Il principio di proporzionalità “europeo” come chiave di lettura delle sanzioni IVA. Un ulteriore step di indagine da parte della Corte di Giustizia

Gabriele Damascelli
11 Giugno 2021

Con la sentenza del 15 aprile 2021 nella causa C-935/19, la Corte di Giustizia, intervenendo nuovamente sull'applicazione del principio di proporzionalità, qui declinato al raggiungimento di un bilanciamento tra interesse erariale alla riscossione e tutela del contribuente, ha riscontrato la violazione del principio in parola in una normativa che applichi una sanzione tributaria in modo automatico a carico di colui che abbia erroneamente qualificato un'operazione esente da IVA come invece operazione soggetta all'imposta, e ciò a “prescindere” da indizi di frode e di perdite di gettito fiscale per l'Erario.
Massima

Con la sentenza del 15 aprile 2021 nella causa C-935/19, la Corte di Giustizia, intervenendo nuovamente sull'applicazione del principio di proporzionalità, qui declinato al raggiungimento di un bilanciamento tra interesse erariale alla riscossione e tutela del contribuente, ha riscontrato la violazione del principio in parola in una normativa che applichi una sanzione tributaria in modo automatico a carico di colui che abbia erroneamente qualificato un'operazione esente da IVA come invece operazione soggetta all'imposta, e ciò a “prescindere” da indizi di frode e di perdite di gettito fiscale per l'Erario.

Il caso

Il caso ha ad oggetto una società polacca che ha acquistato un bene immobile, il cui atto notarile di acquisto riportava un importo lordo comprensivo dell'IVA a seguito della fattura del cedente comprensiva dell'imposta.

La cessionaria ha considerato l'IVA versata a monte come detraibile e, in sede di presentazione della dichiarazione IVA all'Amministrazione finanziaria, rilevando un'eccedenza di IVA, ne ha chiesto il relativo rimborso.

In sede di controllo, il Fisco polacco, rilevando in base alla legge nazionale l'esenzione IVA della cessione in oggetto, ha contestato la detrazione dell'imposta da parte della cessionaria, nei confronti della quale, nonostante la successiva rettifica in diminuzione della propria dichiarazione fiscale in considerazione delle irregolarità constatate, è stata inflitta una sanzione pari al 20% dell'importo del rimborso dell'IVA richiesto indebitamente, “semplicemente” perché indicato in misura maggiore del dovuto.

Investito del ricorso, il giudice del rinvio ha osservato che l'errore commesso dalla società cessionaria non aveva comportato alcuna perdita di gettito fiscale e, ritenendo che la sanzione irrogata avesse un carattere repressivo piuttosto che preventivo in quanto non teneva altresì conto della natura e della gravità dell'infrazione, ha rinviato alla Corte UE al fine di verificare la conformità della legge polacca, in tema di sanzioni, ai principi di proporzionalità e di neutralità dell'IVA.

La questione

La Corte è stata così investita del quesito se l'articolo 273 della direttiva IVA, nonché i principi di proporzionalità e di neutralità dell'IVA, fossero ostativi ad una normativa nazionale che irrogava ad un soggetto passivo, che avesse erroneamente qualificato un'operazione esente da IVA come soggetta a tale imposta, una sanzione pari al 20% dell'importo del rimborso dell'IVA indebitamente reclamato, senza tenere conto della natura e della gravità dell'irregolarità della dichiarazione fiscale, dell'assenza di indizi di frode e dell'assenza di perdite di gettito fiscale per l'Erario.

Il punto di indagine della Corte, sviluppatosi altresì nel corso degli anni, ha riguardato la perimetrazione del potere sanzionatorio, lasciato nella libera disponibilità dei singoli Stati membri quanto all'ammontare delle sanzioni, in assenza di specifiche disposizioni del diritto dell'UE in materia (in questo caso della Direttiva IVA), provocando l'intervento del giudice europeo per arginare i frequenti casi di violazione del principio di proporzionalità e di neutralità dell'IVA.

Nel caso qui in commento la Corte, pur ribadendo la facoltà degli Stati membri di adottare misure al fine di assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e di evitare le evasioni in ottemperanza dell'articolo 273 della direttiva IVA, calibrando la scelta delle “sanzioni che sembrino loro appropriate in caso di inosservanza delle condizioni previste dalla normativa dell'Unione per l'esercizio del diritto a detrazione dell'IVA” ha ribadito che questi sono comunque tenuti ad osservare il principio di proporzionalità (richiama C‑564/15 punto 59 e C‑712/17 punto 38), “non potendo eccedere quanto necessario al fine di garantire l'esatta riscossione dell'imposta e di evitare la frode”.

La Corte ribadisce, quindi, che la valutazione della “conformità” della sanzione al principio di proporzionalità passa attraverso l'indagine della natura e della gravità dell'infrazione che detta sanzione mira a reprimere, nonché delle modalità di determinazione dell'importo della sanzione stessa.

Preme qui riferire, seppur brevemente, che l'indagine della Corte circa il rispetto del principio di proporzionalità non si limita ai soli tributi armonizzati, bensì sin dall'origine ha interessato, oltre la materia fiscale, anche i principi fondamentali espressi dal Trattato UE e dalla CEDU.

Il principio in questione, codificato dall'attuale articolo 5 c. 4 del TUE, affonda le sue antiche origini nell'epoca monarchica prussiana dell'800, quale mezzo di verifica di idoneità e necessità delle misure di polizia nel Polizeirecht prussiano che non dovevano eccedere quanto necessario alla realizzazione dell'interesse pubblico, ed è distribuito in tre livelli di analisi: nella verifica di idoneità (Geeignetheit), nel controllo di necessità (Erforderlichkeit) ed infine nell'analisi di comparazione (Abwägung o Proportionalität) tra i valori normativamente previsti (per appr. v. anche G. Scaccia, Il principio di proporzionalità, in AA. VV., L'ordinamento europeo. V. I - I princìpi dell'Unione, di S. Mangiameli, Milano 2006, p. 225 e ss.; A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell'Iva europea, Pisa, 2012).

La soluzione giuridica

Se l'origine giurisprudenziale la si può ricollegare al “caso Kreuzberg” del 1882, nel quale una Corte amministrativa prussiana invalidò l'ordinanza di chiusura di uno spaccio alimentare di alcolici privo di licenza, a causa della “eccessività” del provvedimento sanzionatorio e la contestuale mancata ricerca di una sanzione meno grave, ovvero più “idonea e proporzionale”, è, però, soltanto grazie all'incessante attività giurisprudenziale della Corte di Giustizia che il principio è stato sviluppato ed affinato nel tempo, sin dalla sentenza C-8/55, portando ad “espandersi” all'interno dei sistemi giuridici dei singoli Stati membri, anche in campo tributario (v. tra le tante sentenze C-114/76, C-286/94, C-340/95 e C-110/98).

Come correttamente osservato (v. G. Petrillo, Il principio di proporzionalità e diniego di detrazione per "consapevolezza" nelle frodi IVA, Riv. trim. dir. Trib., Torino, 2017, 431), il principio di proporzionalità rappresenta uno strumento fondamentale di garanzia e di bilanciamento fra le diverse finalità ordinamentali, la cui osservanza si impone non solo alle Istituzioni comunitarie, ma anche agli Stati membri e risulta contestualmente riferibile ad un congruo esercizio dei tre poteri dello Stato, sostanziandosi nella ponderazione degli interessi contrapposti e nella preferenza dello strumento minimo ed idoneo a conseguire il risultato richiesto dall'ordinamento giuridico.

Altra dottrina (v. F. Amatucci, I principi della proporzionalità e del ne bis in idem nel sistema sanzionatorio tributario, Dir. prat. trib. Int., Milano, 2017, 415), nel constatare la “poliedricità” del principio in questione, riferisce correttamente che in materia sanzionatoria tributaria il canone di proporzionalità consente di realizzare sia una coerenza del sistema sanzionatorio tributario, che non deve risultare complessivamente squilibrato nella severità per fattispecie o categorie di infrazioni o illeciti comparabili, sia il rispetto di una serie di garanzie e diritti a tutela del contribuente anche sul piano sanzionatorio tributario nazionale, assicurando la necessarietà e l'adeguatezza di alcune misure rispetto al loro fine, attraverso l'individuazione di soglie massime e di limiti oltre i quali la norma sanzionatoria non persegue più lo scopo o la ratio prevista dal legislatore.

Il carattere “immanente” del principio in questione nell'ordinamento europeo, è sottolineato dalla medesima Corte (C-180/96 punti 63 e 96), allorquando afferma che “occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti” (richiama sentenze C-331/88 punto 13 e C-133/93 punto 41; v. anche C-265/87 punto 21 e C-96/03 punto 31).

A riprova di ciò può essere utile riferire dell'analisi condotta dalla Corte nel precedente C-112/00, quale esempio di “sentenza storica” nella giurisprudenza della CGUE (v. “I Grands Arrets nella giurisprudenza dell'Unione europea”, A. Tizzano, Torino, 2012, 162), nel quale i giudici hanno indagato circa il giusto “bilanciamento” tra la libertà di circolazione delle merci, garantita dagli articoli da 26 a 37 del TFUE, e le libertà di espressione e di riunione, garantite dagli articoli 10 e 11 della CEDU.

Lì, brevemente, si trattava di verificare circa la violazione, da parte dello Stato austriaco, della libertà di circolazione delle merci trasportate su camion, a seguito di un'autorizzazione pubblica ad una manifestazione di protesta contro l'inquinamento ambientale svoltasi su un tratto autostradale e protrattasi per la durata di 30 ore circa, con evidente disagio ai trasporti di merci.

La Corte concludeva per la compatibilità con il Trattato CE dell'autorizzazione alla manifestazione, argomentando che, se da un lato la libera circolazione delle merci rappresenta uno dei principi fondamentali nel sistema del Trattato, tuttavia, a talune condizioni, essa può subire restrizioni per le ragioni di cui all'art. 36 del Trattato stesso oppure per i motivi imperativi di interesse generale riconosciuti ai sensi di una costante giurisprudenza della Corte (richiama C-120/78).

Ed ancora, “se i diritti fondamentali di cui si tratta nella causa principale sono espressamente riconosciuti dalla CEDU e rappresentano fondamenti essenziali di una società democratica, risulta tuttavia dalla formulazione stessa del n. 2 degli artt. 10 e 11 di tale convenzione che le libertà di espressione e di riunione sono anch'esse soggette a talune limitazioni giustificate da obiettivi di interesse generale, se tali deroghe sono previste dalla legge, dettate da uno o più scopi legittimi ai sensi delle disposizioni citate e necessarie in una società democratica, cioè giustificate da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionate al fine legittimo perseguito” (richiama C-386/95, C-60/00, nonché CEDU sentenza 23 settembre 1998).

Così, prosegue la Corte, “neppure i diritti alla libertà d'espressione e alla libertà di riunione pacifica garantiti dalla CEDU appaiono come prerogative assolute, ma vanno considerati alla luce della loro funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all'esercizio di tali diritti, a condizione che tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito da tali restrizioni, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa dei diritti tutelati (richiama causa C-62/90, punto 23, e C-404/92, punto 18).

In tali circostanze, sottolinea la Corte, “occorre effettuare un bilanciamento tra gli interessi di cui si tratta ed accertare, con riferimento a tutte le circostanze di ciascuna fattispecie, se sia stato osservato un giusto equilibrio tra tali interessi”; al riguardo “le autorità competenti dispongono di un ampio potere discrezionale. Si deve tuttavia verificare se le restrizioni imposte agli scambi intracomunitari siano proporzionate con riferimento al legittimo obiettivo perseguito, ossia nella fattispecie la tutela dei diritti fondamentali” (in tema v. anche C-120/78 e C-243/01).

In materia IVA la Corte è intervenuta numerose volte, nel corso del tempo, per specificare la corretta applicazione del principio di proporzionalità (in tema di detrazioni, neutralità, ecc.); tra i vari interventi si registrano precedenti anche in tema di corretto bilanciamento del potere sanzionatorio dello Stato membro.

Così, si osserva che il canone del principio di proporzionalità è stato declinato dalla Corte come giusto bilanciamento dei diritti/esigenze in gioco, come nel caso in commento, tra la tutela del contribuente da un lato ed il diritto dell'Erario, “garantito” dall'utilizzo della norma sanzionatoria, dall'altro.

Seguendo questo approccio la Corte, nella sentenza C-935/19, ha osservato che, nonostante lo scopo di una sanzione amministrativa sia di “indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell'imposta” e quindi di assicurare l'esatta riscossione della stessa, tuttavia la sua irrogazione in maniera indifferente (automatica) ad una situazione come quella del procedimento principale, in cui la sopravvalutazione dell'importo dell'eccedenza di IVA risultava da un errore di valutazione commesso dalle parti quanto alla natura imponibile dell'operazione, caratterizzata dall'assenza di indizi di frode e di perdita alcuna di gettito fiscale, non ha consentito all'Erario di individualizzare la sanzione inflitta, al fine di assicurarsi che quest'ultima non ecceda quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell'assicurare l'esatta riscossione dell'imposta e nell'evitare l'evasione.

Le argomentazioni della Corte seguono i suoi numerosi precedenti in materia nei quali è stato ribadito che “in mancanza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati membri restano competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi sono tuttavia tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità” (v. C-157/79 punto 19, C-203/80 punto 27, C-210/91 punto 19, C-286/94 punti 45 e ss, C-213/99 punto 20, C-263/11 punto 44, C-424/12 punto 50, C-259/12 punto 31, C-564/15 punto 69, C-553/16 punto 59, C-482/18).

Da ciò deriva, secondo la Corte, che le sanzioni non debbano eccedere quanto necessario al fine di garantire l'esatta riscossione dell'imposta e di evitare la frode.

Al fine poi di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell'infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle modalità di determinazione dell'importo della sanzione stessa (v. C-95/07, punti da 65 a 67, nonché C-259/12, punto 38).

Il tema del bilanciamento tra i diritti fondamentali previsti dal Trattato è ribadito dalla Corte nel precedente C-210/91 (punto 20), nel quale si evidenzia che le misure amministrative o repressive non devono esulare dai limiti di quanto è strettamente necessario agli obiettivi perseguiti e alle modalità di controllo non devono essere ricollegate sanzioni talmente sproporzionate rispetto alla gravità dell'infrazione da risolversi in un ostacolo alle libertà sancite dal Trattato (v. C-50/76 punto 33, C-203/80 punto 27, C-240/81 punto 17, C-286/82 e C-68/88).

Così, ad esempio, in un caso (C-262/99) di importazione temporanea sul territorio nazionale greco, per le proprie necessità personali e professionali, di veicoli immatricolati in Italia da parte di un professionista ivi residente, il giudice a quo (greco) ha rinviato alla Corte UE per chiedere se fosse compatibile con il principio comunitario di proporzionalità una disposizione interna che imponesse, a titolo di sanzione speciale amministrativa, una multa da uno a cinque milioni di GRD per veicolo, da determinarsi in maniera forfettaria, con l'unico criterio della cilindrata dello stesso, che, tenendo in considerazione anche la vetustà dei medesimi, superava il valore commerciale degli stessi in caso di infrazione al regime d'importazione temporanea stabilito dalla Direttiva.

Il giudice osservava che la norma interna prevedeva sanzioni che potevano arrivare fino ad un multiplo (dieci volte) del valore iniziale di acquisto del bene nello Stato membro, creando così, di fatto, ostacoli alla libera circolazione delle merci e delle persone.

La Corte, dinnanzi ad un'applicazione di fatto “automatica” della sanzione ha argomentato circa la violazione del principio di proporzionalità sostenendo che, “sebbene imperativi di repressione e di prevenzione possano giustificare il fatto che una normativa nazionale imponga sanzioni di una certa severità, non si può escludere che sanzioni stabilite conformemente a regole come quelle applicabili nella causa principale possano rivelarsi sproporzionate e costituire in tal modo un ostacolo alla predetta libertà, in quanto esse implicano ammende fissate in modo forfettario in base al solo criterio della cilindrata del veicolo, senza prendere in considerazione la vetustà dello stesso, e un dazio maggiorato che può arrivare fino al decuplo delle imposte di cui trattasi. Infatti, una sanzione basata sul solo criterio della cilindrata potrebbe risultare sproporzionata rispetto alla gravità dell'infrazione, in particolare nel caso in cui essa venga associata ad un'altra sanzione, elevata, inflitta per la stessa infrazione. Ciò potrebbe valere anche per una sanzione pari ad un multiplo delle imposte di cui trattasi, per esempio al decuplo di queste ultime” (richiama C-210/91, C-36/94 punto 21, C-375/95 punti 19 e 20, C-213/99 punto 20).

Al contrario, nel precedente C-213/99, in cui si discuteva intorno alla corretta applicazione dell'art. 53 del Reg. 2913/92 (CDC), che consentiva all'autorità doganale di vendere le merci per le quali non erano state avviate nei termini fissati le formalità per dare ad esse una destinazione doganale, la Corte ha considerato compatibile con il principio di proporzionalità la pretesa del Fisco portoghese di vendere le merci, senza previa notifica, e di concedere all'importatore di regolarizzare la situazione, ai fini dell'immissione in libera pratica delle merci acquistate, “sanzionandolo” con il pagamento di una maggiorazione pari al 5% del loro valore, oltre alle imposte dovute, a seguito del superamento del termine previsto per il loro sdoganamento (nel senso del superamento del “test di proporzionalità” v. anche C-524/15 punti da 45 a 49).

A fronte di una procedura automatica di messa in vendita delle merci fuori termine o di riscossione di una maggiorazione ad valorem per la regolarizzazione della situazione di tali merci, la Corte, in ossequio a quel bilanciamento prima accennato, ha correttamente ritenuto “proporzionata” la “sanzione” ad valorem imposta ai proprietari delle merci, ritenendo tale “esigenza” soltanto una misura di sicurezza destinata a garantire il pagamento effettivo del dazio corrispondente (richiama C-36/94).

Analogamente alle conclusioni raggiunte in C-213/99, la Corte, nell'ulteriore precedente C-36/94 (punti da 20 a 25), chiamata a pronunciarsi su una questione analoga (maggiorazione del 5% da parte del Fisco portoghese), ha affermato che, in mancanza della maggiorazione prevista, il mancato rispetto delle formalità previste non avrebbe comportato alcuna conseguenza per l'operatore ammesso a regolarizzare la propria situazione dopo il decorso dei termini, dal momento che la sanzione in oggetto serviva a stimolare gli operatori economici affinché si attivassero nei termini previsti ed a penalizzare coloro che, non avendolo fatto, ponevano le autorità doganali in condizione di dover adottare l'extrema ratio della vendita.

Osservazioni

Per concludere, in breve, si osserva che a fronte di una visione “omogenea e coordinata” offerta dalla Corte UE, riguardo l'equilibrio tra la tutela del contribuente ed il giusto interesse fiscale dell'Erario, dal lato interno, di contro, come attentamente osservato in dottrina (M. Fanni, Le sanzioni IVA e le fattispecie (problematiche) caratterizzate dall'assenza di danno erariale, Corr. Trib., 2020, 573 ss.) si è assistito, negli ultimi anni, a plurimi interventi giurisprudenziali e normativi finalizzati a cercare un faticoso equilibrio tra i princìpi imposti dalla Direttiva IVA e dalla normativa UE ed un impianto interno più orientato alla repressione che non alla salvaguardia dei princìpi fondamentali che regolano l'imposta, mediante interventi spesso non coordinati tra loro perché dettati dalla necessità contingente di evitare una procedura d'infrazione o di adeguarsi all'ultima posizione della Corte di Giustizia in contrasto con la normativa interna che regola l'imposta, portando l'autore a parlare, correttamente, di “mancanza di visione di sistema”.