Rumori provenienti dall' oratorio: entro che limite sono consentiti?
16 Giugno 2021
Massima
In tema di immissioni, la necessità di apprestare tutela piena ed effettiva al diritto di godere di un ambiente domestico salubre, ove svolgere le attività realizzatrici della propria persona, va contemperata, da un lato, con il criterio, legale e sussidiario, del preuso dei luoghi e, dall'altro, con la peculiarità delle attività originanti le immissioni medesime, ove esse sottendano non già un'attività di lucro o a soddisfare altre specie di interessi egoistici o individuali o di gruppo, quanto, al contrario, a realizzare, nel segno del principio di sussidiarietà orizzontale, un interesse generale quale l'assistenza sociale, che rientra tra i compiti di spettanza dello Stato pluralista. Il caso
Il cortile di un immobile viene destinato, fin dall'edificazione dello stabile, allo svolgimento delle attività ludico-ricreative di una parrocchia e, in specie, ad area oratoriale; i proprietari dell'immobile confinante si rivolgono, quindi, all'Autorità giudiziaria al fine di ottenere, in via cautelare, un provvedimento limitativo delle attività consentite in loco, lamentando, per effetto dell'intollerabilità delle emissioni acustiche conseguenti alle attività sportive ivi praticate, la violazione dell'art. 844 c.c. Avverso l'ordinanza di accoglimento dell'istanza cautelare, la Parrocchia originaria resistente propone, quindi, reclamo, in parziale accoglimento del quale il Tribunale di Palermo, (a) chiarita la tutelabilità, in via d'urgenza, del diritto alla riconduzione delle immissioni entro il limite della normale tollerabilità e (b) ribadito, altresì, che la domanda di cessazione delle immissioni che superino la normale tollerabilità non vincola necessariamente il giudice ad adottare una misura determinata (ben potendosi ordinare l'attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare la situazione pregiudizievole), (c) detta, infine, un regolamento delle attività praticabili nell'oratorio meno limitativo di quello prescritto dal giudice “primo grado cautelare”, valorizzando, (c.1) oltre al dato della posteriorità dell'edificazione dell'edificio esposto alle immissioni (e, quindi, al preuso dei luoghi), (c.2) la peculiare funzione sociale dell'attività originante le immissioni medesime.
La questione
La questione in esame è la seguente: la funzione sociale della proprietà è in grado di incidere - legittimandole - sulla “normale tollerabilità” delle immissioni? Le soluzioni giuridiche
L'art. 832 c.c. definisce il diritto di proprietà come il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo nel rispetto dei limiti e con l'osservanza degli obblighi imposti dall'ordinamento giuridico: l'attuale definizione legislativa rappresenta l'esito di un lungo percorso evolutivo, nel quale si sono susseguite diverse concezioni del diritto reale di proprietà, dal diritto romano (nel quale la proprietà veniva definita come fundus optimus maximus che rappresentava una situazione giuridica assoluta e inattaccabile) alle codificazioni liberali ottocentesche (che, caratterizzandosi per la tendenziale illimitatezza del diritto di proprietà, guardavano con disfavore ogni peso o limite alla stessa, v., ad esempio, l'art. 29 dello Statuto albertino e l'art. 436 del codice civile del 1865). Il codice del 1942, invece, ha segnato un rilevante cambio di prospettiva, in linea con una mutata visione di Stato, non più “liberale” ma “sociale”: il riferimento all'“assolutezza” viene, così, sostituito con quello della “pienezza” nel rispetto, però, dei limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. Ultima tappa di questo percorso evolutivo è rappresentata dalla Costituzione che non inserisce il diritto di proprietà fra i principi fondamentali (artt. 1-12), ma fra i “rapporti economici” contemplati agli artt. 42-44: si delinea, così, una dimensione sociale della proprietà ricavabile, nello specifico, dall'art. 42, comma 2, Cost. (a mente del quale “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”). È in questa cornice di princìpi che si colloca, dunque, la pronunzia del giudice panormita la quale - pur senza richiamarla espressamente - mostra di ben conoscere (per poi applicarla, sia pure negli ulteriormente specificati termini che saranno infra indicati, ai rapporti tra edifici confinanti all'interno dei centri urbani) una giurisprudenza, granitica e pacifica in ambito condominiale, a mente della quale, nell'applicazione dell'art. 844 c.c., deve aversi riguardo alla peculiarità dei rapporti di vicinato delle case in condominio, nonché alla destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari: sicché, ove il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti - al contempo, abitative e commerciali - il criterio dell'utilità sociale, cui è informata la richiamata disposizione, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 14, 31 e 47 Cost.) le esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali (Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090). Il che, mutatis mutandis - ed a maggior motivo, verrebbe da dire - implica che: (1) ove le sorgenti acustiche provengano, come nella specie, da attività di carattere non lucrativo (quali quelle di assistenza sociale, svolte all'interno di un oratorio), inserite in un contesto di primaria rilevanza costituzionale (art. 38 Cost., argomentando da Cass. civ. sez. II, 23 febbraio 2021, n. 4836) e, per ciò stesso, non automaticamente recessive rispetto alla tutela del diritto alla proprietà, alla salute ed all'ambiente salubre (artt. 42 e 32 Cost.) e (2) tenuto conto che, in ipotesi di conflitto tra interessi entrambi costituzionalmente rilevanti, occorre trovare tra di essi un corretto bilanciamento “con modalità tali da non determinare il sacrificio o la compressione di uno di essi in misura eccessiva e pertanto incompatibile con il dettato costituzionale. Tale giudizio deve svolgersi attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi (...) tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” (v. anche Corte Cost.,20 novembre 2017, n. 241; Trib. Pavia 18 febbraio 2020), non può che conseguirne che, un regolamento troppo restrittivo delle modalità di svolgimento delle attività - “di chiaro interesse sociale”, si legge in motivazione -cagionanti le lamentate immissioni finirebbe per irragionevolmente comprimere uno dei due diritti a vantaggio dell'altro, originando quel diritto “tiranno” che, al contrario, è ciò che la Costituzione deplora (Cass. civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21504; Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8420; Cass. civ., sez., 25 gennaio 2006, n. 1418; v. anche, in termini, Corte Cost., 15 maggio 2013, n. 85, per la quale “tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro (v. sentenza n. 264/2012). Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”). Nella ricerca del corretto bilanciamento degli interessi costituzionalmente rilevanti, attraverso ponderazioni relative alla proporzionalità dei mezzi, tenuto conto delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti (Corte Cost., 20 novembre 2017, n. 241, cit.), il giudice - osserva ancora il Collegio - non è vincolato all'adozione di una misura determinata, ben potendo, in aggiunta alle statuizioni dirette alla rimozione della causa delle immissioni medesime e senza per ciò incorrere nel vizio ultrapetizione, ordinare l'attuazione di quegli accorgimenti che siano concretamente idonei ad eliminare il riprodursi, in futuro, della situazione pregiudizievole (v. Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2017, n. 20553; Cass. civ., sez. VI/II, 17 gennaio 2011, n. 887). Ne consegue l'adozione di un minuzioso regolamento delle attività praticabili nell'oratorio, con l'indicazione puntuale, da parte del collegio, di tempistiche e modalità, oltre che degli accorgimenti tecnici da realizzare (quale, ad esempio, l'innalzamento di reti di contenimento e delimitazioni delle aree di giuoco), compatibili con una “tollerabile” pratica sportiva. Osservazioni
Fra i limiti legali posti nell'interesse dei privati e dei rapporti di vicinato, la disciplina delle immissioni, di cui all'art. 844 c.c., assume rilievo primario: il limite delle immissioni è rappresentato non già dalla normalità dell'esercizio di una determinata attività quanto, piuttosto, dalla normale tollerabilità per chi deve subirla, tenendo conto (a) delle esigenze della produzione e (b) delle condizioni di ambiente (c.d. preuso). Tali principi sono stati ben chiariti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2018, n. 28201), la quale evidenzia che il limite di tollerabilità delle immissioni rumorose non è mai assoluto, ma relativo alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non può prescindere dalla rumorosità di fondo, ossia dalla fascia rumorosa costante, sulla quale vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo), sicché la valutazione diretta a stabilire se i rumori restino compresi o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale, appropriatamente e globalmente considerata. La materia registra una forte tensione con la disciplina pubblicistica di settore (come, ad esempio, quella anti-inquinamento); si è osservato, al riguardo, che il rispetto della legislazione speciale in materia di inquinamento acustico non pregiudica la questione della tollerabilità delle immissioni nei rapporti tra privati: la legislazione speciale, infatti, opera nel capo degli interessi pubblici ed è destinata a regolare i rapporti tra privato e pubblica amministrazione, non già i rapporti tra privati, alla cui disciplina è invece destinato l'art. 844 c.c. Sicché i parametri fissati da tali norme speciali, dirette alla protezione della collettività, pur potendo essere considerati criteri minimali inderogabili, al fine di stabilire l'intollerabilità delle emissioni che li superino, non sono sempre vincolanti per il giudice civile il quale, nei rapporti fra privati, può pervenire ad un giudizio di intollerabilità ex art. 844 c.c. anche quando le immissioni siano contenute nei detti parametri, sulla scorta di un prudente apprezzamento che tenga conto della situazione concreta. Ne consegue, in ultima analisi, che, se il superamento dei limiti pubblicistici rende l'immissione senz'altro illecita, non è sempre vero il contrario (Cass. civ., sez. II, 1 ottobre 2018, n. 23754). Particolarmente avvertita, inoltre, è l'esigenza di fornire una tutela effettiva per risarcire i danni subiti a causa delle immissioni: il dibattito si collega, necessariamente, alla considerazione che l'art. 2059 c.c. permette la risarcibilità di tutti quei danni (non patrimoniali) connessi alla lesione di un diritto garantito a livello costituzionale o sovranazionale. A tal riguardo assumono fondamentale importanza le norme di cui agli artt. 2 e 117 Cost., disposizione, quest'ultima, che veicola nel nostro ordinamento, quali norme interposte, le disposizioni della CEDU (e, in specie, ai fini che in questa sede interessano, l'art. 8). Si registra, rispetto al passato, proprio una maggiore attenzione al diritto al normale svolgimento della vita familiare e alla libera esplicazione della personalità e delle abitudini di vita all'interno della propria abitazione: la giurisprudenza di legittimità ha così chiarito che il danno non patrimoniale conseguente a immissioni illecite è risarcibile indipendentemente dalla sussistenza di un danno biologico documentato, quando sia riferibile alla lesione del diritto al normale svolgimento della vita personale e familiare all'interno di un'abitazione e comunque del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita, trattandosi di diritti costituzionalmente garantiti, la cui tutela è ulteriormente rafforzata dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, norma alla quale il giudice interno è tenuto ad uniformarsi (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2017, n. 2611). Essendo impossibile ricondurre le immissioni alla soglia di normale tollerabilità e non potendo, altresì, far prevalere un diritto sull'altro, il giudice, nel caso di specie e all'esito del bilanciamento, ha individuato una serie di prescrizioni necessarie per lo svolgimento dell'attività ludico-ricreativa all'interno del cortile dell'oratorio.
Riferimenti
Chiesi - Minutillo Turtur, Immissioni e vita in condominio: una difficile convivenza, in Immob. & proprietà, 2020, 429; Chiesi, Le immissioni, in www.condominioelocazioni.it, 2017; Maugeri, Immissioni, in Commentario al codice civile a cura di Gabrielli, Torino, 2012, 519. |