Giudizio di ottemperanza ed effettività della tutela del credito vantato

Antonella Lucarelli
16 Marzo 2021

Il giudizio di ottemperanza, nell'ambito del processo tributario, deve garantire l'effettiva realizzazione del diritto riconosciuto al contribuente mediante la sentenza di annullamento dell'atto impugnato. Non può considerarsi sufficiente l'invio, da parte dell'ente impositore, della comunicazione, all'ente della riscossione, del rimborso degli importi non dovuti. Il credito deve trovare effettivo e concreto soddisfacimento mediante la restituzione delle somme pagate in corso di causa, sulla base di un atto, poi, dichiarato illegittimo in sentenza.
Massima

Il giudizio di ottemperanza, nell'ambito del processo tributario, deve garantire l'effettiva realizzazione del diritto riconosciuto al contribuente mediante la sentenza di annullamento dell'atto impugnato. Non può considerarsi sufficiente l'invio, da parte dell'ente impositore, della comunicazione, all'ente della riscossione, del rimborso degli importi non dovuti.

Il credito deve trovare effettivo e concreto soddisfacimento mediante la restituzione delle somme pagate in corso di causa, sulla base di un atto, poi, dichiarato illegittimo in sentenza.

Il caso

Una società ha impugnato una cartella di pagamento emessa dall'Agenzia Entrate Riscossione (AeR), su passaggio a ruolo ex art. 54-bis, d.P.R. 633/1972 dell'Agenzia delle Entrate (AdE). La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) adita, dopo aver dichiarato cessata la materia del contendere in relazione alle somme già sgravate dalla competente Direzione Provinciale dell'AdE, ha annullato, anche per la restante parte, la cartella impugnata, facendo, così, sorgere il diritto al rimborso dell'eccedenza relativa al pagamento del tributo che la società aveva effettuato in pendenza del processo. Detta sentenza è stata appellata dall'Ufficio, senza richiesta di sospensione dell'esecutività ex art. 52, comma 2, D.Lgs. 546/1992. Nel suo ricorso per l'ottemperanza, la società ha evidenziato come l'AeR, pur avendo riconosciuto lo sgravio operato dall'AdE, e per il quale è stata dichiarata cessata la materia del contendere, non abbia, nel termine di cui all'art. 69, comma 4, D.Lgs. 546/92, adempiuto spontaneamente al dettato complessivo della sentenza, provvedendo al rimborso di quanto versato ed ancora illecitamente trattenuto.

L'AdE, nelle sue osservazioni formulate in ossequio al disposto di cui all'art. 70, comma 5, D.Lgs. 546/92, ha evidenziato di aver provveduto ad effettuare lo sgravio, come per altro ammesso anche dalla società, e di averlo comunicato all'AeR per la corresponsione del relativo rimborso. Dando, così, esecuzione alla sentenza di primo grado. L'AdE ha, infatti, precisato che le somme iscritte a ruolo, ove riconosciute indebite, sono rimborsate dall'AeR con le modalità di cui all'art. 26, commi 1 e 1-bis, del D.Lgs. 13 aprile 1999, n. 112.

La questione

La questione ha origine dall'impugnazione di una cartella di pagamento emessa dall'AeR a seguito dell'iscrizione a ruolo disposta dall'AdE. In pendenza di giudizio, l'ente impositore ha provveduto ad effettuare uno sgravio parziale della cartella. Conseguentemente, il giudizio di primo grado si è concluso con una pronuncia di cessata materia del contendere in relazione alla parte sgravata, mentre per la parte ancora in essere i primi giudici hanno accolto il ricorso. La sentenza, così emessa, è stata oggetto di impugnazione da parte dell'Ufficio solo in relazione al capo riferito agli importi non sgravati.

Con lo spirare del termine di cui all'art. 69, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992, non avendo, la Società, ricevuto il rimborso ad essa spettante, ha proposto ricorso per l'ottemperanza della sentenza della CTP.

I giudici aditi, dopo aver valutato le osservazioni prodotte dall'Ufficio, lo hanno ritenuto inadempiente ed hanno accolto il ricorso.

Proponibilità del ricorso per l'ottemperanza

Con la sentenza in commento i giudici lombardi hanno ritenuto che il mancato adempimento spontaneo della sentenza o, comunque, la sua elusione nel termine dei 90 giorni previsto al comma 4 dell'art. 69, D.Lgs. n. 546/92, comporti l'ammissibilità del giudizio di ottemperanza, che ha come fine quello di garantire l'effettivo soddisfacimento del credito in capo alla parte contribuente. Né può, secondo gli stessi giudici, ritenersi sufficiente la mera comunicazione effettuata all'ente della riscossione da parte dell'ente impositore. La sentenza, però, non contiene specifiche prescrizioni da eseguire e non contiene una espressa condanna dell'Amministrazione Finanziaria alla restituzione delle somme versate in corso di causa. Dunque, il ricorso per l'ottemperanza sembrerebbe precluso. Tuttavia, i giudici aditi lo hanno ritenuto ammissibile in ossequio all'esigenza di dare concreta attuazione al diritto di credito del contribuente, anche in virtù dell'abolizione dell'inciso iniziale dell'art. 70 D.Lgs. n. 546/92, ad opera del D.Lgs. n. 156/2015, che ha determinato il sottrarre alla cognizione del giudice ordinario l'esecuzione forzata delle sentenze emesse dal giudice tributario.

La soluzione giuridica

La soluzione giuridica a cui è pervenuta la CTR Lombardia appare in contrasto con l'orientamento di legittimità. In relazione al giudizio tributario di ottemperanza, la Cassazione lo ha ritenuto, inammissibile se la decisione, resa in sede cognitiva, non contenga specifiche prescrizioni da eseguire, atteso che il giudice dell'ottemperanza non può attribuire alle parti nuovi ed ulteriori diritti rispetto a quelli riconosciuti in sentenza, ma solo enucleare e precisare gli obblighi che derivano dalla stessa (Cass. Ordinanza 4/9/2020, n. 18418 e Cass. sentenza 21/06/2019, n. 16735).

Inoltre, sempre secondo la Cassazione, nel processo tributario il giudizio di ottemperanza non è esperibile per dare attuazione alle sentenze di annullamento di un atto che, avendo effetti caducatori, sono “autoesecutive”.

Conseguentemente, il giudice dell'ottemperanza, di fronte ad una sentenza di annullamento di una cartella esattoriale, non potrebbe ordinare alla concessionaria della riscossione di pagare l'ammontare indicato nella cartella (Cfr. Cass., 6/12/2018, n. 31601; e Cass. 12/04/2019, n. 10299), né all'ente impositore di effettuare uno sgravio.

Orbene, la pronuncia di merito qui in commento, segna un punto di rottura con l'orientamento di legittimità ora enucleato e compie un passo avanti a vantaggio della tutela creditoria.

Infatti, proprio in virtù della necessità di dare concreta attuazione al diritto di credito del contribuente, la CTR Lombardia, ha disposto l'obbligo dell'Amministrazione Finanziaria di ottemperare al dettato di una sentenza che, pur senza condannare espressamente l'Amministrazione Finanziaria al rimborso, aveva, però, dichiarato illegittimo l'atto impugnato evidenziando, in qualche modo, l'illiceità del comportamento dell'Ufficio di trattenere indebitamente somme non di sua spettanza.

La decisione rappresenta una importante tappa di avvicinamento al riconoscimento dell'effettività della tutela del credito del contribuente, il quale, oggi, può trovare tutela solo nel giudizio di ottemperanza.

Infatti, con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 156/2015, è stato abolito l'inciso iniziale dell'art. 70 del D.Lgs. 546/92, con la conseguente sottrazione alla cognizione del giudice ordinario dell'esecuzione forzata delle sentenze emesse dal giudice tributario.

Soluzione criticabile se si considera che si sono private le decisioni tributarie contenenti la condanna al pagamento di somme a favore del contribuente della qualità già ad esse normativamente riconosciuta di “titolo esecutivo” e che è stata sottratta al giudice ordinario la giurisdizione in merito all'esecuzione forzata riguardante siffatte sentenze allargando, quindi, una sorta di “immunità” non solo ad ogni ente impositore ma anche a tutti gli agenti della riscossione. Per altro, non sembra neppure infondata una questione di incostituzionalità sollevabile con riguardo all'art. 9, comma 1°, lett. ii) del d.lgs. n. 156/2015 con cui si è abolito l'inciso iniziale dell'art. 70 del d.lgs. n. 546/1992 - “salvo quanto previsto dalle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo” - per contrasto con l'art. 76 della Carta Costituzionale, poiché la legge delega non ne prevedeva la soppressione, nonché, per violazione degli artt. 3, 24 e 113 della Carta per essere stati indeboliti, anziché rafforzati, gli strumenti di tutela esecutiva in favore del contribuente così come previsto dall'art. 10, comma 1°, lettera b), della legge delega 11 marzo 2014, n. 23 e per aver violato il principio di eguaglianza e di ragionevolezza. Orbene, la conformazione dell'Amministrazione Finanziaria alle decisioni dei giudici tributari è - o dovrebbe essere, stante il principio di legalità dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97 Cost. - spontanea. Tuttavia, poiché spesso, ciò non avviene, il contribuente si trova nella necessità di dover “convincere” la propria controparte processuale della bontà del proprio diritto ed ottenere quindi tutela dalla inerzia della stessa.

Quindi, la ratio di mutuare nel processo tributario lo strumento amministrativo del giudizio di ottemperanza è stata proprio quella di garantire la posizione del cittadino-contribuente. Una garanzia che si presenta come “parentesi amministrativa nell'attività giurisdizionale”, posto che si tratta di un procedimento appartenente alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario nel quale questi dispone di un potere di indagine particolarmente penetrante che coinvolge il modus operandi dell'Amministrazione e la conseguente attività esercitata, fino a consentire l'esercizio di veri e propri poteri sostitutivi ovvero la nomina di un commissario ad acta.

In assenza della possibilità di ricorrere al giudice ordinario, il giudizio di ottemperanza è ora l'unico strumento processuale a disposizione del contribuente. Prima delle modifiche operate dal citato d.lgs. n. 156/2015, l'esperibilità del procedimento in parola era consentita soltanto nel caso in cui la sentenza fosse coperta dal giudicato. Ciò, evidentemente, fu avvertito come elemento di ingiustificata discriminazione della posizione e degli interessi delle parte privata rispetto a quella degli enti impositori e degli agenti della riscossione, ai quali, come detto, è accordata da sempre la potestà di riscossione, sia pure frazionatamente per alcuni tributi e di porre in esecuzione i propri crediti, quali risultanti da una sentenza non definitiva. Tale disparità di trattamento era, peraltro, accentuata dalla considerazione che, sebbene l'art. 69 prevedesse la possibilità di ricorrere anche all'esecuzione forzata processual-civilistica, anche questa facoltà fosse subordinata al previo passaggio in giudicato della sentenza da eseguire.

Il legislatore, con la novella di cui al d.lgs. n. 156/2015, ha provveduto a superare, quella lacuna del rito tributario, per la quale le sentenze tributarie fossero immediatamente esecutive, soltanto se favorevoli all'Ente impositore mentre il contribuente, sia pure vittorioso nei primi due gradi di giudizio, doveva attendere il grado di legittimità ovvero il passaggio in giudicato della sentenza, per vedersi erogare il rimborso di cui ne era stato acclarato il diritto. Il legislatore delegato, con l'introduzione dell'art. 67-bis, l'abrogazione dell'art. 69-bis e la modifica degli artt. 68, 69 e 70 del d.lgs. n. 546/1992 ha riformato in modo sistematico l'esecuzione delle sentenze tributarie.

Preliminarmente è stato inserito l'art. 67-bis che risponde “alla necessità di introdurre un principio generale che riconosca l'immediata esecutività delle sentenze tributarie emesse dalle Commissioni tributarie provinciali e regionali, al pari di quelle civili e amministrative. Inoltre, con la riscrittura dell'art. 69 e l'abrogazione dell'art. 69-bis, le sentenze emesse dalle Commissioni tributarie nell'ambito dei giudizi aventi ad oggetto dinieghi di rimborso ovvero atti relativi alle operazioni catastali sono provvisoriamente esecutive così come quelle emesse nei giudizi aventi ad oggetto atti impositivi, disciplinate dal comma 2 dell'art. 68. Di fondamentale importanza è, poi, l'integrazione del citato comma, con la previsione che nel caso di mancata esecuzione del rimborso, il contribuente possa richiedere l'ottemperanza, alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.

Orbene, il comma 2° del citato art. 70 precisa che “l'azione è proponibile dopo la scadenza del termine previsto dalla legge per l'adempimento”.

Il comma 4, del precedente art. 69, dispone che “Il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro 90 giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia…”.

Si tratta quindi di un inadempimento qualificato in virtù del citato disposto.

Pertanto non potrà agire in ottemperanza se non sia spirato il termine previsto dalla legge affinché la parte pubblica, sia essa l'ente impositore, l'agente della riscossione o il soggetto iscritto all'albo di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 446/1997, si adegui spontaneamente a quanto disposto in sentenza. Orbene, nella sentenza qui in commento, i giudici, nonostante le osservazioni formulate ex art. 70, c.5, d.lgs. n. 546/1992, dall'ufficio inadempiente, hanno ritenuto ammissibile il ricorso per l'ottemperanza, poiché, in virtù dell'art. 69, d.lgs. 546/92, come novellato dall'art. 9, c.1, lett. gg), d.lgs. n. 156/2015, in attuazione dell'art. 10, c.1, legge delega n. 23/2014, le sentenze di condanna in favore del contribuente “sono immediatamente esecutive”. Il comma 4, dell'art. 69, citato fissa lo spatium adimplendi per l'ufficio soccombente inadempiente nei 90 giorni dalla notifica della sentenza da eseguire, in consonanza al precedente art. 68, c.2, a condizione che non sia dovuta la garanzia disciplinata con decreto MEF 6 febbraio 2017, n. 22, che può essere disposta solo dal giudice.

Ritenuto spirato lo “spatium adimplendi”, è riconosciuta al contribeunte la facoltà di agire per l'ottemperanza. Inoltre, le diverse attività amministrative di “validazione del rimborso”, “disposizione di pagamento”, “dettaglio interrogazione rimborsi” etc., costituiscono atti interni di contabilità dell'Amministrazione Finanziaria che devono consumarsi nei termini dello spatium adimplendi assicurato dalla legge, non essendo di per sè affatto idonei a garantire l'effettiva, completa ed immediata disponibilità delle somme per il creditore procedente.

Osservazioni

In considerazione del venir meno della possibilità di ricorrere all'esecuzione forzata processual-civilistica ed in considerazione della previsione normativa di uno spazio temporale entro cui l'Amministrazione Finanziaria può e deve dare esecuzione alle sentenze e/o mettere in atto i rimborsi comunque spettanti, a parere di chi scrive, la sentenza in commento è un vero e proprio importante riconoscimento della necessità di rendere effettiva la tutela creditoria in capo ai contribuenti.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.