, comma 3, l. fall. che consente al giudice delegato, nel rispetto delle cause di prelazione, di disporre l'assegnazione dei crediti di imposta del fallito non ancora rimborsati ai singoli creditori che vi consentano in luogo delle somme agli stessi spettanti. La dottrina ha però evidenziato alcune criticità relative all'utilizzo di questo strumento quali ad esempio: il non rispetto della par condicio, atteso che degli ulteriori interessi maturati sul credito ceduto beneficerebbe unicamente il creditore assegnatario e non la massa dei creditori; il riferimento ai soli crediti “del fallito” escluderebbe quelli invece nati durante la procedura impedendo l'utilizzo di tale strumento nel caso in esame; i vincoli imposti dagli artt. 43-bis del d.P.R. n. 602/1973 e 1 del d.m. n. 384 del 1997 che richiedono, ai fini della cessione dei crediti tributari scaturenti dalle dichiarazioni, l'unitarietà del credito e l'unicità del cessionario, considerato che, in caso di assegnazione del credito in sede di riparto, sarebbe alquanto improbabile riscontrare l'identità quantitativa tra il credito tributario e quello vantato dal creditore assegnatario.

Altro strumento è il conferimento ad un istituto di credito del mandato a riscuotere il credito dall'amministrazione finanziaria. La possibilità per il curatore di stipulare il contratto di mandato viene ricavata dalla previsione contenuta nel terzo comma dell'art. 106 l.fall. che testualmente fa riferimento al conferimento di mandati per la riscossione dei crediti. Essendo un mandato nell'interesse del terzo ha il vantaggio di non poter essere di regola revocato dal fallito ritornato in bonis, ai sensi dell'art. 1723, 2 comma, c.c.

Posto che per avere concreta utilità il mandato dovrebbe essere accompagnato anche dall'incarico di eseguire il piano di riparto a procedura chiusa, così permettendo al curatore di chiudere la procedura in tempi celeri, la dottrina si è interrogata sulla possibilità di delegare a terzi le operazioni di riparto. Al riguardo occorre constatare che l'art. 32 l. fall. consente la sostituzione del curatore per l'adempimento dei doveri di ufficio solamente per singoli atti e in via del tutto provvisoria, mentre nel caso in esame la sostituzione avverrebbe a titolo definitivo. È stato inoltre obiettato che, rimanendo il credito nel patrimonio fallimentare, con la chiusura della procedura il credito dovrebbe passare nella titolarità del fallito tornato in bonis e andare a garanzia di tutti i creditori, non solo a favore di quelli ammessi allo stato passivo.

La prima perplessità è stata avanzata anche riguardo all'utilizzo di un trust ultrattivo e liquidatorio, con assegnazione al trustee del compito di gestire il credito fiscale ripartendone il ricavato tra i creditori della massa, permettendo così ai crediti ceduti di conservare l'originario vincolo di destinazione, rimanendo finalizzati al soddisfacimento della massa fallimentare. A tale dubbio è stato replicato che la delega avverrebbe sfruttato il più ampio spazio consentito dall'art. 104-ter, comma 4, l.fall., che consente al curatore di essere autorizzato ad affidare ad altri professionisti o società specializzate alcune incombenze della procedura di liquidazione dell'attivo.

Tra le perplessità a cui non è stata eccepita replicata si fa menzione della questione per cui, la cessione degli organi, con la chiusura del fallimento, comporterebbe il tornare al debitore del potere di disporre del rapporto fiduciario il quale potrebbe anche revocarlo e riscuotere personalmente il credito.

Osservazioni conclusive

Come precedentemente esaminato, la prima questione, concernente la legittimità del commissario liquidatore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa a chiedere il rimborso IRES da eccedenza di imposta versata a titolo di acconto, liquidato con l'atto della presentazione della dichiarazione dei redditi successiva all'archiviazione della procedura, è condizionata dalla disposizione contenuta nell'art. 213 l.fall. che prevede il dovere del commissario, dopo l'approvazione del bilancio, del conto della gestione e del piano di riparto, di richiedere la cancellazione della società con la conseguente decadenza degli organi della procedura concorsuale, ai sensi dell'art. 120 l.fall.

Tale iter normativo, nonostante il credito avente ad oggetto la restituzione delle ritenute debba essere considerato un credito della massa, ingenera l'ostacolo della decadenza del soggetto deputato alla gestione del credito, “spezzando” così il connubio tra titolarità del credito e legittimazione a riscuoterlo.

Ed infatti, la decadenza degli organi e la loro conseguente perdita di legittimazione alla riscossione del credito ha come conseguenza il trasferimento del diritto di credito e del diritto al rimborso in capo agli ex soci della società fallita.

Sennonché, questo finirebbe per privare nella sostanza i creditori concorsuali di un diritto di credito scaturente dalla procedura concorsuale, imponendo loro di agire con gli ordinari strumenti di tutela del credito. Anche se, questo potrebbe condurre, come già visto, al loro depauperamento ingiustificato, ad oneri eccessivamente gravosi, al rischio di subire asimmetrie informative, fino alla potenziale violazione della par condicio creditorum.

Al fine di superare le suddette ripercussioni le soluzioni che paiono più idonee a legittimare l'organo della procedura, e dunque, la sua titolarità del credito, sono la tesi della dichiarazione anticipata e la tesi concernente la proroga dei poteri del commissario dopo l'archiviazione della procedura.

Come osservato, il primo orientamento, enucleato dalla Corte di cassazione, con Sentenza n. 10349/2003, ed avallato dalla Corte Costituzionale, nella Pronuncia n. 114 del 2007, evidenzia come il termine per la presentazione della dichiarazione di maxi-periodo può considerarsi rispettato quando questa venga presentata nel corso della procedura concorsuale, allorché il commissario abbia definito tutti i rapporti pendenti e consegua la rappresentazione completa di tutti gli elementi che compongono il reddito da dichiarare. A tale tesi, che privilegia l'aspetto sostanziale al fine di non sottrarre un credito agli aventi diritto solo perché esiste un meccanismo di posticipazione cronologica, sono state eccepite tre obiezioni, precedentemente analizzate (facoltatività della soluzione, maturazione di nuovi interessi, violazione del principio della ragionevole durata della procedura), relativamente alle quali è stato dimostrato il loro non essere insuperabili.

Viceversa, la seconda impostazione, si fonda sul fenomeno dell'ultrattività, il quale consentirebbe all'organo gestorio di eseguire un riparto supplementare a procedura terminata, legittimando il Curatore o Commissario a chiedere il rimborso ed a distribuire il ricavo dopo la chiusura, ovvero, a cederlo con contratto definitivo a seguito della procedura. Trattasi, come precedentemente esaminato, di una soluzione che è stata talvolta utilizzata dalla giurisprudenza di merito attraverso un'interpretazione estensiva dell'art. 117, comma 2, l.fall. alla quale però è stato obiettato che il meccanismo disciplinato da tale disposizione si applicherebbe solo per somme già acquisiste e quindi sarebbe inutilizzabile in relazione a crediti per somme che non solo non sono state ancora riconosciute ai creditori ma nemmeno acquisite dal fallimento. Sebbene, come è stato osservato, il d.l. n. 83/2015 ha ampliato l'ambito operativo del fenomeno dell'ultrattività del riparto supplementare, non trovando applicazione per le controversie precedenti al 2015, non può applicarsi al caso in esame.

Per le procedure escluse la tesi dell'ultrattività potrebbe essere fondata solo sull'applicazione analogica dell'art. 117, comma 2, l. fall. (in combinato disposto con l'art 119, comma 5, l. fall.) sostenendo che il meccanismo del riparto supplementare può attuarsi non solo nel caso di crediti la cui ammissione è sottoposta a condizione sospensiva, ma anche nei casi in cui la condizione attiene all'acquisizione di una futura somma all'attivo da distribuire.

Rispetto al caso di specie, tenendo conto delle suddette impostazioni, si deve, rilevare come non possa applicarsi né la tesi della dichiarazione anticipata, dal momento che essa non vi è effettivamente stata, né la tesi dell'ultrattività, in quanto nonostante gli spunti offerti dalla riforma del 2015, si basa sull'applicazione analogica dell'art. 117 comma 2, l. fall. ad una fattispecie che è geneticamente differente da quella tenuta in considerazione dalla norma, implicando lo sforzo di dover parificare il caso del riparto supplementare su somme già acquisite a quello del riparto supplementare su somme sopravvenute, nonché sfruttando l'ampiezza dell'art 119 l. fall., non richiamato però in tema di liquidazione coatta amministrativa.

Per quanto invece riguarda la seconda questione relativa alla legittimazione del commissario a stipulare il contratto di cessione del credito IRES, il cui importo sia stato acquisito dalla procedura cedente prima della predisposizione del riparto finale ma sia divenuto certo, liquido ed esigibile successivamente all'archiviazione della procedura, la soluzione (adottata dalle Sezioni Unite) è che la riproduzione, dopo la chiusura del fallimento o la cessazione della procedura di l.c.a., della cessione stipulata quando la procedura pendeva si atteggia come mero adempimento materiale, trattandosi di un adempimento dovuto, perchè per effetto della cessione il credito non fa più parte della sfera giuridica del cedente (in linea, con riferimento alla stipulazione dopo la chiusura del fallimento del contratto definitivo esecutivo dell'obbligo di fare derivante dal preliminare di cessione stipulato in pendenza di procedura, Cass. 4 aprile 2019, n. 9444; coerente anche Cass. 21 dicembre 2005, n. 28300). Sicchè non è necessario evocare l'ultrattività dei poteri del commissario liquidatore (o del curatore), in quanto l'adempimento in questione è consequenziale alla dichiarazione che il commissario (o il curatore) deve fare per legge dopo la cessazione della procedura e che espone il credito già oggetto dell'atto di disposizione.

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