Ancora a proposito della rinegoziazione del canone nel caso delle locazioni commerciali
02 Marzo 2021
Massima
Il locatore di un immobile ad uso commerciale viola il principio della buona fede se non adempie all'obbligo di rinegoziazione del canone a seguito delle sopravvenienze legate all'epidemia da Covid-19: in tal caso, deve accogliersi il ricorso d'urgenza del conduttore volto alla riduzione del canone ed alla sospensione della fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni contrattuali del conduttore. Il caso
L'ordinanza 27 agosto 2020 del Tribunale Roma si colloca tra gli ormai numerosi interventi giurisprudenziali diretti ad affrontare il tema degli effetti dell'epidemia da Coronavirus sui contratti di locazione: con tale provvedimento, il giudice capitolino definisce il procedimento cautelare promosso dal conduttore di un immobile ad uso non abitativo (immobile destinato ad attività di ristorazione) con ricorso ex art. 700 c.p.c. volto ad ottenere - in relazione alle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia da Covid-19 - la riduzione del canone e/o la sospensione parziale dell'obbligo di pagamento del canone ed il divieto di utilizzo della fideiussione costituita a garanzia delle obbligazioni contrattuali del conduttore. Alla base della decisione, il Tribunale di Roma pone l'affermazione che il locatore di immobile adibito all'esercizio di attività di ristorazione viola il principio di buona fede ove non si presti alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali in relazione alle sopravvenienze legate alla pandemia da Covid-19 ed in applicazione di questo principio dispone in via cautelare:
La questione
Ricordiamo gli argomenti che sono posti alla base del provvedimento. Per affrontare la questione sottoposta al suo esame il Tribunale di Roma prende le mosse dalla previsione del comma 3 dell'art. 1467 c.c., norma che - come noto - dispone che nel caso di eccessiva onerosità sopravvenuta “la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”. Con riguardo al contenuto di tale disposizione il Tribunale nota che, ancorché in base a questa “la rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate” può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione, in quanto il contraente a carico del quale si verifica l'eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può pretendere che l'altro contraente accetti l'adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite”, non è escluso che nel caso di “sopravvenienze” “lo strumento della risoluzione giudiziale del contratto “squilibrato” volta alla cancellazione del contratto, nella misura in cui quest'ultimo non contenga alcuna clausola di rinegoziazione derogatrice della disciplina legale, soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, possa in alcuni casi non essere … rispondente all'interesse della stessa parte che, subendo l'aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto “squilibrato” e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali squilibrate”. Passando a considerare la situazione legata all'emergenza derivata dalla pandemia il Tribunale nota che “la crisi economica dipesa dalla pandemia da Covid-19 e la chiusura forzata delle attività commerciali … devono qualificarsi quale sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale”. Considerazione questa, peraltro ampiamente condivisa dalla dottrina e dalla giurisprudenza che hanno affrontato la questione, che il Tribunale approfondisce osservando che nel caso delle locazioni commerciali il contratto viene “stipulato sul presupposto di un impiego dell'immobile per l'effettivo svolgimento di attività produttiva”, alla luce del quale deve ritenersi che “pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine … debbano continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio” mentre ove “si ravvisi una sopravvenienza … quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19 la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)”.
Le soluzioni giuridiche
Fatte queste considerazioni sul piano del diritto sostanziale il Tribunale prende in esame l'aspetto ulteriore della questione relativo al contenuto dell'azione diretta a fare valere il diritto sopra delineato e nota che nel caso di “azione di riduzione in via equitativa dei canoni di locazione in ragione del mancato rispetto dei canoni di buona fede e correttezza” - azione che sia “proposta in via principale senza previa domanda di risoluzione per sopravvenuta eccessiva onerosità” - può ritenersi che “la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto”. Da notare - per inciso - come il Tribunale richiami così i principi che erano stati enunciati proprio con riguardo a questo argomento dalla “relazione tematica” 8 luglio 2020 dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione (relazione che peraltro era giunta ad affermare che nel caso delle sopravvenienze della natura indicata all'integrazione del contenuto del contratto potesse provvedersi attraverso l'intervento del giudice in applicazione della previsione dell'art. 2932 c.c.). Alla luce dei rilievi ora ricordati, il Tribunale osserva appunto che nel caso in cui “le suddette circostanze vengono a verificarsi nel caso dei cosiddetti contratti relazionali implicanti un rapporto continuativo tra le parti e che mal tollerano la risoluzione del contratto” (caso in cui rientrano “anche i contratti di locazione di beni immobili per l'esercizio di attività produttive” nei quali “l'eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità comporterebbe inevitabilmente la perdita dell'avviamento per l'impresa colpita dall'eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell'attività economica” ) deve affermarsi (ed in ciò il Tribunale di Roma ribadisce l'affermazione che è stata formulata dall'ordinanza 21 ottobre 2020 del Tribunale di Milano) che “in siffatte ipotesi sorge … in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale del contratto. La clausola generale di buona fede e correttezza ha” infatti - si nota - “la funzione di rendere flessibile l'ordinamento, consentendo la tutela di fattispecie non contemplate dal legislatore”. A questo punto, il provvedimento in commento prende in considerazione un ulteriore e diverso aspetto concreto della vicenda sottoposta al suo esame ed osserva che - ancorché siano “state previste a livello statale una serie di misure volte a ridurre l'impatto finanziario della pandemia nelle attività produttive”, tra cui “rileva in particolare … la previsione di cui all'art. 65 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 convertito in l. n. 27/2020 di un credito di imposta del 60% sui canoni di locazione pagati nel marzo 2020” - tuttavia “le suddette misure non sembrano … sufficienti, almeno nel caso di specie, a riportare in equilibrio il contratto entro la sua normale alea” (atteso - si nota - che nel caso “a fronte del recupero di poco più della metà del credito di imposta per un solo mese si sono verificate delle perdite nette dei ricavi per i mesi di marzo, aprile, maggio di euro 136.555,11 rispetto al corrispondente periodo di gestione dell'anno precedente”). Ciò osservato, il Tribunale segnala che dunque “anche in presenza dell'intervento generale del legislatore per fare fronte alla crisi economica causata dal Covid-19, deve ritenersi doveroso in tale ipotesi fare ricorso alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancito dall'art. 2 della Carta costituzionale” per “riportare il contratto entro i limiti dell'alea normale del contatto”, situazioni in cui deve affermarsi l'“obbligo delle parti di addivenire a nuove trattative al fine di riportare l'equilibrio negoziale entro l'alea normale del contratto”. Passando a questo punto all'esame del comportamento concreto tenuto dalla locatrice nel caso in esame il Tribunale nota che nel caso “sembra prima facie essere stato violato da parte della resistente il canone di buona fede in senso oggettivo” non avendo essa provato “di essersi resa disponibile a ridurre del 30% l'importo dei canoni di locazione per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020, impegnandosi a non escutere la fideiussione sino a quando la situazione debitoria sarà inferiore a 30.000 euro”. “Pertanto - conclude il provvedimento - in ragione della mancata ottemperanza della parte resistente ai doveri di contrattazione derivanti dai principi di buona fede e solidarietà, sembra necessario fare ricorso alla buona fede integrativa per riportare in equilibrio il contratto nei limiti dell'alea negoziale normale, disponendo la riduzione del canone di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20% per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021; si rileva al riguardo che, anche dopo la riapertura dell'esercizio commerciale, l'accesso della clientela è contingentato per ragioni di sicurezza sanitaria. Si dispone altresì la sospensione della fideiussione in oggetto fino ad una esposizione debitoria del conduttore di 30.000 euro”. A questo punto, il Tribunale formula un'ulteriore considerazione: “alle medesime conclusioni si perviene qualificando la suddetta fattispecie come peculiare ipotesi di impossibilità della prestazione della locatrice resistente di natura parziale e temporanea” (come aveva ritenuto altra pronuncia dello stesso giudice capitolino, l'ordinanza 29 maggio 2020 del Tribunale di Roma), considerata “la sostanziale impossibilità di utilizzazione dei locali locati per l'attività di ristorazione, idonea ad incidere sui presupposti alla base del contratto, e che dà luogo all'applicazione del combinato disposto degli artt. 1256 c.c. (norma generale in materia di obbligazioni) e 1464 c.c. (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive)”. Le conseguenze - dal momento che nessuna parte “ha manifestato la volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale” - “non sono dunque né solamente quelle della impossibilità totale temporanea (che comporterebbe il completo venir meno del correlato obbligo di corrispondere la controprestazione: v. in tal senso Cass. n. 9816/2009) né quelle della impossibilità parziale definitiva (che determinerebbe, ex art. 1464, una riduzione parimenti definitiva del canone)”. Invero “trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita”. Il Tribunale reputa, infine, il ricorso “fondato sotto il profilo del periculum in mora, posto che le perdite potenziali derivanti dall'escussione della fideiussione e il pagamento dei canoni in misura integrale sono idonei ad aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria della resistente portandola alla cessazione”, e perviene così alla decisione di accogliere la domanda cautelare e di disporre “la riduzione dei canoni di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20 % per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021” e “la sospensione della garanzia fideiussoria fino ad un'esposizione debitoria di 30.000 euro”. Osservazioni
Il provvedimento interviene, dunque, per definire la questione che concerne il canone dovuto in dipendenza di un contratto di locazione relativo ad un immobile destinato allo svolgimento di un'attività che è stata direttamente interessata dai provvedimenti emergenziali di chiusura delle attività. Per inquadrare correttamente la questione sotto questo profilo è opportuno ricordare quanto segue. Quanto allo svolgimento delle attività di ristorazione si ricorda che:
Va, poi, ricordato - per avere un quadro utile ai fini della valutazione del problema esaminato dal provvedimento che si annota - che, nel contempo, il legislatore ha preso in considerazione i problemi economici dei soggetti esercenti le attività in forza di un contratto di locazione (o anche di affitto di azienda) introducendo benefici di carattere fiscale in favore del conduttore commisurati alla misura del canone:
Da sottolineare che i benefici anzidetti sono stati introdotti con l'espressa finalità di mitigare gli effetti di pregiudizio, per i conduttori degli immobili considerati dai provvedimenti indicati, derivati dall'applicazione delle misure di prevenzione e contenimento dell'epidemia da Covid-19. Da segnalare anche che in base a quanto prevede l'art. 122 del d.l. n. 34/2020 il credito d'imposta riconosciuto al conduttore è utilizzabile attraverso la sua cessione a terzi, tra questi incluso anche il locatore. Mentre per alcune delle misure indicate erano previste limitazioni legate all'entità della riduzione del fatturato ed alla misura del giro d'affari del soggetto interessato, da parte di altre disposizioni tali requisiti non sono stati più posti. Da segnalare infine che per tutte le misure in questione vale il principio - ribadito dall'Agenzia delle Entrate con la circolare n. 8/E del 3 aprile 2020 con riguardo al d.l. n. 18/2020 – che il conduttore, per potere beneficiare del credito d'imposta, deve avere pagato il canone (“L'art. 65 del decreto - precisa infatti la circolare: e l'affermazione deve valere per tutte le misure di provvidenza - prevede un credito d'imposta, a favore dei soggetti esercenti attività di impresa, pari al 60 per cento delle spese sostenute per il mese di marzo 2020 per canoni di locazione purché relativi ad immobili rientranti nella categoria catastale C/1”). Le questioni che sono state esaminate e definite dal Tribunale di Roma con il provvedimento che si commenta (questioni che si incentrano sugli effetti sui contratti di locazione della situazione derivante dall'emergenza causata dall'epidemia da Coronavirus) sono state oggetto di molti e differenti approfondimenti da parte della dottrina ed hanno dato occasione a numerosi interventi della giurisprudenza. Rinviando ad altra sede l'esame (che non è consentito dalla brevità della presente nota) della questione di fondo relativa alle conseguenze sul contratto di locazione delle sopravvenienze (questione cui il provvedimento in esame fornisce una soluzione che appare destinata a suscitare perplessità) va detto che nel provvedimento che si annota sono presenti alcuni profili specifici che merita segnalare. Il primo punto da sottolineare è che i ragionamenti e le considerazioni formulate dall'ordinanza in commento si incentrano sulle conseguenze dell'epidemia sulle locazioni degli immobili destinati allo svolgimento di attività di cui è stata disposta la chiusura o la limitazione. Ciò consente di individuare precisi limiti della portata dei ragionamenti svolti dall'ordinanza. Ne deriva infatti, in primo luogo, che le considerazioni svolte nella motivazione del provvedimento che si annota possono riguardare solo le locazioni non abitative, poiché solo relativamente agli immobili oggetto di locazione non abitativa ed all'attività svolta in tali immobili sono stati disposti - con numerose disposizioni della normativa emergenziale - divieti o limitazioni di svolgimento. Resta pertanto estranea alle considerazioni formulate dall'ordinanza ogni ipotesi di locazione abitativa (da sottolineare che questa osservazione vale anche per la fattispecie della locazione per studenti). Deve notarsi, in secondo luogo, che le considerazioni svolte dal provvedimento che si commenta - e le conclusioni cui lo stesso perviene - possono valere, all'interno del campo delle locazioni non abitative, solo per le locazioni aventi ad oggetto immobili che siano stati direttamente e concretamente interessati da disposizioni di divieto o di limitazione di svolgimento dell'attività. Da aggiungere che il discorso svolto dal provvedimento in esame deve avere quale ambito di interesse ed applicazione - all'interno del campo costituito dalle locazioni non abitative di cui si è detto - solamente il periodo durante il quale si sia avuto in concreto un effetto di limitazione dell'utilizzazione del bene locato, e cioè solo i mesi per i quali siano risultate destinate ad operare le limitazioni. Vi è da dire, peraltro, che sotto questo profilo le conclusioni raggiunte dal provvedimento in esame appaiono incoerenti poiché esse non considerano solamente il periodo di chiusura per la sospensione imposta dell'esercizio dell'attività ma ampliano la riduzione del canone anche ad un periodo ulteriore e addirittura futuro rispetto al momento della pronuncia del provvedimento (periodo futuro rispetto al quale gli effetti delle disposizioni emergenziali sono ancora tutti da verificare). Altro punto da segnalare è il riferimento alle previsioni introdotte dal legislatore per venire incontro ai problemi dei conduttori. Al proposito, il Tribunale di Roma afferma di ritenere che tali misure non sono sufficienti a ristorare il conduttore del pregiudizio derivato dall'attuazione dei provvedimenti emergenziali emanati atteso che “a fronte del recupero di poco più della metà del credito di imposta per un solo mese si sono verificate delle perdite nette dei ricavi per i mesi di marzo, aprile, maggio di euro 136.555,11 rispetto al corrispondente periodo di gestione dell'anno precedente”. La considerazione suscita perplessità sotto più profili. Da un lato, perché pone a confronto la perdita dei ricavi ed il beneficio (attuato con l'attribuzione del credito d'imposta) previsto per il recupero di una quota del canone pagato dal conduttore: si tratta di aspetti disomogenei, come tali non comparabili. Si noti che il canone costituisce solo una delle voci di uscita dell'attività del conduttore sì che non ha senso il raffronto tra la perdita complessiva patita dal conduttore e l'entità del contributo per una quota del canone disposto dallo Stato. In secondo luogo, perché il provvedimento in esame prende in considerazione solamente il beneficio disposto dall'art. 65 del d.l. n. 18/2020, senza considerare gli ulteriori benefici erogati dalle disposizioni intervenute successivamente (benefici che peraltro - almeno in parte - erano già stati disposti alla data della pronuncia del provvedimento che stiamo esaminando). Non appare appropriato considerare non solo il canone relativo al periodo già trascorso (periodo per il quale è possibile conoscere gli effetti dell'emergenza sull'attività svolta nell'immobile e valutare anche gli effetti delle misure di ristoro disposte dallo Stato) ma anche il canone relativo ai mesi futuri (per i quali non è possibile ancora sapere se e quali effetti deriveranno dall'emergenza né prevedere se e quali ulteriori disposizioni dirette ad attribuire benefici o ristori ai conduttori interverranno). In ogni caso, pare chiaro che nella valutazione operata dal Tribunale non è stato considerato il beneficio derivante dalla detrazione d'imposta riconosciuta al conduttore dai provvedimenti che si sono ricordati supra: il provvedimento infatti sembra disporre una riduzione del canone senza considerare che una analoga riduzione (o comunque un beneficio analogo a questa quanto meno sul piano della sostanza: la detrazione d'imposta si traduce infatti in un beneficio pari - nella sostanza - ad una riduzione del canone) viene nel contempo disposta dallo Stato in favore del conduttore. Con riguardo al profilo da ultimo considerato, il provvedimento che si commenta, non tenendo conto delle provvidenze disposte dallo Stato, presenta un aspetto critico ulteriore. Si ricordi che la detrazione d'imposta prevista dalle disposizioni emergenziali che si sono ricordate può essere utilizzata da parte del conduttore solo se egli abbia pagato i canoni e solo nella percentuale indicata dalle norme calcolata sul canone pagato. Ne deriva che nel momento in cui il canone sia reso oggetto di riduzione da parte del giudice - ma il discorso va fatto esattamente nei medesimi termini anche nel caso in cui siano le parti a trovare un accordo circa la riduzione del canone - la detrazione d'imposta si applicherà solo sul canone ridotto. Ecco allora che la riduzione del 40% del canone che è stata riconosciuta in favore del conduttore dall'ordinanza in commento per i canoni di aprile e maggio 2020 consentirà al conduttore di ottenere la detrazione d'imposta non già sul canone pieno ma solo sul canone ridotto. Il che significa in termini concreti che la riduzione del 40% del canone si tradurrà nella perdita della possibilità di fruire del 40% del bonus che è attribuito dallo Stato al conduttore. La considerazione consente di notare che tra i benefici fiscali attribuiti dalla normativa emergenziale ai conduttori di immobili destinati ad attività commerciali e l'attribuzione al conduttore medesimo del diritto alla rinegoziazione - diritto che viene prospettato da plurimi interventi della giurisprudenza (si veda in questo senso anche l'ordinanza 21 ottobre 2020 del Tribunale di Milano) e che è affermato anche dalla “relazione tematica” 8 luglio 2020 presentata in argomento dall'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione - deve vedersi un'evidente incompatibilità. Le due figure (il beneficio fiscale consistente nella detrazione d'imposta ed il diritto alla rinegoziazione del canone) appaiono dirette, del resto, sul piano dei principi a dare soluzione ai problemi che stiamo considerando in due prospettive del tutto diverse: mentre con l'attribuzione al conduttore del beneficio fiscale la soluzione del problema viene posta a carico della collettività, con il riconoscimento del diritto del conduttore alla riduzione del canone la soluzione viene posta a carico del solo singolo locatore. Altro aspetto del provvedimento che si annota che è opportuno segnalare è legato al particolare procedimento che nel caso è stato promosso e nel quale interviene il provvedimento. Come detto, la domanda del conduttore nel caso è stata proposta con un ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. Vi è da chiedersi se fosse ammissibile un tale ricorso. Non è chiaro infatti se nel caso possa ritenersi configurabile un pregiudizio irreparabile del diritto del conduttore. Al proposito l'ordinanza ritiene che il ricorso fosse “fondato sotto il profilo del periculum in mora, posto che le perdite potenziali derivanti dall'escussione della fideiussione e il pagamento dei canoni in misura integrale sono idonei ad aggravare considerevolmente la situazione di crisi finanziaria della resistente portandola alla cessazione”. Vi è da dire, però, che probabilmente dovrebbero essere distinti i due obiettivi: quello della riduzione del canone e quello della sospensione dell'efficacia della fideiussione. Rispetto al primo, pare incerta la possibilità del ricorso d'urgenza: può dubitarsi infatti dell'ammissibilità della tutela cautelare d'urgenza nel caso in cui il pregiudizio paventato si sostanzi nel contenuto di un provvedimento che dovrebbe essere pronunciato in esito ad un giudizio. Si noti che il pregiudizio del diritto del conduttore che il provvedimento d'urgenza in esame è volto ad evitare pare essere costituito - nella sostanza - dall'effetto dell'azione giudiziale che il locatore, ove il conduttore non pagasse il canone o pagasse un canone ridotto, potrebbe promuovere nei suoi confronti. In questo caso però la questione relativa alla sussistenza del diritto del conduttore alla rinegoziazione del canone potrebbe essere affrontata nell'ambito di tale procedimento (nel quale il conduttore avrebbe la possibilità di sollevare ogni eccezione) sì che è dubbia l'ammissibilità nel caso ed in via anticipata del ricorso alla tutela cautelare da parte del conduttore (ciò anche in considerazione della natura esclusivamente “residuale” dello strumento di tutela in questione). Diverso potrebbe essere, invece, il discorso relativo alla sospensione dell'efficacia della fideiussione: in assenza di un provvedimento del giudice che sospendesse l'efficacia della fideiussione infatti dovrebbe ritenersi che il terzo garante, se richiesto dal locatore, fosse tenuto al pagamento di quanto non pagato dal conduttore ed in questo caso il conduttore vedrebbe effettivamente pregiudicata la sua posizione. Sotto questo profilo pertanto potrebbe riconoscersi la sussistenza del pericolo di un danno tale da consentire il ricorso alla tutela cautelare. Riferimenti
Agostinelli, Incidenza delle misure emergenziali sui contratti di locazione, in Giur. it., 2020, 2325; Cuffaro,Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell'epidemia, in Giust. civ.com, 27 marzo 2020; Scalettaris, Necessaria la rinegoziazione del canone nel caso di morosità in tempi di emergenza?, in Condominioelocazione.it, 24 novembre 2020; Spacchetti, I contratti italiani e le loro risoluzioni ai tempi del Covid-19, in Guida al diritto, 2020, fasc. 14, 79. |