Il mancato riversamento del PREU integra gli estremi del delitto di peculato: la pronuncia delle Sezioni Unite Penali

Jacopo Lorenzi
11 Marzo 2021

Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell'esercente degli apparecchi da gioco lecito di cui all'art. 110, sesto e settimo comma, Tulps, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del PREU, non versandoli al concessionario competente.
Massima

Integra il reato di peculato la condotta del gestore o dell'esercente degli apparecchi da gioco lecito di cui all'art. 110, sesto e settimo comma, Tulps, che si impossessi dei proventi del gioco, anche per la parte destinata al pagamento del Preu, non versandoli al concessionario competente.

Il caso

La Corte di appello di Roma confermava la condanna, per il reato di peculato, in capo al legale rappresentante della società Alfa Srl che aveva in gestione gli apparecchi per il gioco lecito di cui all'art. 110, Tulps, per essersi impossessato delle somme relative alle giocate effettuate, somme comprensive anche del Preu e del compenso spettante alla società Beta, concessionaria della rete telematica per il gioco lecito.

In particolare, la società Beta Spa aveva stipulato, con la competente Amministrazione, una concessione per l'attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi di divertimento e intrattenimento. Tale convenzione consentiva che il concessionario (Beta Spa) svolgesse il servizio pubblico avvalendosi anche di altri gestori. In virtù di ciò veniva stipulato, tra Beta Spa ed Alfa Srl, un contratto di collaborazione per la raccolta delle giocate, dove Alfa Srl assumeva il ruolo di gestoree Beta Spa di concessionario della rete e, tra l'altro, soggetto passivo del Preu.

Il Tribunale qualificava il legale rappresentante di Alfa, nel suo ruolo di gestore per conto della società concessionaria Beta, come incaricato di un pubblico servizio per la sua attività di perseguimento dell'interesse pubblico: l'attività di incasso dei giochi andava considerata quale attività di maneggio di denaro pubblico.

Ad analoghe conclusioni giungeva la Corte di appello, per la quale tutte le somme di denaro che entrano in circolo nel meccanismo legato al gioco lecito sono di proprietà dello Stato e, quindi, di natura pubblicistica. Tale natura, peraltro, non è inficiata dal fatto che lo Stato riconosca un aggio ai concessionari, ai gestori o agli esercenti.

Incardinatosi il procedimento presso la Corte di Cassazione, la Sesta Sezione penale rilevava un contrasto interno di giurisprudenza sul tema relativo alla natura del Preu ed alla proprietà degli incassi degli apparecchi da gioco; in virtù di tale contrasto, pertanto, si poneva il dubbio sulla configurabilità del peculato.

Veniva dunque disposta la rimessione alle Sezioni Unite per risolvere la questione concernente l'originaria riferibilità all'Amministrazione finanziaria delle somme riscosse nell'ambito della gestione telematica del gioco.

La questione

La questione di diritto rimessa alle Sezioni Unite è la seguente: “se l'omesso versamento del prelievo unico erariale (Preu), dovuto sull'importo delle giocate al netto delle vincite erogate, da parte del “gestore” degli apparecchi da gioco con vincita in denaro o del “concessionario” per l'attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito, costituisca il delitto di peculato”.

La questione origina da un contrasto interno alla giurisprudenza della Cassazione penale.

Il primo orientamento

Il primo - e più cospicuo - orientamento qualifica il gestore della raccolta delle giocate quale incaricato di un pubblico servizio (Cass., n. 49070/2017, 15860/2018 e 4937/2019).

Secondo tale indirizzo, la qualifica pubblica del gestore deriva dal ruolo di agente contabile rivestito dal concessionario della rete telematica; ai fini della qualificazione del gestore quale incaricato di un pubblico servizio risultano irrilevanti la natura tributaria del Preu e l'individuazione del concessionario quale soggetto passivo d'imposta.

Il sub-concessionario per la gestione dei giochi telematici riveste la qualifica di incaricato di un pubblico servizio perché trattasi di un soggetto che, in virtù di una facoltà riconosciuta al concessionario dell'Amministrazione, è investito contrattualmente dell'esercizio dell'attività di agente contabile addetto alla riscossione ed al successivo versamento del PREU.

L'indirizzo troverebbe conferma anche nella giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. Unite n. 14891/2010) che hanno qualificato il gestore degli apparecchi da intrattenimento quale agente contabile, seguendo l'orientamento espresso anche dalla Corte dei conti.

L'indirizzo maggioritario, in definitiva, qualifica il gestore (sub-concessionario) come incaricato di un pubblico servizio e, pertanto, qualora s'impossessi degli incassi delle giocate, senza riversarli al concessionario, tale condotta integra il delitto di peculato.

L'orientamento opposto

Il diverso e minoritario indirizzo (espresso nella sentenza Cass., n. 21318/2018), riconosce al Preu la natura di vero e proprio tributo, con la conseguenza che il gestore è tenuto al mero adempimento dell'obbligazione tributaria, restando egli stesso proprietario delle somme incassate. Ciò troverebbe conferma nel fatto che il soggetto passivo dell'imposta è, appunto, il concessionario, obbligato in via solidale con il gestore.

Ne consegue che, essendo escluso che gli incassi degli apparecchi da gioco siano originariamente di spettanza della Pubblica amministrazione, non si integra il delitto di peculato: il denaro incassato all'atto della puntata deve ritenersi non immediatamente di proprietà dell'erario bensì interamente della società che dispone del congegno del gioco, anche per la parte corrispondente all'importo da versare a titolo di prelievo unico erariale. Questo perché la giocata genera un ricavo di impresa sul quale è calcolato l'importo che deve corrispondersi a titolo di debito tributario.

Ai fini della risoluzione della questione posta, l'ordinanza di rimessione segnalava l'esigenza di chiarire la qualificazione soggettiva del gestore degli apparecchi, considerato che la sent. n. 14697/2019 delle Sezioni Unite Civili sembrava escludere che l'esercizio del gioco d'azzardo da parte dello Stato fosse un pubblico servizio.

Pertanto, al di fuori dell'ipotesi di sussistenza del ruolo di agente contabile, potrebbe non ricorrere la qualifica di incaricato di un pubblico servizio, necessaria per configurare quale peculato l'appropriazione di cosa altrui.

Le soluzioni giuridiche

Secondo le Sezioni Unite Penali in commento, che hanno aderito all'orientamento giurisprudenziale maggioritario che qualifica il concessionario quale agente contabile, riconoscendo la natura pubblica delle somme raccolte dalle giocate, vanno tenuti distinti due diversi profili, cioè quello riguardante la proprietà delle somme incassate (di cui gran parte destinata al pagamento del Preu) e quello relativo all'obbligo di versamento del Preu quale tributo.

La soluzione prescelta poggia sulla considerazione che non è dubitabile che tutti i proventi del gioco presenti negli apparecchi, al netto del denaro restituito quale vincita agli scommettitori, appartengano all'Amministrazione: secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili (n. 13330/2010, 14891/2010), la società concessionaria riveste la qualifica di agente della riscossione tenuto al versamento di quanto riscosso e, dunque, al conto giudiziale degli introiti complessivamente derivanti dalla gestione telematica del gioco lecito, compreso il compenso del concessionario.

Negli stessi termini sono intervenute le Sezioni Unite Civili (n. 14697/2019), secondo cui non v'è contrasto tra l'essere il concessionario soggetto passivo d'imposta rispetto al Preu e l'essere gli incassi del gioco di proprietà pubblica: il regime fiscale previsto dal legislatore non incide sull'obbligo del concessionario di assicurare la contabilizzazione delle somme giocate, delle vincite e del Preu.

La natura tributaria dell'imposta e la qualificazione del concessionario come soggetto passivo d'imposta operano limitatamente al rapporto di natura tributaria, senza incidere sulla funzione di agente della riscossione di denaro pubblico: la soluzione prospettata dalle Sezioni Unite Civili è in linea con la costante giurisprudenza contabile, per la quale il Preu è un'entrata erariale qualificabile come tale ab origine, piuttosto che come un ordinario tributo rispetto al quale il concessionario non poteva assumere il ruolo di agente contabile ma solo quello di soggetto passivo di imposta.

In altri termini, il Preu è denaro pubblico ed appartiene all'erario non tanto in ragione della sua provenienza (privata) ma in forza del titolo di legittimazione alla giocata che rende lecito un gioco d'azzardo altrimenti vietato.

Il privato concessionario gestisce in via esclusiva un'attività propria dell'Amministrazione, rientrante nell'ambito di un monopolio legale, esercitandone i medesimi poteri pubblici.

L'orientamento minoritario, che ritiene che gli incassi degli apparecchi rappresentino “ricavi” dell'attività imprenditoriale svolta dalla concessionaria, non può essere condiviso perché, secondo la decisione qui in commento, l'attività dalla quale provengono gli incassi fa sì che questi siano pubblici. È da condividere dunque l'orientamento che non qualifica quale peculato il mancato pagamento del Preu quale imposta, bensì l'indebita appropriazione dell'intero incasso prelevato dagli apparecchi di cui una maggior parte, ma non il tutto, destinata al pagamento del Preu.

Il concessionario di rete è responsabile del reato di peculato lì dove si appropri degli incassi (anche) per la parte destinata al Preu, perché si tratta di denaro pubblico che egli gestisce in veste formale di agente contabile indipendentemente dalla ulteriore considerazione se, nella gestione del gioco lecito, svolga un pubblico servizio.

In definitiva, non può dubitarsi che il concessionario svolga in regime di concessione un pubblico servizio.

Per quanto riguarda il gestore, lo stesso non riveste in proprio il ruolo di agente contabile, perché tale ruolo risulta attribuito al concessionario; nonostante ciò, nei casi in cui abbia la gestione degli incassi - come nel caso di specie- trovandosi a detenere nomine alieno il denaro per ragioni del suo pubblico servizio, il gestore riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio.

In definitiva, la condotta del gestore o dell'esercente di appropriazione degli incassi degli apparecchi da gioco, in quanto denaro altrui del quale ha il possesso per ragioni del suo ufficio di incaricato di pubblico servizio, è da qualificare come peculato.

Osservazioni

La sentenza in commento risulta, in linea di massima, condivisibile.

La giurisprudenza di legittimità qualifica da tempo il rapporto di imposta come di natura pubblica, sia nella fase di imposizione, sia in quella della riscossione: tale natura non muta anche quando l'esazione del tributo venga delegata ad un privato, perché con tale delega il privato acquista la qualità di pubblico ufficiale in virtù della funzione attribuitagli (Cass. pen., n. 1631/1997).

Nonostante ciò v'è da dire che, con riguardo al caso di specie, essendo il peculato un delitto la cui integrazione non richiede il superamento di soglie di rilevanza dell'impossessamento (essendo integrabile anche con l'appropriazione di beni diversi dal denaro), non si pongono particolari problemi in ordine alla quantificazione:

  • della base imponibile del tributo oggetto di impossessamento;
  • dell'imposta dovuta;
  • dell'imposta non versata;
  • della determinazione dell'imposta dovuta in base al periodo d'imposta.

Difatti, nel caso oggetto di decisione, il gestore si era impossessato, indistintamente, di tutto il denaro transitato negli apparecchi per il gioco lecito, denaro costituito dal Preu, dal canone di concessione e dal deposito cauzionale dovuto alla competente Amministrazione e, come risulta evidente, dalla parte di compenso spettante al gestore e al concessionario.

Segnatamente, il denaro immesso negli apparecchi da gioco è costituito, in parte, da:

  1. Preu, cioè un'imposta;
  2. aggio della riscossione, cioè un tributo di scopo, previsto per la copertura dei costi della riscossione;
  3. compenso-remunerazione dei soggetti coinvolti nella gestione, cioè ricavo ex art. 85, Tuir.

Pare opportuno ricordare che le somme destinate alla remunerazione della filiera economica in commento devono essere assoggettate a tassazione, da parte degli stessi attori della filiera, ai fini delle imposte dirette e dell'Irap. Esse rappresentano infatti i ricavi derivanti dall'esercizio di attività d'impresa, quest'ultima avente ad oggetto l'importazione, l'acquisto, la gestione e la messa in esercizio delle macchine, nonché raccolta delle relative giocate.

Ciò che integra il delitto di peculato non può che essere, in definitiva, l'impossessamento di quella parte del denaro immesso nell'apparecchio da gioco relativo a somme qualificabili come tributo, che nel caso del gioco lecito e a differenza di un'attività imprenditoriale “ordinaria”, il collettore di tale denaro deve riversare all'Amministrazione finanziaria non già in ottemperanza ad un'obbligazione tributaria bensì in virtù di un obbligo, di natura pubblicistica, di riscossore per conto dell'Amministrazione stessa: incassare il Preu per conto di terzi, com'è evidente, è attività diversa dall'incassare denaro spettante a titolo di compensi, cioè di ricavi, per l'attività svolta.

Il mancato riversamento del primo, previo impossessamento, integra il delitto di peculato, mentre “l'impossessamento” del proprio o dell'altrui compenso non può avere rilevanza ai fini dell'art. 314, c.p. (cfr. Mancato riversamento del PREU: la posizione del gestore di una “sala slot”, risposta a quesito del 6 settembre 2019, Jacopo Lorenzi, IlTributario.it).

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