Pubblica udienza soltanto su istanza di parte: la CTP di Catania solleva questione di legittimità costituzionale

Ignazio Gennaro
03 Giugno 2021

La Commissione tributaria provinciale di Catania ha sollevato dinnanzi alla Consulta questione di legittimità costituzionale degli artt. 32 c. 3 e 33 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell'art. 30 lett. g) n. 1 della legge delega del 30 dicembre 1991 n. 413 (da cui è poi scaturito il d.lgs. 546/1992 – Codice del processo tributario) per violazione degli artt. 101, 111 e 136 della Costituzione.
Massima

La Commissione tributaria provinciale di Catania ha sollevato dinnanzi alla Consulta questione di legittimità costituzionale degli artt. 32 c. 3 e 33 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell'art. 30 lett. g) n. 1 della legge delega del 30 dicembre 1991 n. 413 (da cui è poi scaturito il d.lgs. 546/1992 – Codice del processo tributario) per violazione degli artt. 101, 111 e 136 della Costituzione.

I citati art. 32 e 33 del processo tributario, nella sostanza, riproducono il testo dell' art. 39 d.P.R. n. 636/1972 che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 50 del 1989, ha dichiarato illegittimo nella parte in cui escludeva l'applicabilità dell'art. 128 c.p.c. (il quale dispone la pubblicità delle udienza a pena di nullità) al procedimento davanti alle commissioni tributarie di I e II grado, impedendo così la pubblicità delle udienze.

I Giudici catanesi hanno motivato la propria ordinanza anche richiamando una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, la n. 223 del 22 luglio 1983, con la quale è stato affermato che il legislatore mediante la riproduzione di norme già dichiarate costituzionalmente illegittime non può prolungarne la vita e determinare risultati corrispondenti a quelli ritenuti lesivi della Costituzione.

Il caso

Un contribuente impugnava dinnanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catania una cartella di pagamento notificatagli dall'Agente della riscossione. Nessuna delle parti chiedeva la pubblica udienza e pertanto la controversia veniva trattata in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 33 c. 1 del d.lgs. 546/1992.

La Commissione tributaria adita, ritenendo che la citata norma “…sia in contrasto con gli artt. 101, 111 e 136 della Costituzione” ha pronunciato l'ordinanza in commento con la quale ha sospeso il giudizio ed ha sollevato eccezione di incostituzionalità dichiarando “rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 lettera g) della legge delega 30 dicembre 1992 n. 413 e degli artt. 32 c. 3 e 33 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 in relazione agli artt. 101,111 e 136 della Costituzione …”.

Ha, inoltre, disposto l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale nonchè la notifica dell'ordinanza alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alle parti ed ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

La questione

Ad avviso del Collegio etneo gli artt. 32 c. 2 e 33 c. 1 d.lgs. n. 546/1992 (Codice del processo tributario) i quali rispettivamente dispongono che “nel solo caso di trattazione della controversia in camera di consiglio sono consentite brevi repliche scritte fino a cinque giorni liberi prima” e che la trattazione della controversia avviene “… in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza” farebbero “emergere dubbi di incostituzionalità nella parte in cui subordina alla richiesta di parte la discussione in pubblica udienza” per violazione dei già citati articoli della Costituzione, in quanto “la pubblicità delle udienza tutela l'interesse pubblico di consentire ai cittadini, e quindi al popolo, di conoscere dei procedimenti giudiziari; interesse pubblico di rilevanza costituzionale in quanto diretta espressione del principio di cui all'art. 101 della Costituzione”.

Ad avviso dei remittenti, “in un processo caratterizzato dalla presenza di una parte portatrice di un interesse pubblico si pone il problema della rilevanza ex art. 111 Cost. della completezza del contraddittorio da realizzazione con la previsione dell'udienza di discussione non subordinata alla richiesta di una delle parti”.

Le soluzioni giuridiche

La Commissione territoriale, ha preliminarmente effettuato una ricognizione delle norme che nel tempo si sono avvicendate nella disciplina del processo tributario.

In estrema sintesi: il d.P.R. n. 636/1972, agli artt. 20 e 39, prevedeva la discussione in camera di consiglio con le modalità previste dal codice di procedura civile escludendo però espressamente l'applicabilità dell'art. 128 c.p.c. a mente del quale “l'udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità”.

La Corte Costituzionale con sentenza n. 50/1989 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del citato art. 39 c. 1 nella parte in cui esclude l'applicabilità del citato art. 128 ai giudizi tributari.

La legge delega 30 dicembre 1991 n. 413, all'art. 30 lettera g) n.1, ha indicato, tra i principi che il Governo della Repubblica avrebbe dovuto osservare nell'emanazione dei relativi Decreti legislativi anche quello dell' “adeguamento delle norme del processo tributario alle norme del processo civile ed in particolare quello della trattazione della controversia in camera di consiglio in mancanza di tempestiva richiesta dell'udienza pubblica di trattazione”.

L'art. 33 c.1 del d.lgs. 546/1992 (approvato dal Governo in esecuzione della citata delega) ha previsto che “la controversia è trattata in camera di consiglio salvo che almeno una delle parti non abbia chiesto la discussione in pubblica udienza con apposita istanza”.

L'art. 33, quindi, ordinariamente prevede la trattazione in Camera di consiglio: “si pone, pertanto, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33 che subordina la pubblica udienza ai casi di richiesta di almeno una delle parti e prevede come regime normale la trattazione in camera di consiglio”.

Inoltre, ad avviso del Collegio catanese, l'art. 34 del d.lgs. n. 546/1992 (attuale Codice del processo tributario) “… riproduce esattamente l' artt. 39 del d.P.R. n. 636/1972” e – come detto - l'art. 33 subordina l'udienza pubblica alla espressa richiesta delle parti: da ciò i dubbi di “incostituzionalità”.

La Commissione di prime cure – nel richiamare le sentenze della Corte Costituzionale nn. 73/2013 e 245/2012 – ha argomentato che “il giudicato costituzionale è violato non solo quando il legislatore emana una norma che costituisca una ‘mera riproduzione' di quella già ritenuta lesiva dalla Costituzione ma anche se la nuova disciplina mira a perseguire o raggiungere anche se indirettamente esiti corrispondenti”.

Ha quindi concluso osservando che “la norma di cui al'art. 33 del d.lgs. n. 546/1992 viene a costituire più una mera riproduzione di quella già ritenuta lesiva della costituzione poiché esclude la stessa udienza con riferimento ai processi in cui le parti la pubblica udienza prevista dall'art. 34 non hanno chiesto. Di qui la violazione del giudicato costituzionale”.

Osservazioni

Secondo la Commissione territoriale, la Corte costituzionale con la citata sentenza n. 50 del 16 febbraio 1989 avrebbe enunciato due principi che non sarebbero stati poi osservati dal legislatore delegante con la legge delega 30 dicembre 1991 n. 413 dalla quale è successivamente scaturito il d.lgs. n. 546/1992: “la pubblicità delle udienze può subire eccezioni in relazione a particolari procedimenti quando abbiano dette eccezioni obiettiva e razionale giustificazione”; ed inoltre “… la posizione del contribuente non è esclusivamente personale e non è tutelabile dal segreto”.

Tale tema – si legge nell'Ordinanza di remissione – “in un processo caratterizzato dalla presenza di una parte portatrice di un interesse pubblico pone il problema della rilevanza ex art. 111 della Costituzione della completezza del contraddittorio, da realizzare con la previsione dell'udienza di discussione non subordinata alla richiesta dell'Ufficio”.

La Pubblica Amministrazione (ovvero gli enti impositori) sono titolari di concreti interessi pubblici: “la disponibilità del diritto è dunque il principio su cui si fonda la facoltà della parte privata di non resistere, disponibilità che non si ha da parte della pubblica amministrazione alla quale sono affidati dalla legge pubblici interessi”.

Pertanto, “In quest'ottica emergono dubbi di costituzionalità dell'art. 33 del d.lgs. n. 546/1992 nella parte in cui subordina alle richieste di parte la discussione in pubblica udienza”. I Giudici etnei oltre ad esaminare il “profilo soggettivo (la tutela delle parti), nella logica del giusto processo” si sono spinti anche ad esaminare il profilo oggettivo della questione affermando “l'esigenza che sia prevista la più ampia partecipazione delle parti ai fini dell'integrale attuazione del principio costituzionale” che consenta “alle parti private di rimettersi in tutto o in parte alla decisione del giudice ”.

Riferimenti giurisprudenziali

L'art. 39 c. 1 del d.P.R. n. 636/1972 (“Revisione della disciplina del contenzioso tributario”) disponeva – per quanto qui di interesse - che “all'udienza il relatore espone i fatti e le questioni della controversia alla presenza delle parti al procedimento dinnanzi alle Commissioni tributaria si applicano le norme del Codice di procedura civile con esclusione dell'art. 128 codice di procedura civile.

Quest'ultima norma del processo civile a sua volta prevede che “l'udienza in cui si discute la causa è pubblica a pena di nullità”. La Corte Costituzionale con sentenza n. 50/1989 ha dichiarato che “l'art. 39 comma 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nella parte in cui, escludendo l'applicabilità dell'art. 128 c.p.c. al procedimento davanti alle commissioni tributarie di I e II grado, impedisce la pubblicità delle udienze, è incostituzionale, per violazione dell'art. 101 comma 1 Cost., inteso ad assicurare il controllo dell'opinione su tutte le manifestazioni della sovranità statale”.

L'art. 34 del d.lgs. 546/1992 (Codice del processo tributario vigente) nella sostanza, riproduce il testo del citato art. 39 d.P.R. n. 636/72: “all'udienza pubblica il relatore espone al Collegio i fatti e le questioni della controversia e quindi il presidente ammette le parti alla discussione” ma l'art. 33 del d.lgs. n. 546/1992 subordina l'udienza pubblica alla richiesta di almeno una delle parti in mancanza della quale è prevista la trattazione camerale: da qui i dubbi sulla legittimità costituzionale.

Il Giudice delle leggi, con sentenza n. 223 del 19 luglio 1983 ha statuito che “Il legislatore ordinario non può, mediante la riproduzione (ancorché in via nominalmente provvisoria) di norme già dichiarate costituzionalmente illegittime, prolungarne la vita e determinare risultati corrispondenti a quelli ritenuti lesivi della costituzione le norme dichiarate incostituzionali non possono essere fatte rivivere, sia pure temporaneamente, dal legislatore, il quale non può disporre che tali norme conservino la loro efficacia, nè può perseguire o raggiungere, anche indirettamente, esiti corrispondenti a quelli ritenuti lesivi della Costituzione …”.

I Magistrati della Consulta affrontando la questione della pubblicità delle udienze delle Commissioni tributarie hanno affermato che “ritenendosi nel passato anche dalla giurisprudenza che le dette commissioni avessero natura amministrativa; peraltro, essendo ormai la giurisprudenza consolidata nel senso della natura giurisdizionale delle dette commissioni occorre un intervento legislativo che adegui il processo tributario alle esigenze di pubblicità della funzione giurisdizionale” (Corte Costituzionale n. 212/1986).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.