L'interposizione fittizia: il sottile discrimen tra operazioni lecite e onere probatorio

30 Aprile 2021

La possibilità di contestare l'interposizione fittizia, da parte dell'Agenzia delle Entrate, presuppone che quest'ultima fornisca degli elementi precisi e concordanti che facciano ritenere inverosimili, o comunque slegati dalla realtà fattuale, ulteriori e diverse ipotesi interpretative dei fatti o delle operazioni oggetto di contestazione.
Massima

La possibilità di contestare l'interposizione fittizia, da parte dell'Agenzia delle Entrate, presuppone che quest'ultima fornisca degli elementi precisi e concordanti che facciano ritenere inverosimili, o comunque slegati dalla realtà fattuale, ulteriori e diverse ipotesi interpretative dei fatti o delle operazioni oggetto di contestazione.

Il caso

Il caso sottoposto alla Commissione Tributaria provinciale di Udine riguarda il ricorso presentato da una società, nello specifico una S.r.l., e dai coobligati contro gli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate di Udine per l'annualità 2019.

In particolare viene contestato alla società l'interposizione fittizia - ex art. 37, c. 3, d.P.R. 29 marzo 1973, n. 600 - di un'altra società; inoltre l'Ufficio accerta una maggiore imposta Ires, Irpef ed Iva nonché delle ritenute non effettuate a cui si aggiunge la comminata sanzione.

L'Associazione opera dal 2013 nel settore sportivo, in particolare nella pratica agonistica del tennis, a carattere dilettantistico presso l'impianto gestito da una diversa società.

L'Agenzia delle Entrate evidenzia che lo statuto associativo non sarebbe conforme alle clausole formali previste dall'art. 148, c. 8, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dall'art. 4, c. 7, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 relative al divieto di temporaneità della partecipazione dei soci alla vita associativa, nonché al divieto di effettuare prestazioni di servizi a terzi non associati.

Le contestazioni inoltre concernano la scarsa partecipazione della pluralità dei soci alla vita associativa ed alle assemblee annuali rispetto al numero degli associati in violazione quindi al requisito di democraticità, ex art. 148, c. 8, lett. c) del d.P.R. 917/86 ed il conseguimento di proventi per lo svolgimento di attività commerciali, in relazione ai quali la società avrebbe omesso i relativi adempimenti fiscali.

Infine viene contestato un'ingerenza nella gestione associativa ed una riconducibilità dell'effettiva amministrazione dell'associazione all'organizzazione della compagine imprenditoriale della società proprietaria della struttura, tali da far ritenere che le attività solo formalmente siano svolte dall'associazione e che invece si riferiscano, nella sostanza, ad una gestione unitaria della struttura sportiva, facente capo alla suddetta società.

Nel gravame i ricorrenti evidenziano, con particolare riferimento all'ipotesi di ingerenza nella gestione, che per quanto attiene al contratto di utilizzo dell'impianto stipulato la questione rientra nella prassi commerciale e che non sussiste alcune interposizione fittizia anche in conseguenza della tipologia societaria (società di capitali).

Inoltre le prestazioni lavorative a favore dell'associazione rientrano nell'attività svolte per fornire un apporto amministrativo e di consulenza all'associazione, ma non hanno nulla a che vedere con l'interposizione fittizia.

L'Agenzia delle Entrate, ritualmente costituita, ha chiesto il rigetto del ricorso presentato evidenziando che a società ricorrente non ha svolto alcuna contestazione sulla decadenza dal regime fiscale previsto per le associazioni sportive dilettantistiche e all'accertamento del reddito e delle basi imponibili ai fini Ires, Irap, Iva e ritenute e pertanto tali materie esulano dall'oggetto della controversia.


Per quanto attiene al profilo dell'ingerenza amministrativa questa si evidenzierebbe, in primis, dal contenuto del contratto di affitto dell'impianto sportivo e, secondariamente, con riferimento alla gestione amministrativa ordinaria e straordinaria, dalla lettura dei dati e documenti informatici attinti direttamente dal computer in uso all'associazione.

In conclusione quindi le anomalie evidenziate testimonierebbero l'intento elusivo della società di conseguire il massimo vantaggio economico dalla gestione unitaria dell'impianto sportivo, attraverso la minor tassazione dei relativi ricavi, reso possibile attraverso l'illegittimo sfruttamento del regime agevolato previsto per le ASD.

La questione

Nel caso de quo la questione oggetto della pronuncia in analisi, riassunta in precedenza per sommi capi, concerne la verifica sull'effettiva interposizione da parte della società proprietaria dell'impianto sportivo nell'amministrazione della ASD e il conseguente regime fiscale applicabile a quest'ultima società.

Sul punto, la casistica e le pronunce delle varie Commissioni tributarie sono particolarmente significative.

Per un immediato inquadramento della tematica, l'interposizione fittizia consiste in un fenomeno simulatorio soggettivo che ricorre quando vi sia una divergenza tra possesso effettivo di un reddito e titolarità apparente. In altri termini, il soggetto interponente è colui che realizza effettivamente il presupposto d'imposta, mentre il soggetto interposto appare come possessore di reddito (D. De Cillis, La distinzione tra abuso del diritto e interposizione fittizia, in Altalex, 16.12.20).

L'interposizione fittizia nel nostro ordinamento tributario è contemplata dall'art. 37, c. 3, d.P.R. n. 600/73.

Si caratterizza per il fatto che l'accordo tra interposto e interponente non interessa l'amministrazione finanziaria la quale, nonostante sia parte del rapporto obbligatorio di imposta, resta un soggetto terzo.

In ambito tributario quindi, tanto più il prestanome è inerte, partecipando solo nominalmente, tanto più l'interponente risulta il soggetto principale dell'accordo e, quindi, il vero centro di imputazione dei diritti e degli obblighi giuridici di natura fiscale.

L'Agenzia delle Entrate deve dunque acquisire la prova effettiva che si sia realizzato il possesso di redditi per interposta persona e che, conseguentemente, tali redditi siano da imputare all'interponente, anche se risultino formalmente dichiarati dall'interposto.

Tale prova può essere acquisita anche mediante presunzioni, purché le stesse risultino gravi, precise e concordanti.

Con la risposta a interpello n. 89 del 2020, l'Agenzia delle Entrate ha poi fornito chiarimenti in tema di trattamento fiscale dei compensi ritraibili da una società costituita ai fini della riconducibilità in concreto dell'operazione nell'ambito applicativo dell'art. 37, c. 3, d.P.R. 600/73 in tema di interposizione.

La norma citata prevede che - in sede di rettifica o di accertamento d'ufficio - sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona.

In particolare, per quanto poi riguarda le forme d'interposizione attuate mediante il ricorso agli schemi societari occorre evidenziare che, se la presenza di una società non è sufficiente a configurare il fenomeno dell'interposizione, quest'ultima non può tuttavia essere esclusa sulla scorta di soli elementi di tipo formale, laddove la società sia appositamente costituita al fine di assolvere alla mera funzione di centro di imputazione dei proventi derivanti da un'attività sostanzialmente riconducibile alla persona fisica (a cura della Redazione, L'interposizione in ambito fiscale può essere attuata anche mediante una società, in Ipsoa, 09.03.20).

Il profilo da sempre maggiormente controverso della predetta disposizione è quello che attiene al suo campo di applicazione; difatti per molto tempo non è stata ammessa l'interpretazione estensiva dell'ambito oggettivo di applicazione della norma che ricomprendesse anche i fenomeni di interposizione reale.

Questa si differenzia dall'interposizione fittizia per il fatto che l'interposto agisce come l'effettivo contraente, assumendosi in proprio i diritti derivanti dal contratto, e obbligandosi a ritrasferirli all'interponente o ad un terzo con un successivo negozio di trasferimento.

Gli effetti dell'interposizione reale sono quindi voluti dal contribuente, in quanto tale figura giuridica viene utilizzata solamente per conseguire vantaggi fiscali indebiti.

La Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. trib., 29.07.16, n. 15830), invece, ha ricompreso nell'ambito di tale norma anche i casi di interposizione reale.

La disposizione contenuta nell'art. 37, c.3, del d.P.R. n. 600/73 andrebbe, pertanto, riferita non soltanto alle ipotesi tradizionali d'interposizione fittizia ma anche ai casi d'interposizione reale, sempreché il soggetto interposto rivesta una funzione eminentemente passiva, di mero intestatario del cespite produttivo, assolvendo la prevalente finalità di occultare il suo effettivo titolare.

Il discrimine per verificare l'applicabilità o meno della previsione normativa in argomento non andrebbe, quindi, secondo questa lettura, individuato nella partecipazione o meno del terzo all'accordo simulatorio quanto, piuttosto, nel ruolo e nelle funzioni in concreto rivestiti dall'interposto (A. Merola, Interposizione fittizia: problemi fiscali, 17.01.21).

Un successivo punto di grande rilievo, che ha interessato anche la giurisprudenza di legittimità, è la sostanziale differenza tra l'interposizione fittizia e l'abuso del diritto.

L'elusione è aggiramento delle disposizioni fiscali, le quali vengono utilizzate per un fine distorto, diverso dalla loro ratio. Trattasi, quindi, di abuso del diritto, poiché la norma tributaria viene rispettata, ma per un fine diverso da quello che le è proprio.

In particolare, l'art. 10-bis L. 27 luglio 2000, n. 212 indica gli elementi utili a qualificare un'operazione come elusiva, quale l'assenza di una sostanza economica in quanto l'operazione è inidonea a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali, il formale rispetto delle norme fiscali e la realizzazione di vantaggi fiscali indebiti poiché in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario.

La distinzione non è solamente manualistica o dottrinale.

L'interposizione fittizia è riconducibile all'area dell'evasione, perpetrata dal titolare effettivo del reddito, imputato fittiziamente ad un altro soggetto (F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Parte generale, Torino, 2020; S. La Rosa, Principi di diritto tributario, Bologna, 2020), mentre l'elusione può consistere in ipotesi di interposizione reale.

Questa si verifica quando il soggetto interposto è effettivo titolare del reddito e nei suoi confronti si realizzano gli effetti previsti dalle norme tributarie; in sostanza egli funge da schermo per il conseguimento di un vantaggio fiscale che, diversamente, non si realizzerebbe in capo all'interponente (G. Palumbo, La distinzione tra evasione ed elusione fiscale, in IlTributario, 06.09.17). La differenza è altresì riscontrabile nella circostanza che nell'interposizione fittizia non si vuole la produzione di alcun effetto nei confronti del soggetto interposto, mentre nell'interposizione reale l'operazione è voluta e strutturata per conseguire un vantaggio fiscale.

Infine per quanto concerne le modalità di accertamento, nell'interposizione fittizia i redditi vengono direttamente imputati, ai sensi dell'art. 37, c. 3, D.P.R. n. 600/73 al soggetto interponente mentre le fattispecie elusive sono inopponibili all'Amministrazione (P. Ceroli, Abuso del diritto o elusione, in IlTributario, 30.09.17).

Esaminati gli aspetti del primo punto, su cui poi si ritornerà in sede di conclusioni, appare ora necessario soffermarsi brevemente sul regime fiscale delle ASD.

Dal punto di vista normativo, le tipologie soggettive che operano nello sport dilettantistico sono delineate dall'art. 90 L. 27 dicembre del 2002 n. 289.

L'associazione sportiva dilettantistica è un ente non profit che ha, quale finalità prevalente, il soddisfacimento diretto di bisogni socialmente rilevanti, rispetto a cui lo scopo di conseguire un utile costituisce soltanto una finalità secondaria, strumentale al raggiungimento della prima.

Le ASD sono associazioni istituitili sia in forma riconosciuta che non riconosciuta, che si adoperano per lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica, pratica di per sé priva di finalità economico-utilitaristiche e, di conseguenza, conforme alle finalità perseguibili da un'associazione.

Le associazioni sportive dilettantistiche sono sottoposte alla normativa civilistica comune a tutte le associazioni, salvo ulteriori disposizioni speciali che consentono loro di essere inquadrate come sportivo-dilettantistiche e dunque di fruire delle numerose agevolazioni fiscali previste dal nostro ordinamento.

Tali associazioni godono quindi di una gestione non solo amministrativa, ma anche contabile, semplificata (non è richiesta, ad esempio una forma particolare per l'atto costitutivo).

Sotto il profilo contabile, le ASD devono predisporre un rendiconto economico-finanziario, lasciando allo statuto la libertà di stabilirne le modalità.

Così come precisato dall'art. 73, c.1, lett. c) d.P.R. n. 917/86, le associazioni sportive dilettantistiche rientrano in particolare nella categoria di enti non commerciali che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di un'attività commerciale. Per quanto riguarda la determinazione della base imponibile Ires, come delineato dall'art. 143, cc 1 e 2, T.U.I.R., il calcolo del reddito complessivo viene effettuato come per le persone fisiche, e quindi considerando i redditi fondiari, i redditi di capitale, quelli d'impresa e infine i redditi diversi.

Tali associazioni non devono tenere le scritture contabili per quanto riguarda l'attività istituzionale svolta, così come delineato dall'art. 13 d.P.R. n. 600/73. Devono invece necessariamente essere tenute, nel caso l'associazione svolga attività di natura commerciale che si sostanzia nello svolgimento di un'attività d'impresa e con la realizzazione di ricavi che non possono essere considerati istituzionali. Quindi l'associazione, stando a quel che enuncia l'art. 144 T.U.I.R., deve, quale ente non commerciale per l'attività commerciale messa in atto, tenere obbligatoriamente la contabilità separata. Inoltre, rientrando nella categoria di ente non commerciale, le associazioni sportive dilettantistiche possono scegliere tra uno dei quattro diversi tipi di regimi contabili a disposizione, rilevanti ai fini fiscali.

Tra questi si riscontra il regime ordinario, semplificato, forfettario ex art. 145 T.U.I.R. e agevolato forfettario disciplinato dalla L. 16 dicembre 19991, n. 398.

Si evince quindi come il legislatore, nelle varie modifiche intercorse, abbia voluto riconoscere alle ASD, in ragione del loro peculiare fine, la possibilità di scegliere un regime fiscale agevolato che tenga conto delle molteplici sfaccettature che caratterizzano tali associazioni.

La soluzione giuridica

Basandosi sull'analisi del testo normativo - l'art. 37, c. 3, d.P.R. 600/73 - emerge che l'Agenzia delle Entrate, “in sede di rettifica o di accertamento, imputi al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l'effettivo possessore per interposta persona”.

Come in precedenza esposto sono tuttavia spetta all'Agenzia fornire la prova di tale interposizione mediante elementi gravi, precisi e concordanti. Si tratta quindi di un onere probatorio che non si può basare su meri indizi o presunzioni, ma deve trovare un riscontro effettivo nella realtà fattuale.

Orbene, con riferimento al caso in esame, la Commissione Tributaria evidenzia che nelle maiposte a base della ingerenza all'attività dell'ASD, vi sono normali richieste di alcuni soggetti, facente parte della compagine societaria della società, di disporre pagamenti a terzi, che comunque avrebbero fatto anche se il servizio di consulenza contabile, amministrativa e finanziaria fosse stato affidato ad uno studio di professionisti.

Sempre su tale scambio di mail, che secondo l'Agenzia costituiscono la prova dell'effettiva interposizione, si rileva che l'unica attività che potrebbe destare un sospetto è la sollecitazione, da parte del soggetto apicale della società proprietaria dell'impianto sportivo, alla formazione del bilancio preventivo e al controllo dei costi. Adempimenti per altro previsti dallo statuto dell'ASD e che possono essere spiegati dalla volontà del socio fondatore dell'associazione di evitare la formazione di perdite a tutela degli associati e dei terzi e che l'associazione fosse ben organizzata al fine di evitare costi inutili.

Inoltre, dall'esame del bilancio, si evince che la perdita dell'associazione è da considerarsi reale.

Infatti la differenza tra l'ammontare dei costi del bilancio, approvati dall'assemblea dell'associazione, rispetto a quelli determinati dai verificatori è dovuta alla diversa metodologia di contabilizzazione.

L' ASD ha considerato costi tutte le uscite finanziarie e quelle che, pur non essendo state ancora pagate, risultavano di competenza del 2014, mentre i verificatori invece hanno considerato solo i costi documentati dalle fatture con data 2014 e da costi risultanti da elementi certi, precisi e documentati determinando così una differenza in termini di coti di competenza ed Iva sugli acquisti.

Infine con riferimento al contratto di utilizzo dell'impianto, che prevede un canone fisso ed un canone variabile, tale atto non porta alcun contributo alla tesi dell'Agenzia, perché nel 2014 non risulta sia stato corrisposto un corrispettivo variabile, mentre dai verbali del consiglio risulta che le opere migliorative previste dal contratto erano state eseguite dalla società proprietaria.

Ecco quindi che, dagli elementi esposti in precedenza, si evince come l'Agenzia delle Entrate non abbia rispettato il necessario onere probatorio richiesto dalla norma e dalla giurisprudenza di legittimità, potendo ben rientrare quanto contestato nella sfera della normale (e legittima) amministrazione della società.

La Commissione tributaria ha quindi dichiarato non luogo a provvedere sul ricorso presentato dall'ASD mentre ha accolto il ricorso, quindi annullato, l'avviso di accertamento impugnato dalla società proprietaria dei campi da tennis.

Osservazioni

La sentenza oggetto del presente commento mutua dei principi cardine, già trattati dalla giurisprudenza di legittimità.

Con particolare riferimento all'interposizione fittizia, la Corte di Cassazione ha già da diversi anni ritenuto che: “In tema di accertamento tributario, la disciplina antielusiva dell'interposizione, prevista ai sensi dell'art. 37, comma 3, d.P.R. n. 600/1973, non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l'applicazione del regime fiscale”. (Cass. civ., sez. trib., 04.06.20, n. 10561).

Sempre la giurisprudenza di legittimità ha poi dato una lettura anche in chiave antielusiva della medesima disposizione, osservando come la norma avrebbe evidenti finalità antielusive, nel senso che mira a impedire che attraverso operazioni commerciali compiute mediante negozi giuridici conformi all'ordinamento giuridico si realizzi lo scopo di sottrarre alla corretta tassazione, in tutto od in parte, il reddito prodotto ed imputabile al medesimo soggetto giuridico (Cass. civ., sez. trib., 10.06.11, n. 12788).

La Corte, in tema di onere probatorio, ha ritenuto che l'apporto probatorio necessario, al fine di ritenere operante il fenomeno dell'interposizione fittizia, debba discendere da elementi precisi e concordanti che quindi non lascino spazio, o quantomeno rendano alquanto improbabile, una diversa interpretazione dei fatti.

I giudici di legittimità hanno avuto più volte la possibilità di esprimersi proprio con riferimento a tale ultimo punto affermando che: “In tema di controllo delle dichiarazioni, ex art. 37 del d.P.R. n. 600 del 1973, è valido l'accertamento con il quale il fisco imputa al contribuente i redditi che siano formalmente di un soggetto interposto, quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, risulti che il contribuente ne sia l'effettivo titolare, senza che si debba distinguere tra interposizione fittizia o reale”(Cass.civ., sez. trib., 30.10.18, n. 27625).

In definitiva quindi la giurisprudenza della Cassazione, in tema di art. 37 D.P.R. 600/73, attribuisce oggettiva rilevanza agli elementi indiziari valorizzati dall'Amministrazione, ritenendo tuttavia che tra tali elementi vi deve essere anche un indizio espressivo della conoscenza da parte del donante circa la strumentalità dell'utilizzo dell'istituto della donazione (Cass. civ., sez. trib., 09.10.15, n. 20250).

Ed anche con riferimento alla prova nel processo penale la Suprema Corte ha chiarito che: ”Il reato di trasferimento fraudolento di valori si realizza attraverso l'attribuzione ad altri di denaro, beni o altre utilità - suscettibili di confisca a titolo di misura di prevenzione patrimoniale - in base a una vicenda negoziale con effetti traslativi che soltanto all'apparenza faccia acquisire a terzi la titolarità o la disponibilità del bene, in realtà rimasto nel patrimonio e sotto il controllo del soggetto apparente cedente e il delitto può sussistere anche in relazione a un'attività economica in corso, nel senso che il reato può configurarsi non solo con riferimento al momento iniziale dell'impresa, ma anche in una fase successiva, allorquando in un'impresa o società, sorta in modo lecito, si inserisca un terzo quale socio occulto, che, attraverso lo schema dell'interposizione fittizia, persegua le finalità illecite previste dalla norma. In questa prospettiva, ai fini della configurabilità del reato, sotto il profilo materiale, non è sufficiente l'accertamento della mera disponibilità del bene da parte di chi non ne risulti formalmente titolare, ma occorre la prova, sia pure indiziaria, della provenienza delle risorse economiche impiegate per il suo acquisto da parte del soggetto che intenda eludere l'applicazione di misure di prevenzione. Mentre, da punto di vista soggettivo, occorre la dimostrazione del dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale in capo a tutti i concorrenti del reato; tale scopo assumendo un duplice significato: da un lato, riferito all'intenzione dell'agente di provocare un evento lesivo, dall'altro, riferito all'oggettiva idoneità dell'azione a produrre tale risultato” (Cass. pen., sez. VI, 22.10.19, n. 18125).

In conclusione quindi, alla luce del tenore letterale dell'art. 37 d.P.R. 600/73 e della giurisprudenza di legittimità sussisterà l'ipotesi di interposizione fittizia tutte le volte in cui, sulla base di elementi precisi e concordanti, l'Agenzia evidenzi delle operazioni commerciali compiute mediante negozi giuridici conformi all'ordinamento giuridico, ma realizzate al solo scopo di sottrarre alla corretta tassazione, in tutto od in parte, il reddito prodotto ed imputabile al medesimo soggetto giuridico.

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