Se l'infermiere chiama il medico deve visitare il paziente: presupposti e limiti della responsabilità per rifiuto di atto d'ufficio
28 Maggio 2021
Massima
Risponde del delitto di rifiuto di atto d'ufficio il medico che, durante il proprio turno di servizio, richiestone da parte di personale qualificato, quale quello infermieristico, rifiuti di visitare il paziente, a meno che non risulti impegnato in attività di assistenza sanitaria egualmente urgente e indifferibile. Il caso
Con sentenza di primo grado, confermata in appello, il ricorrente, in qualità di medico in servizio presso il reparto ospedaliero di cardiologia, è stato condannato per il delitto di rifiuto di atto d'ufficio, per aver omesso di visitare un paziente ricoverato in reparto a seguito delle richieste in tal senso rivoltegli dal personale infermieristico. In particolare, come emerso dall'istruttoria, l'imputato aveva espressamente rifiutato di visitare il paziente, a fronte della rappresentata esigenza di verificarne lo stato di salute, reiterata da parte degli infermieri, cui il predetto rispondeva di essere impegnato nello studio delle condizioni cliniche del paziente e che le richieste di intervento da parte di quest'ultimo dovevano imputarsi al suo stato confusionale dovuto ai farmaci somministrati. Il paziente era deceduto dopo poche ore. Avverso la sentenza di condanna sono stati proposti quattro motivi di ricorso per Cassazione, denunciando la violazione di legge, in ordine all'art. 328 c.p., sostenendo che la scelta dell'imputato fosse stata legittima espressione di una ragionevole valutazione tecnica, nel rispetto dei protocolli terapeutici. Con il ricorso, la difesa ha inoltre evidenziato che il paziente era stato già visitato nelle ore precedenti, in diverse occasioni, e gli era stata somministrata una terapia idonea a fronte di una diagnosi certa, con monitoraggio dei parametri vitali; il paziente, inoltre, si trovava in uno stato confusionale per via del trattamento farmacologico. L'imputato, nel momento in cui veniva chiamato a visitare il paziente era intento nello studio della sua situazione clinica, onde valutare di procedere a un intervento chirurgico. Infine, allorché le condizioni del paziente erano effettivamente peggiorate, il medico era intervenuto personalmente. Tra gli altri motivi di ricorso, è stata rilevata l'assenza dell'elemento soggettivo doloso, in quanto l'imputato avrebbe agito nella convinzione che la visita del paziente non fosse urgente né indifferibile. La questione
La questione che la Corte di Cassazione è stata chiamata ad affrontare riguarda i presupposti in presenza dei quali il rifiuto espresso dal medico di visitare un paziente possa assumere rilevanza penale ai sensi dell'art. 328 c.p. Si pone, in particolare, il problema si stabilire quali margini di discrezionalità residuino in capo al medico quando la richiesta provenga da personale qualificato, quale quello infermieristico. Ulteriori profili di indagine attengono ai requisiti perché possa ritenersi esclusa tale responsabilità a fronte di una condotta alternativa lecita tenuta dal sanitario, che giustifichi il rifiuto. Le soluzioni giuridiche
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha dichiarato infondati i motivi di ricorso. I giudici di legittimità, in particolare, muovono dal pacifico presupposto del riconoscimento, in capo al medico richiesto di visitare un paziente, di un margine di discrezionalità tecnica in ordine alla indifferibile necessità del proprio intervento, nel cui esercizio il sanitario è chiamato al rispetto delle regole della scienza medica, degli eventuali protocolli esistenti e del canone di ragionevolezza. Viene tuttavia evidenziato, fin dalle prime battute della motivazione, che i confini di tale spatium deliberandi del medico si restringono allorché la richiesta provenga da soggetti qualificati, come nel caso del personale ausiliario infermieristico. Viene in tal senso richiamata la costante giurisprudenza di legittimità che ravvisa, a fronte di una richiesta proveniente da “figure professionali tecnicamente qualificate, quali sono gli infermieri”, un preciso obbligo di procedere a visitare il paziente, con conseguente responsabilità penale in caso di rifiuto od omissione. Tale responsabilità, evidenzia la Corte, non può ritenersi condizionata all'accertamento di un pericolo concreto per il paziente o alla gravità delle sue condizioni di salute, né tantomeno la responsabilità può ritenersi esclusa in ragione dell'assistenza prestata dal personale infermieristico in luogo dell'intervento del medico, quand'anche la patologia da cui sia affetto il paziente non risulti grave e i parametri clinici siano costantemente monitorati. Sulla scorta di tali premesse, condivise dalla giurisprudenza di legittimità, si procede dunque ad esaminare il caso concreto, isolando una serie di indici rilevanti ai fini dell'affermazione di responsabilità dell'imputato: vengono in tal senso valorizzate l'avanzata età del paziente, ultraottantenne, nonché la gravità obiettiva delle condizioni in cui era stato ricoverato, con una storia clinica travagliata, che avevano difatti condotto al decesso del predetto nel volgere di poche ore per una “imponente patologia cardiovascolare”. Viene evidenziato altresì che plurime erano state le sollecitazioni nei confronti dell'imputato, a fronte di un elevato rischio di morte per il paziente, le cui condizioni erano ben note al medico, responsabile del reparto. È stata pertanto ravvisata dalla Corte la sussistenza di “un'oggettiva condizione di urgenza”, tale per cui “l'atto d'ufficio richiesto all'imputato era da lui dovuto, in presenza di una richiesta rivoltagli ripetutamente e da personale provvisto di specifiche cognizioni tecniche”. Con riferimento alla censura difensiva relativa ai pregressi controlli della situazione del paziente da parte di altri medici, è stato inoltre rilevato che la nuova sollecitazione da parte del personale infermieristico, in una situazione in cui il quadro clinico era suscettibile di repentini mutamenti, l'imputato era tenuto ad attivarsi per visitare il paziente, onde verificare l'evoluzione delle sue condizioni di salute, non potendo fare affidamento sulla precedente diagnosi. È stato infine escluso che egli abbia agito nel rispetto di protocolli o disposizioni vigenti presso il reparto o la struttura sanitaria di appartenenza, che ne legittimassero l'operato, e che tantomeno il motivo opposto all'infermiere da parte dell'imputato, che affermava di essere intento a studiare proprio il caso di quel paziente, potesse scriminare la condotta. Viene infatti precisato in sentenza che occorre a tal fine il “compimento di una condotta alternativa a quella rifiutata, ma comunque funzionale alla tutela del medesimo bene giuridico: ovvero l'assistenza sanitaria del malato, che rappresenta nel caso specifico - ai sensi dell'art. 328 c.p. - la ragione di sanità che impone al pubblico agente di attivarsi”. In merito alla condotta alterativa lecita, più nello specifico, la Corte di Cassazione richiede, quale “condizione minima ed essenziale […] che essa si presenti altrettanto funzionale alla tutela del medesimo bene giuridico e, altresì, egualmente urgente ed indifferibile: diversamente, infatti, rimane intatto l'obbligo di tenere la condotta dovuta e, di conseguenza, indebito ne è il rifiuto”. Il ricorso è stato dunque rigettato in ordine alle doglianze afferenti alla legittimità dell'operato dell'imputato, sebbene la sentenza sia stata annullata senza rinvio, con assorbimento degli ulteriori motivi di impugnazione, per intervenuta prescrizione del reato. Osservazioni
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del ricorrente tema delladiscrezionalità del medico nel valutare la necessità del proprio intervento, in relazione alla rilevanza penale del rifiuto, o dell'omissione, da parte di questi, ai sensi dell'art. 328 c.p. La questione si pone spesso tanto nell'ambito delle strutture sanitarie quanto con riferimento alla posizione di garanzia del medico di guardia, allorché ne sia richiesto l'intervento a domicilio. Sul punto, la Corte ha dato seguito all'indirizzo che pone in capo al medico un dovere di attivarsi e di visitare il paziente, valorizzando la posizione di garanzia del sanitario e la natura fondamentale del bene giuridico tutelato in siffatte ipotesi. Deve tuttavia evidenziarsi che tale soluzione affermativa non appare affatto assoluta, in quanto è collegata dalla giurisprudenza di legittimità ad una seriedi indici che consentono di valutare la correttezza e quindi la legittimità della scelta operata dal medico. Il presupposto da cui muove la Corte è infatti quello, in relazione al quale si legge che “non vi può esser dubbio”, dell'esistenza di un margine di discrezionalità tecnica in capo al medico, nel valutare la necessità del proprio intervento. Proprio in merito all'ampiezza di tale margine valutativo si inserisce dunque il tema principale affrontato dalla sentenza, che valorizza la figura professionale del personale infermieristico, riconoscendone il carattere di soggetti qualificati, la cui richiesta determina pertanto un dovere di attivarsi in capo al medico. La Corte non manca tuttavia di affiancare a tale affermazione di principio una serie di considerazioni legate al caso concreto, valorizzando l'età del paziente, la gravità del quadro clinico, l'entità e la natura del rischio corso e l'eventuale concretizzazione di quest'ultimo, nonché la natura e la frequenza dei solleciti rivolti al medico. Ne deriva che la responsabilità ex art. 328 c.p. di quest'ultimo per aver rifiutato od omesso l'attività richiestagli dal personale infermieristico non potrà affermarsi de plano, occorrendo al contrario una valutazione circa la ragionevolezza e correttezza della scelta operata. Tale valutazione dovrà tuttavia essere condotta in concreto, tenendo debitamente conto degli indici predetti, nonché valorizzando la fonte qualificata della richiesta di intervento, in quanto proveniente da soggetti dotati di competenze tecniche, quali gli infermieri.
(Fonte: Il Penalista) |