Sospensione del pagamento del canone e corretta perimetrazione dell'eccezione di inadempimento

22 Aprile 2021

Riguardo alle condizioni che legittimano il conduttore a sospendere, in tutto o in parte, il pagamento del canone, il Supremo Collegio - dovendo valutare, in una causa di sfratto per morosità intimato dal locatore, la fondatezza dell'eccezione di inadempimento sollevata dal conduttore - ha oramai abbandonato l'orientamento più rigoroso che riteneva legittima la sospensione, anche parziale, della prestazione gravante sul conduttore soltanto quando venisse completamente a mancare la prestazione della controparte, cassando la sentenza di merito, la quale aveva ritenuto illegittima la sospensione del pagamento dei canoni, a fronte dell'impossibilità di utilizzare tutte le parti dell'immobile all'uso convenuto (nella specie, attività commerciale) per irregolarità urbanistico-amministrative, assenza di mutamento di destinazione d'uso e di agibilità.
Massima

In tema di locazione di immobili, il conduttore può sollevare l'eccezione di inadempimento, ai sensi dell'art. 1460 c.c., non solo quando venga completamente a mancare la prestazione del locatore, ma anche nell'ipotesi di suo inesatto adempimento, tale da non escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, purché la sospensione del pagamento del canone appaia giustificata, in ossequio all'obbligo di comportarsi secondo buona fede, dall'oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, avuto riguardo all'incidenza della condotta della parte inadempiente sull'equilibrio sinallagmatico del contratto, in rapporto all'interesse della controparte.

Il caso

La causa - decisa dal Supremo Collegio con la sentenza in commento - aveva ad oggetto un contratto di locazione di immobile destinato ad attività di bar-caffetteria, laddove, a seguito della successiva morosità del conduttore, il locatore aveva intimato lo sfratto per morosità.

Il conduttore aveva eccepito di avere legittimamente sospeso il pagamento dei canoni di locazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., essendo risultato l'immobile locato inidoneo allo svolgimento dell'attività commerciale, poiché sprovvisto del cambio di destinazione d'uso e dell'agibilità; in particolare, si evidenziava che il Comune aveva notificato un verbale di accertata violazione amministrativa, con cui gli aveva contestato l'esercizio dell'attività di ristorazione nella parte retrostante del locale, per la mancata certificazione di destinazione d'uso e dell'agibilità dell'immobile; si deduceva, quindi, che, a causa delle irregolarità urbanistico-amministrative, non aveva potuto utilizzare tutte le parti dello stesso, con gravissimi danni per la sua attività di impresa, instando, quindi, per la risoluzione del contratto per inadempimento del locatore.

Il Tribunale aveva rigettato la domanda principale proposta del locatore ed aveva accolto la riconvenzionale spiegata dal conduttore.

Tale decisione veniva, però, ribaltata dalla Corte d'Appello, la quale dichiarava risolto, per inadempimento del conduttore, il contratto di locazione e condannava quest'ultimo al pagamento, in favore del locatore, di una determinata somma, a titolo di canoni di locazione insoluti, con esclusione del periodo di forzata sospensione dell'attività commerciale.

Il giudice distrettuale fondava il suo convincimento sul fatto che, quantomeno dal momento della sottoscrizione di scrittura integrativa dell'originario contratto di locazione inter partes, il conduttore era pienamente a conoscenza che non era stato ottenuto il cambio di destinazione d'uso dell'immobile ed aveva, nondimeno, accettato di pagare l'intero canone di locazione pattuito; quanto, invece, alla mancanza di mutamento di destinazione d'uso e di agibilità della parte retrostante il locale adibito a ristorante - in relazione alla quale il Comune aveva emesso l'ordinanza di sospensione temporanea dell'attività per un abuso edilizio - anche a voler ritenere che la carenza di detto requisito amministrativo potesse costituire un vizio del bene in quanto necessario per la sua legale destinazione all'uso convenuto, trattandosi di vizio sopravvenuto, il conduttore avrebbe potuto, ai sensi degli artt. 1578 e 1580 c.c., chiedere la risoluzione del contratto o una riduzione del corrispettivo e, non avendo fatto ciò ed essendo pacifico che lo stesso fosse sempre rimasto nella disponibilità dell'immobile, era tenuto al pagamento dei canoni nella misura contrattualmente pattuita.

La questione

Si trattava, in primis, di verificare se, pur risultando indimostrato il conseguimento di quella destinazione d'uso e, quindi, dell'agibilità, in tutto o in parte, dell'immobile, nondimeno il suo utilizzo da parte del conduttore rendesse ingiustificato l'inadempimento dell'obbligo sullo stesso gravante di corrispondere il canone.

In secondo luogo, occorreva accertare se il denunciato difetto di agibilità e di destinazione d'uso del locale, oggetto del contratto di locazione, non impedisse l'utilizzo dell'immobile, atteso che, al fine di verificare la fondatezza della exceptio non rite adimpleti contractus e la gravità dell'inadempimento imputabile al locatore, si sarebbe dovuto analizzare il contenuto del contratto di locazione, sottoscritto dalle parti, interpretarlo ed individuare quali fossero gli interessi dedotti dalle parti, considerando che l'immobile era stato locato per essere destinato, nella sua interezza, ad attività di somministrazione di bevande e di ristorazione.

Le soluzioni giuridiche

Le doglianze del conduttore sono state ritenute fondate dai giudici di Piazza Cavour nei termini appresso precisati.

Innanzitutto, si è rilevata l'erroneità, in iure, dell'assunto posto a base della decisione impugnata, secondo cui il conduttore non ha fornito prova di non aver potuto esercitare la propria attività commerciale nell'intero locale, risultando applicato un erroneo criterio di riparto dell'onere probatorio.

Invero, in coerenza con il generale criterio di riparto dell'onere probatorio in tema di responsabilità da inadempimento delle obbligazioni contrattuali (sull'abbrivio di Cass. civ., sez. un. 30 ottobre 2001, n. 13533), a fronte dell'eccezione di inadempimento opposta dal conduttore, spettava al locatore dimostrare di avere correttamente e pienamente adempiuto all'obbligo di rendere l'immobile locato pienamente idoneo all'uso pattuito.

L'exceptio non rite adimpleti contractus integra, invero, un fatto impeditivo dell'altrui pretesa di pagamento avanzata, nell'àmbito dei contratti a prestazioni corrispettive, in costanza di inadempimento dello stesso creditore, con la conseguenza che il debitore potrà limitarsi ad allegare l'altrui inadempimento, gravando sul creditore l'onere di provare il proprio adempimento o la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 22 novembre 2016, n. 23759).

Ciò posto, altrettanto erronee o inconferenti si appalesavano le altre considerazioni svolte nella sentenza impugnata, segnatamente circa l'inidoneità del mancato ottenimento del certificato di mutamento di destinazione d'uso e di agibilità del locale a costituire valida giustificazione della sospensione, prima, parziale e, poi, totale del pagamento del canone, in presenza, comunque, di emergenze che deponevano per il suo utilizzo, quanto meno parziale, da parte del conduttore.

Osservazioni

Con riferimento alle condizioni che legittimano il conduttore a sospendere, in tutto o in parte, il pagamento del canone, si registra - da parte della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2019, n. 20322; Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16917; Cass. civ., sez. III, 22 settembre 2017, n. 22039) - l'abbandono di quell'orientamento più rigoroso che, con riferimento al rapporto locativo, riteneva legittima la sospensione, anche parziale, della prestazione gravante sul conduttore soltanto quando venisse “completamente a mancare la prestazione della controparte” (v., per tale indirizzo, Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13133; Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2004, n. 7772; Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1999, n. 6125; Cass. civ., sez. III, 5 ottobre 1998, n. 9863; Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1983, n. 3411).

Si osserva giustamente che tale orientamento non trova fondamento nell'art. 1460 c.c., costantemente interpretato quale mezzo di autotutela, che attiene alla fase esecutiva del contratto e non mira, come la risoluzione, allo scioglimento del vincolo, ma anzi ne presuppone la permanenza.

Si è, in tal senso, rammentato - sulla scorta ed in continuità con la consolidata giurisprudenza (v., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2019, n. 8760) - il rilievo che, nell'istituto della sospensione dell'adempimento regolato dall'art. 1460 c.c., assume il principio di correttezza e buona fede oggettiva ex artt. 1175 e 1375 c.c., al quale, del resto, fa esplicito rimando il comma 2 dell'art. 1460 c.c., laddove correla, alla considerazione delle circostanze del caso concreto, la valutazione della legittimità della sospensione secondo “buona fede”.

Correlazione, quest'ultima, che - si è correttamente osservato - non altrimenti può concretizzarsi se non nella “commisurazione del rilievo sinallagmatico delle obbligazioni coinvolte”, ossia nella “proporzionalità” dei rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma “in relazione all'oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto ed alla buona fede” (v., altresì, Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2855; Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1996, n. 5694; Cass. civ., sez. III, 22 gennaio 1985, n. 250; Cass. civ., sez. III, 9 agosto 1982, n. 4457).

Dunque, al fine di stabilire, in concreto, se l'eccezione di inadempimento sia stata sollevata in buona fede oppure no, i magistrati del Palazzaccio ritengono che il giudice di merito deve verificare “se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all'incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull'equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all'interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell'adempimento dell'altra parte” (così Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2009, n. 2720; cui adde Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2003, n. 16822).

Ad avviso degli ermellini, non vi è alcun dato positivo, né ragione logica o sistematica che impongano di adottare, con riferimento al contratto di locazione, un'interpretazione diversa o una versione, per così dire, più limitata di tale strumento di autotutela e dei relativi presupposti: “è evidente, piuttosto, che detti criteri di buona fede e proporzionalità sinallagmatica, che concretano il funzionamento dell'istituto, verrebbero traditi ove, pur in presenza di accertati inadempimenti del locatore, ancorché non tali da escludere ogni possibilità di godimento dell'immobile, non si ammettesse una proporzionale sospensione della prestazione di controparte, ma se ne richiedesse al contrario l'integrale adempimento”.

Nel caso di specie, coerentemente ai principi sopra espressi, il supremo consesso decidente ha ritenuto che le valutazioni svolte dalla Corte territoriale non ne risultassero in linea e palesavano, pertanto, un'erronea e, comunque, insoddisfacente qualificazione giuridica della fattispecie concreta.

In particolare, si è evidenziato il rilievo secondo cui l'abuso amministrativo che, già contestato nel 1984, aveva portato nel 2008 all'emissione di ordinanza comunale di sospensione dell'attività commerciale, avrebbe solo potuto giustificare la domanda di risoluzione del contratto o di riduzione del corrispettivo ai sensi degli artt. 1578 e 1580 c.c., non anche, una volta che quei rimedi non erano stati esperiti, alla sospensione del pagamento dei canoni: tuttavia, se in astratto si era riconosciuta l'esperibilità di quella più radicale scelta negoziale della risoluzione del contratto, per la ricorrenza dei presupposti ivi previsti, a fortiori, come il più comprende il meno, doveva anche riconoscersi la legittimità della sospensione, della propria controprestazione, trattandosi di rimedio meno radicale, consentito dalla legge in via di autotutela nella fase esecutiva del contratto, alla parte non inadempiente, in presenza dei medesimi presupposti (e, anzi, addirittura meno gravi, posto che l'art. 1460, comma 1, c.c. non richiede la gravità dell'inadempimento).

Riferimenti

Passanisi, Potere di autotutela del conduttore: sospensione e riduzione del canone di locazione, in Ventiquattrore avvocato, 2012, fasc. 6, 45;

Scarpa, Mancato godimento dell'immobile locato ed eccezione di inadempimento, in Rass. loc. e cond., 2005, 479;

Corrias, Sulla controversa applicabilità della eccezione parziale di inadempimento al contratto di locazione, in Obblig. e contr., 2005, 203;

Napolitano, Chiose sul recesso anticipato del conduttore e sui limiti all'eccezione di inadempimento nella locazione ad uso non abitativo, in Rass. giur. umbra, 2004, 19;

Zappata, Eccezione di inesatto adempimento e denunzia dei vizi della cosa locata, in Contratti, 2001, 995;

Coppolino, Pendenza del termine di sospensione dell'esecuzione e sospensione del pagamento del canone, in Arch. loc. e cond., 1985, 563;

Spagnuolo, Sospensione del pagamento del canone di locazione durante il periodo d'inagibilità dell'immobile a causa di terremoto, in Rass. equo canone, 1984, 59;

Iacono, Sulla liceità dell'autoriduzione del canone di locazione nei limiti legali e della sospensione dei pagamenti per pretesa compensazione, in Dir. e giur., 1982, 27.

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