La presunzione di condominialità su un manufatto puo' essere superata con prova dell'uso esclusivo, anche in assenza di titolo contrario

Edoardo Valentino
18 Giugno 2021

Il Tribunale del capoluogo piemontese precisa, con la sentenza in commento, che, al fine di verificare se una colonna di scarico sia parte comune o privata, occorre, oltre a studiare il regolamento condominiale, verificare in concreto la funzione svolta dal manufatto e l'utilizzabilità da parte della generalità dei consociati.
Massima

La colonna di scarico si presume parte comune in forza della c.d. presunzione di condominialità, e tale presunzione, tuttavia, può essere superata mediante prova dell'uso esclusivo del bene da parte di un solo condomino.

Il caso

Una condomina conveniva in giudizio il proprio condominio lamentando l'illegittimità di una delibera condominiale nella quale si conveniva che determinati costi, precedentemente rubricati come comuni, erano invece stati attribuiti alla stessa in via esclusiva.

La vicenda di riferimento, in particolare, cominciava con l'allagamento di un appartamento sito al piano terra della palazzina.

In tale occasione, il perito dell'assicurazione condominiale attribuiva la responsabilità del sinistro alla colonna di scarico sita nel muro perimetrale del condominio, la quale sarebbe stata sovente soggetta ad intasamenti in quanto sottomisura per svolgere la funzione di colonna di scarico della cucina della condomina.

Alcuni costi del sinistro, quindi, venivano corrisposti dalla compagnia di assicurazione, mentre le somme relative all'ammodernamento del manufatto restavano esclusi dal risarcimento.

Proprio questi costi, inizialmente, venivano ripartiti su tutti i condomini.

Solo in sede di assemblea, invece, il condominio - identificando la colonna di scarico come di uso esclusivo della condomina - rifiutava il pagamento dei suddetti costi e invitava invece la proprietaria a farsene carico.

Alla luce di tale decisione, quindi, la proprietaria agiva in giudizio avverso il condominio sostenendo come il manufatto in oggetto fosse di natura condominiale e, conseguentemente, tutti i relativi costi avrebbero dovuto essere suddivisi sulla generalità dei condomini.

Si costituiva in giudizio il condominio negando la ricostruzione attorea e anzi sottolineando come il manufatto in questione fosse da considerarsi come un bene privato della proprietaria.

A sostegno di questa tesi, il condominio affermava come tutti i restanti proprietari avessero la cucina sul lato opposto della casa, e che la conduttura condominiale fosse appunto sita su detto lato del palazzo.

L'unica condomina ad utilizzare la conduttura responsabile degli allagamenti, quindi, era proprio l'attrice, non essendo ipotizzabile neanche astrattamente un uso generale del bene.

Ribatteva, a tale argomentazione, la condomina, affermando come nel regolamento non vi fosse alcuna indicazione di tale esclusività della colonna di scarico, mentre - al contrario - le fognature e tubazioni erano indicate come parti comuni.

Non vi era, quindi, titolo contrario che permettesse di superare la presunzione di condominialità prevista dall'art. 1117 c.c.

Il giudice, quindi, si trova a decidere in merito alla proprietà della citata condotta.

La dichiarazione di proprietà comune o esclusiva, chiaramente, comporta il diverso riparto delle conseguenze dei danni cagionati dal manufatto e delle spese di rifacimento e manutenzione.

La questione

Vige, in condominio, il principio della c.d. presunzione di condominialità. L'elenco, non tassativo, dei beni comuni del condominio, infatti, è cristallizzato dall'art. 1117 c.c., che prevede che siano necessariamente condominiali: “1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche”. La norma, in buona sostanza, specifica che - fino a prova contraria - tutti i beni elencati sono necessari per l'esistenza stessa del condominio e, quindi, necessariamente comuni.

L'inciso precedente, tuttavia, chiarisce che esiste la possibilità di fornire prova contraria rispetto alla condominialità dei beni superando così la c.d. presunzione di condominialità.

A tal fine, è necessario, per la parte che ne invoca il superamento, fornire prova che il bene non è funzionalmente e ontologicamente condominiale in quanto asservito unicamente ad un condomino (o più specifici condomini) e non potrebbe neanche astrattamente essere utilizzato dalla generalità dei proprietari.

Sul punto il citato art. 1117 c.c. specifica che tale prova contraria deve essere sostenuta da un “titoloossia risultare documentata su valido titolo registrato nei pubblici registri immobiliari.

La giurisprudenza ha avuto modo di affermare sul tema che “la presunzione di proprietà condominiale del lastrico solare di copertura avrebbe potuto essere vinta solo con la dimostrazione di un titolo di acquisto originario successivo alla venuta ad esistenza del lastrico medesimo ovvero di un titolo proveniente da colui che aveva costituito il condominio resistente, contenente la prima alienazione di una porzione di esso a soggetti diversi dai proprietari delle singole unità immobiliari o, infine, proveniente in epoca successiva da tutti i condomini” (Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1999, n. 1568), che “per quanto appare accertato nei gradi di merito, di impianto fognario posto in rapporto di accessorietà con una pluralità di edifici costituiti in distinti condomini, giacchè oggettivamente e stabilmente destinato all'uso od al godimento di tutti i fabbricati. Rispetto a tale impianto trova comunque applicazione la disciplina specifica del condominio, anzichè quella generale della comunione, e perciò opera la presunzione legale di condominialità” (Cass. civ.,sez. II, 4 febbraio 2021, n. 2623) e in definitiva che “in base all'art. 1117 c.c., l'estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all'edificio in cui ha sede il condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del condominio stesso, qualificando espressamente tale bene come ad esso appartenente negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il condominio risulta costituito” (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2012, n. 8012).

La dottrina, parimenti, si è interrogata sulla presunzione di condominialità e sul suo superamento, affermando che,con riferimento alle parti necessarie dell'edificio, il dato normativo subordina la presunzione di comunione al loro essere ‘necessarie all'uso comune' dell'edificio e non al loro essere suscettibili di uso indifferenziato da parte della collettività condominiale, ma a patto che la frammentazione non assuma caratteri tali da comportare uno snaturamento della forma giuridica oggetto di presunzione, la quale, per opinione comune, costituisce, pur con le sue peculiarità, derivazione del generale istituto della comunione dei beni, che ha quale nota indefettibile la possibilità per i comunisti di concorrere in modo equilibrato nel godimento dalla cosa comune” (Cappai).

Le soluzioni giuridiche

Il giudice monocratico piemontese, nel decidere la questione in oggetto, prendeva in analisi non solo la situazione del condominio, ma svolgeva un'analisi temporale delle vicende del palazzo e dell'appartamento attoreo.

Dalle analisi tecniche realizzate risultava come al momento della costituzione del condominio la conduttura non fosse esistente.

Il dante causa della condomina, che era un medico, aveva adibito l'appartamento a studio professionale e aveva fatto istallare un piccolo lavabo per lavare le mani tra un paziente e l'altro.

Tale conduttura, di ridottissime dimensioni, era poi stata dalla condomina trasformata in una conduttura per il deflusso dell'acqua della cucina, a seguito di trasformazione del locale.

Secondo il Tribunale di Torino, quindi, tale operazione aveva comportato la creazione di un manufatto di uso esclusivo della condomina e del tutto avulso dal condominio, con conseguente superamento della presunzione di condominialità.

Alla luce di tale valutazione, quindi, la domanda attorea veniva rigettata e la delibera impugnata, confermata.

Osservazioni

Il ragionamento del decidente pare decisamente condivisibile.

Nel presente testo si è analizzato come, al fine del superamento della forte presunzione legale di condominialità di un bene, sia necessario fornire una prova di un titolo contrario.

Nel presente caso tale prova risultava assente.

Con un buon ragionamento, tuttavia, il Tribunale ha ritenuto comunque provato il superamento sulla base dei seguenti elementi: se al momento della costituzione del condominio la conduttura non era esistente è impossibile che questa venga definita nel regolamento condominiale (che ricordiamoci: fotografa la situazione dello stabile al momento della sua redazione).

Il bene successivamente creato aveva rappresentato un'aggiunta esclusiva dell'appartamento dell'attrice, senza che l'uso da parte degli altri condomini non solo non fosse presente, ma neanche astrattamente ipotizzabile.

Tutte le cucine dello stabile, infatti, erano state realizzate sull'altro lato del palazzo e la costruzione della cucina da parte dell'attrice aveva sì comportato un uso consentito del suo appartamento, ma con presa in carico (a titolo di custode, anche ai sensi dell'art. 2051 c.c.) della conduttura dell'acqua.

In conclusione, quindi, la condomina non poteva pretendere che le spese di manutenzione del manufatto fossero ripartite sugli altri condomini, essendo il bene pacificamente di sua proprietà esclusiva.

È interessante, nella decisione, notare come l'assenza di titolo contrario non ha (giustamente) fuorviato il decidente, che ha valutato da un lato l'assenza del manufatto al momento della costruzione del palazzo e della redazione del regolamento, e dall'altro il fatto che la conduttura non potesse dirsi condominiale “né funzionalmente né ontologicamente”.

L'interpretazione (invero corretta) della questione fornita dalla dottrina è grosso modo la seguente: “La automatica caduta in comunione di uno dei beni contemplati nell'art. 1117 c.c. può essere evitata soltanto in forza di una previsione negoziale coeva alla venuta ad esistenza del condominio: previsione che, a seconda dei casi, può essere inserita dall'originario proprietario unico nel primo atto di alienazione di una delle unità dell'edificio (e quindi riprodotta negli atti di vendita delle restanti unità), oppure nel regolamento condominiale di natura contrattuale dallo stesso costruttore predisposto a monte e poi allegato agli atti di alienazione” (Branca).

Nello spazio interpretativo lasciato dalla precedente scuola di pensiero, si può aggiungere che, ove il contesto lo consenta, il titolo contrario non deve (e non può) essere fornito e si dovrà verificare la concreta utilizzabilità, si badi: anche solo potenziale, del bene da parte dei condomini o l'uso esclusivo dello stesso.

La decisione in commento, quindi, pare particolarmente di pregio per questa attenzione al contesto condominiale e per la corretta interpretazione del quadro normativo e giurisprudenziale.

Riferimenti

Cappai, Il condominio: la presunzione di comunione e le parti dell'edificio funzionalmente ibride, in Resp. Civ. e prev., 2014, fasc. 3, 733;

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, Bologna-Roma, 393;

Celeste, È nulla la pattuizione che conferisce il diritto “reale di uso esclusivo” su una porzione comune dell'edificio, in Condominioelocazione.it, 22 dicembre 2020;

Valentino, La riserva della proprietà di un bene condominiale deve essere effettuata all'atto costitutivo del condominio, in Condominioelocazione.it, 22 ottobre 2020.

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