Locazione e Covid 19: la ripartizione del rischio tra le parti del rapporto
04 Maggio 2021
Massima
Va respinta la richiesta di ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., con salvezza delle eccezioni, attesa la notoria incidenza degli effetti dell'emergenza sanitaria sulle attività economiche, particolarmente per le zone turistiche. Ciò a seguito della riduzione dell'attività e della presenza di turisti: circostanze, queste, da considerare imprevedibili e straordinarie in quanto hanno alterato il rapporto tra le prestazioni contrattuali regolate dalle parti al momento della stipula del contratto. Sul punto, deve tenersi conto degli artt. 1175, 1375, 1374 c.c. nonché del comma 6 dell'art. 3 del d.l. n. 6/2020, nel testo vigente, con riferimento agli artt. 1218, 1223, 1623 c.c. Il caso
In relazione alla richiesta di ordinanza ex art. 665 c.p.c., viene affrontata l'incidenza - rispetto alla stessa e salva la successiva decisione nel merito a seguito di mutamento del rito - degli effetti dell'emergenza sanitaria da diffusione del Covid-19. In questa sede, ancorché sommaria, la decisione in commento valorizza gli obblighi di cui agli articoli del codice civile:art. 1175 relativi all'esecuzione in buona fede delle obbligazioni; art. 1375 di esecuzione in buona fede del contratto; art. 1374 anche per le conseguenze che ne derivano dagli artt. 1218 e 1223, in tema di responsabilità di fatto del debitore e risarcimento, con riferimento anche all'art. 1623 in tema di affitto rispetto alle modifiche sopravvenute. Alla luce di questi rilievi viene negata l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. di rilascio con riserva delle eccezioni. La questione
Seppure nell'àmbito del procedimento speciale di sfratto per morosità e nella fase sommaria di valutazione dell'ammissibilità o meno dell'ordinanza provvisoria di rilascio, la decisione affronta la questione, di particolare attualità, dell'incidenza e delle conseguenze dell'emergenza sanitaria da Covid-19 che tra il 2020 e, allo stato, inizio 2021, ha colpito il Paese. Ciò in relazione ad un contratto di locazione ad uso diverso. Le soluzioni giuridiche
L'ordinanza che qui si commenta - si ripete - è relativa alla sola fase sommaria ex art. 665 c.p.c. È evidente, tuttavia, che le indicazioni date e che dovranno essere rivalutate ed approfondite nella successiva fase di merito, danno già una indicazione forte rispetto alla definitiva soluzione del problema. Nel caso di specie (ed a differenza di altri provvedimenti che di seguito, per compiutezza di trattazione, considereremo), il Tribunale di Firenze valorizza le seguenti disposizioni codicistiche: l'art. 1175 c.c. quale obbligo di correttezza nell'adempimento delle obbligazioni a cui le parti devono attenersi; l'art. 1375 c.c. relativo alla buona fede nella esecuzione del contratto, sempre quale obbligo di riferimento per le parti; l'art. 1374 c.c. per il quale l'adempimento del contratto è integrato con le conseguenze che dallo stesso ne derivano; gli artt. 1218 e 1223 c.c. come richiamati dal d.l.n. 6/2020, comma 6-bis dell'art. 3 in tema di responsabilità del debitore per danni. Ciò salva la prova della sua incolpevolezza. Sul punto, viene anche ulteriormente valorizzato, con estensione analogica, l'art. 1623 c.c. in tema di affitto, relativamente alle modifiche sopravvenute del rapporto contrattuale a seguito di provvedimenti dell'autorità. Sulla base di tali riferimenti normativi, veniva rigettata l'ordinanza ex art. 665 c.p.c. rimettendo, quindi, ogni decisione al merito, salvo il preventivo obbligatorio esperimento della mediazione (attesa la materia trattata), ancorché di ciò non venga dato atto nel provvedimento. Da ricordare, sul punto, che la mediazione ex d.lgs.n. 28/2010 è prevista quale condizione di procedibilità anche ai sensi dell'art. 6-ter del d.l. n. 6/2020 come introdotto dal d.l.n. 28/2020, convertito con la l. 70/2020. Osservazioni
La decisione si limita ai riferimenti normativi lì indicati, non richiamando le altre disposizioni del codice civile in tema di sopravvenienze che, al contrario e sin dall'inizio, sono stati proposti nei vari ed altri contenziosi (eccessiva onerosità sopravvenuta, impossibilità totale o parziale di cui agli artt. 1467, 1463 e 1464 c.c.). Giova, quindi, fare riferimento ai diversi richiami da parte di altri provvedimenti in relazione all'aspetto che ci occupa. A seguito dell'emergenza sanitaria da Covid-19, infatti, sono stati molti i contenziosi rispetto agli obblighi di pagamento del canone. Ciò sul presupposto che la particolare situazione venutasi a creare per l'impossibilità o la forte riduzione delle attività economiche, doveva giustificare ed ammettere l'esclusione o la riduzione del pagamento del canone. Situazioni tutte che hanno trovato fondamento negli aspetti normativi quali quelli del provvedimento qui esaminato ma anche rispetto a numerosi altri. Il riferimento all'art. 1218 c.c., per esempio, è stato considerato dall'ordinanza del Tribunale di Bologna resa il 11 maggio 2020 a seguito di ricorso ex art. 700 c.p.c. Con lo stesso si chiedeva, per ovvi motivi di urgenza ed irreparabilità, venisse ordinato alla banca garante di non adempiere all'obbligo fideiussorio per il pagamento, a seguito dell'attivazione della garanzia. Ciò in relazione ai canoni maturati e non corrisposti, per impossibilità dovuta alla crisi dell'attività da pandemia. Sul punto, il provvedimento così si esprime: «Nonostante la carenza allo stato di approfondimenti in dottrina (salvo alcune prime embrionali riflessioni) e la carenza di noti precedenti editi e nonostante qualche incertezza nella stessa formulazione della norma di nuovissimo conio (che tuttavia può verosimilmente assumersi applicabile anche ai rapporti negoziali tra privati non apparendo dirimente la rubrica della norma (“Disposizioni in materia ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall'attuazione di misure di contenimento e di anticipazione del prezzo in materia di contratti pubblici”, la cui seconda parte sembrerebbe riferita al solo comma 2 dell'art. 91), si deve osservare, innanzitutto, come sia allo stato incerto se in forza di tale disposizione le conseguenze dell'attuale emergenza sanitaria sul sistema produttivo assumano rilevanza in termini generali ed astratti, oppure, come parrebbe dalla lettera della disposizione, soltanto per gli specifici effetti del rispetto delle misure di contenimento (c.d. factum principis). Secondo il suo tenore strettamente letterale, la disposizione parrebbe in effetti avere riguardo non a una generica impossibilità di adempimento in conseguenza della pandemia, ma alla sopravvenuta impossibilità del debitore di adempiere a causa delle restrizioni su di lui gravanti in quanto impostegli dall'autorità e al riguardo nel caso di specie l'attrice ha espressamente escluso che le dette misure ne abbiano sospeso l'attività». Il provvedimento, alla cui lettura ci si riporta, approfondendo il tema esaminato arriva a concludere: «In buona sostanza, se il legislatore avesse voluto attribuire ai debitori una moratoria, generalizzata a discapito degli interessi creditori, assumendo che l'attuale emergenza sanitaria legittimi una dilazione dei termini di pagamento per ogni debitore comunque interessato, anche in via indiretta, dalle attuali misure di contenimento e che ne soffra le indubbie conseguenze in termini di riduzione del fatturato, lo avrebbe stabilito espressamente». Ne conseguiva il rigetto del ricorso d'urgenza. Il Tribunale di Roma, sempre nell'àmbito di un ricorso ex art. 700 c.p.c. - ove si rilevava che, a seguito della crisi generata dalla pandemia, si era sospesa l'attività per cui si chiedeva la sospensione dei pagamenti e l'inibizione di azioni dirette al recupero e all'escussione della fideiussione - con ordinanza del 29 maggio 2020 evidenziava: “Il richiamo alle disposizioni di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., pur suggestivo e pur se variamente declinato in dottrina, non persuade”. Al contrario, il provvedimento considera: “La soluzione alla questione risiede, ad avviso di questo giudicante, in una applicazione combinata sia dell'art. 1256 c.c. (norma generale in materia di obbligazione) che dell'art. 1464 c.c. (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive). Nel caso di specie, ricorre difatti una (del tutto peculiare) ipotesi di impossibilità della prestazione della resistente allo stesso tempo parziale (perché la prestazione della resistente è divenuta impossibile quanto all'obbligo di consentire all'affittuario, nei locali aziendali, l'esercizio del diritto a svolgere attività di vendita al dettaglio, ma è rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso dei locali, e quindi nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci) e temporanea (perché l'inutilizzabilità del ramo di azienda per la vendita al dettaglio è stata ab origine limitata nel tempo, per poi venir meno dal 18 maggio 2020). La conseguenze di tale vicenda sul contratto - ferma la circostanza che, come già osservato, alcuna delle parti ha manifestato la volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale - non sono dunque né solamente quelle della impossibilità totale temporanea (che comporterebbe il completo venir meno del correlato obbligo di corrispondere la controprestazione: spunti in tal senso in Cass. 9816/2009) né quelle della impossibilità parziale definitiva (che determinerebbe, ex art. 1464, una riduzione parimenti definitiva del canone): trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita (nel senso di porre nuovamente a disposizione della ricorrente un ramo di azienda utilizzabile secondo la destinazione di luogo di vendita al dettaglio prevista dal regolamento contrattuale, come poi accaduto a far data dal 18 maggio 2020). In conclusione, si ritiene che avendo la resistente potuto eseguire (pur senza colpa, ma per factum principis) dall'11 marzo al 18 maggio 2020 una prestazione solo parzialmente conforme al regolamento contrattuale, la ricorrente abbia diritto ex art. 1464 c.c. ad una riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale, riduzione da operarsi, nella sua determinazione quantitativa, avuto riguardo: a) alla sopravvissuta possibilità di utilizzazione del ramo di azienda nella più limitata funzione di ricovero delle merci, correlata al diritto di uso dei locali; b) al fatto che è il ramo di azienda è pur sempre rimasto nella materiale disponibilità della ricorrente”. Sulla base di tali argomentazioni, viene revocata la misura che era stata concessa inaudita altera parte e rigettato il ricorso. Con altra ordinanza del 4 giugno 2020, il Tribunale di Bologna, mixando le diverse norme di riferimento, accoglie il ricorso d'urgenza, inibendo di incassare e sottoporre a protesto cambiali rilasciate a pagamento di canoni. Nel caso, viene valorizzato l'art. 1218 c.c. esteso anche agli obblighi di pagamento con la conseguenza che, il richiamo dell'art. 3, comma 6-ter, del d.l.n. 6/2020, determina la giustificazione all'inadempimento (l'estensore si pone, infatti, il problema di stabilire se il pagamento, trattandosi di ricorso d'urgenza, sia prestazione per cui è ammissibile l'impossibilità). Tale aspetto viene combinato con il principio di cui all'art. 1384 c.c. in tema di riduzione della penale e di cui all'art. 1225 c.c. sulla prevedibilità del danno. Gli stessi legittimano il riconoscimento del danno limitatamente a ciò che si poteva prevedere al momento in cui è nata l'obbligazione. Il Tribunale di Pordenone, con ordinanza dell'8 giugno 2020, resa in sede di opposizione alla esecuzione per l'istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, considera che il più volte citato art. 3, comma 6-bis, del d.l.n. 18/2020 “fa riferimento a profili diversi da quelli del pagamento del canone di affitto o di locazione, il cui obbligo ne risulta dunque, semmai, confermato”. Nuovamente, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 27 agosto 2020, sempre in sede di ricorso ex art. 700 c.p.c. con richiesta di inibire l'escussione di fideiussione a garanzia di canone e di riduzione dell'importo mensile, accoglie l'istanza con riduzione del canone. Il punto di partenza della motivazione è quello di rispetto delle convenzioni contrattuali: «Ciò posto, si ritiene che pur in mancanza di clausole di rinegoziazione, i contratti a lungo termine, in applicazione dell'antico brocardo rebus sic stantibus, debbano continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti sino a quando rimangono intatti le condizioni ed i presupposti di cui essi hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio». Tuttavia, «Al contrario, qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)». Vengono anche analizzate le misure previste a sostegno della situazione di emergenza economica verificatasi, ancorché ritenute insufficienti per il riequilibrio del rapporto privatistico. Ne consegue, per arrivare alla decisione assunta, che con riferimento al generale obbligo di buona fede e di solidarietà ex art. 2 Cost., si ritiene esistente in capo alle parti l'obbligo di addivenire a nuove trattative per la rinegoziazione del contratto. Ciò anche sotto il diverso profilo di ritenere la prestazione della locatrice (godimento dell'immobile) di natura parziale e temporanea, il che legittima «l'applicazione del combinato disposto degli artt. 1256 c.c. (norma generale in materia di obbligazioni) e 1464 c.c. (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive)». Altra decisione, è quella del Tribunale di Venezia del 16 novembre 2020, sempre in sede di procedimento ex art. 700 c.p.c. in relazione alla richiesta di inibitoria ad azionare la garanzia fideiussoria per mancato pagamento dei canoni. Nel caso di specie, il periodo considerato da marzo a giugno 2020, rispetto ad un rapporto locativo corrente nella città di Venezia, viene addirittura frazionato nelle diverse fasi generate dalla pandemia. Testualmente: «Per quanto riguarda i mesi di marzo, aprile e maggio 2020, il canone non è dovuto perchè estinguendosi la contro-obbligazione per sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, la prestazione del canone ha perso, con riferimento a quei mesi, la sua giustificazione causale», precisando che «Non occorre scomodare, ora, il generale paradigma del dovere di comportarsi secondo buona fede ex art. 1375 c.c. Infatti, vi è un altro principio ben radicato nel nostro ordinamento civilistico, che, certo, viene in rilievo ancor più in primo piano». Ciò in quanto «Si allude al principio per cui tutti i trasferimenti di ricchezza devono avere una giustificazione causale - lecita e non immorale - nel nostro ordinamento (argomentando ex artt. 1322, comma 2, 1325, n. 2, 2033, 2034, 2035, 2041) e certo ciò vale anche quando la ragione d'essere di una prestazione risiede nel beneficiare nella contro -prestazione dell'altra parte contrattuale, in un rapporto di corrispettività (argomentando ex artt. 1453, 1458, 1463, 1464, 1467 c.c.)». Inoltre, come si anticipava, il frazionamento del periodo considerato - esclusa la legittimità della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta in quanto istanza da formulare con domanda giudiziale non rilevando la diversa forma - porta al riconoscimento del canone per la mensilità di giugno, a seguito della cessazione del c.d. lockdown in quanto: «In questo caso, la prestazione offerta alla società ricorrente non è stata totalmente inutile e, certo, l'apertura all'Italia, prima, e all'Europa, poi, ha aperto nuove aspettative di guadagno. L'interesse creditorio riprendeva a rinvigorirsi, dopo essersi sopito, se solo si veda la vicenda sotto l'angolo prospettico di un operatore economico interessato all'utilizzazione del compendio nella sua oggettività, al di fuori di logiche di massimo guadagno, vista la congiuntura e doveri di solidarietà sociale ex art. 2 Cost. Che come valgono per parte resistente valgono anche per quella ricorrente. Quindi, legittima è la pretesa di parte resistente con riferimento a tale mensilità. Tuttavia, la pretesa va, nel quantum, riconosciuta, in questa sede sommario-cautelare, nell'importo pari ad euro 3,000,00 ovvero alla metà. Infatti, sarebbe inesigibile, secondo un canone di buona fede oggettiva ex art. 1375 c.c., la pretesa creditoria, di parte resistente, per l'intero». Viene valorizzato, quindi, dopo quello riferito all'art. 1463 c.c., l'art. 1375 c.c. relativo all'obbligo di esecuzione di buona fede dei contratti. Ad ulteriore sostegno della conclusione a cui si giunge: «Insomma, il canone va ridotto considerato che è contrario a buona fede oggettiva richiedere il canone a cifra piena in uno scenario economico, a detta degli economisti, vicino soltanto a quello esistente in vicende belliche. Sussistono le previsioni emergenziali a tutela dell'imprenditoria italiana ma, si badi, il credito d'imposta è subordinato al pagamento effettivo del canone (v. Circolare Agenzia delle Entrate del 6 giugno 2020 prodotta da parte ricorrente, in ogni caso, essendo il principio intuitivo), sicché l'interesse alla rimodulazione del quantum è integro e intatto. La riduzione a metà del canone risponde all'esigenza di riequilibrare l'assetto di interessi, in un'ottica di riequilibrio graduale degli interessi in gioco, in uno scenario caratterizzato da fortissime perplessità sui tempi ed entità della ripresa, comunque, all'epoca in fieri. Ovvio e palese è che si sta procedendo in via approssimativa vuoi perché valutazioni ex ante non sono concepibili vista l'eccezionalità e imprevedibilità della situazione vuoi perché, ex post, nessuna delle due parti ha fornito dettagli sulle utilità ricavabili». Ulteriore contributo all'argomento che ci occupa è dato dalla ordinanza del Tribunale di Roma del 16 dicembre 2020. Il provvedimento affronta il problema sotto un aspetto sino ad ora inesplorato. Si tratta, sulla base di un approfondimento indubbiamente molto articolato, di considerare illegittimi i d.p.c.m. succedutisi nel periodo della pandemia. Si ritiene, secondo attento esame alla cui lettura ci si riporta, che i provvedimenti amministrativi risultano illegittimi perché «hanno imposto la compressione dei diritti fondamentali che oggi viene addotta quale causa eziologica dell'alterato equilibrio del sinallagma contrattuale». Ciò determina - per quanto rilevato da chi vorrebbe porre la situazione pandemica a base per le richieste di esenzione o riduzione e, comunque, di rinegoziazione dei rapporti giuridici interessati dall'evento - che coloro che chiedono l'intervento sui rapporti in corso propongono «non un danno da emergenza sanitaria, ma di un danno da attività provvedimentale che si reputa illegittima, e che la parte non si è attivata in alcun modo per rimuovere e, di conseguenza, eliminarne gli effetti dannosi, che dunque ben avrebbe potuto evitare». Conclude, sul punto, il citato provvedimento, che: «La pretesa invocata con la domanda, dunque, è basata su un presupposto di partenza già di per sé errato, tale da rendere infondata la richiesta». Ma il provvedimento va oltre, demolendo tutte le ipotesi che, sino ad oggi, si sono sostenute per avvalorare il diritto all'intervento sui rapporti in corso. Tali ipotesi vengono tutte analizzate e escluse quali motivi legittimi per la pretesa di rinegoziazione o modifica dei contratti esistenti. Va detto che gli argomenti sostenuti paiono essere tutti fortemente convincenti. Pur rimandando, anche in questo caso, alla lettura del provvedimento, si potrebbero riassumere le argomentazioni svolte come segue: la pandemia non ha il carattere della definitività, né della impossibilità sopravvenuta, è fenomeno temporaneo, non determina la impossibilità di utilizzo dell'immobile che, anzi, continua ad essere occupato. In definitiva, è un evento che va riportato al c.d. rischio di impresa. Ciò risulta altrettanto confermato dai numerosi provvedimenti a tutela delle imprese previsti dalla legislazione emergenziale. Anche su tale aspetto, il provvedimento si sofferma concludendo che: «Anche questi pochi esempi (i provvedimenti a sostegno delle imprese che vengono citati, n.d.r.), ma le ipotesi sono moltissime, confermano la validità di quanto detto in merito alla non ricorribilità agli strumenti ordinari di ripristino del sinallagma contrattuale». A completamento delle varie soluzioni che, allo stato ed in sede ancora sommaria e provvisoria, l'ordinanza oggetto del presente commento e le altre richiamate hanno dato del fenomeno e del suo inquadramento, sta anche una indicazione data dall'Ufficio Massimario della Cassazione con proprio contributo dell'8 luglio 2020 alla cui lettura ci si riporta. Nello stesso, vengono anticipate le soluzioni tutte poi considerate sia in positivo che negativo, dalle diverse decisioni riportate, escluso ogni rilievo alla legittimità dei provvedimenti amministrativi. Come visto dalla rassegna sopra riportata, tuttavia, le indicazioni date dall'Ufficio non hanno avuto particolare successo. In quanto esposto nel provvedimento commentato e negli altri diversi riportati, vengono individuati gli aspetti civilistici nell'ultimo provvedimento romano, anche amministrativi da considerare a favore o contro la possibilità di intervento nell'àmbito dei rapporti contrattuali in corso. Tra questi, al momento, solo l'ordinanza del Tribunale di Roma del 16 dicembre 2020 introduce due ulteriori argomenti che paiono particolarmente utili a dare una soluzione al quesito. Si tratta del rilievo circa la costituzionalità dei d.p.c.m. e della conseguente impossibilità di porre quelle disposizioni a fondamento della pretesa rinegoziazione o modifica dei rapporti. Inoltre, sempre quella decisione, introduce l'altra argomentazione che sino ad oggi non è stata valorizzata da nessuno dei precedenti interventi. Si tratta della valutazione del rischio di impresa come elemento che interviene nel rapporto negoziale. Ciò in uno con la temporaneità della situazione. Due elementi che - a parere di chi scrive - sono assolutamente determinanti per stabilire a carico di quale parte del rapporto debba pesare la situazione conseguente all'emergenza sanitaria. Sul punto, si ricorda che la questione fu da subito sollevata ma mai - come detto - coltivata da alcuno, salva la citata decisione. Riferimenti
Tarantino, Covid-19: diritto alla riduzione del canone di affitto d'azienda per la chiusura delle attività commerciali?, in Condominioelocazione.it, 16 settembre 2020; Scalettaris, Ancora a proposito della rinegoziazione del canone nel caso delle locazioni commerciali, in Condominioelocazione.it, 2 marzo 2021; Tarantino, D.p.cm. illegittimi: il conduttore non può chiedere la rinegoziazione del contratto a causa delle limitazioni imposte dal governo”, in Condominioelocazione.it, 13 gennaio 2021; Kowalski, Affitti, il rischio come discrimine nell'obbligo di pagamento dei canoni, in www.quotidianocondominio.ilsole24ore.com, 10 aprile 2020. |