È logicamente inammissibile considerare soggettivamente inesistenti operazioni mai avvenute e che, quindi, sono oggettivamente inesistenti

Ignazio Gennaro
28 Giugno 2021

La fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti presuppone che le operazioni siano state effettivamente effettuate ma tra soggetti diversi da quelli risultati dalla fattura: da ciò deriva l'inammissibilità logica e giuridica, di considerare soggettivamente inesistenti operazioni mai avvenute e quindi “oggettivamente” inesistenti.
Massima

La fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti presuppone che le operazioni siano state effettivamente effettuate ma tra soggetti diversi da quelli risultati dalla fattura: da ciò deriva l'inammissibilità logica e giuridica, di considerare soggettivamente inesistenti operazioni mai avvenute e quindi “oggettivamente” inesistenti.

La motivazione dell'atto è un obbligo che grava sull'Amministrazione la quale, indipendentemente dall'impugnazione, deve sempre esplicitare il percorso logico giuridico seguito per la sua emanazione indicando i presupposti di fatto e di diritto della pretesa fatta valere.

Invece, “l'onere della prova del fondamento della pretesa tributaria” riguarda la prova dei presupposti del credito che forma oggetto di un onere processuale che dovrà essere assolto dall'Amministrazione in sede giudiziale nel caso di impugnazione, salvi i casi nei quali, in dipendenza di una presunzione, l'onere probatorio risulti invertito e gravi sul contribuente.

Il caso

La Commissione tributaria provinciale di Palermo annullava “per difetto di motivazione” gli Avvisi di accertamento di crediti tributari a titolo di Ires, Irap ed Iva, per gli anni di imposta 2008 e 2009, notificati dalla locale Agenzia delle entrate ad una società a r.l., per l'avvenuta utilizzazione di fatture emesse da altra società, con cui venivano documentate operazioni considerate “inesistenti” rispetto alle quali l'Amministrazione finanziaria riteneva la indeducibilità dei relativi costi.

L'Agenzia delle entrate impugnava la sentenza di primo grado e la società contribuente resisteva controdeducendo.

La Commissione tributaria regionale per la Sicilia ha rigettato l'appello ed ha confermato, sia pure con diversa motivazione, la sentenza impugnata.

Il Collegio del gravame ha argomentato la propria sentenza chiarendo preliminarmente la diversità tra i concetti – che l'Amministrazione finanziaria erroneamente aveva ritenuto sovrapponibili - di “motivazione dell'atto” e di “prova dei fatti posti a fondamento della pretesa tributaria”, nonché di “onere della prova del fondamento della pretesa” e di “obbligo di motivazione del provvedimento”.

Ha quindi osservato che l'Agenzia delle entrate impropriamente aveva perseverato nell'errore di “accomunare” le fatture ritenute riconducibili ad “operazioni soggettivamente inesistenti” con quelle riferibili ad “operazioni oggettivamente inesistenti”.

Ed infatti, i costi riferiti alla prima fattispecie (“soggettivamente inesistenti”) “sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti”, viceversa per i costi riferibili alla seconda ipotesi (“oggettivamente inesistenti”) “l'Amministrazione può dare prova dell'inesistenza delle operazioni fatturate anche in via indiretta mediante presunzioni semplici, gravando sul contribuente l'onere di provare il contrario”.

La questione

Ad avviso del Collegio di Appello, nel giudizio di prime cure erano stati erroneamente sovrapposti e confusi il concetto di motivazione dell'atto con quello di “prova dei fatti posti a fondamento della pretesa”, con la conseguente non equiparabilità dell' onere della prova del fondamento della pretesa con l'obbligo di motivazione del provvedimento impositivo.

L'Amministrazione, inoltre, aveva “accomunato senza alcun distinguo” le fatture per “operazioni soggettivamente inesistenti” con quelle per “operazioni oggettivamente inesistenti”.

Lo spartiacque normativo fra fatture per operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti – si legge nella sentenza - risulta delineato dall'art. 1 c. 1 lettera a) del d.lgs. 74/2000 il quale (con riferimento ai reati in materia di Imposte sui redditi e sul valore aggiunto) prevede che “per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti si intendono le fatture o gli altri documenti … emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate … ovvero che riferiscono l' operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

Le soluzioni giuridiche

La Commissione del gravame nell'esaminare i profili distintivi dei concetti di motivazione dell'atto e di prova dei fatti posti a fondamento della pretesa ha osservato che la “motivazione dell'atto forma oggetto di un obbligo (di diritto sostanziale) gravante sull'Amministrazione, la quale indipendentemente dall'impugnazione deve sempre esplicitare il percorso logico giuridico seguito per l'emanazione dell'atto, indicando i presupposti di fatto e di diritto della pretesa fatta valere”.

Invece, l'onere della prova del fondamento della pretesa tributaria afferisce alla “prova dei presupposti del credito che forma oggetto di un onere processuale che dovrà essere assolto dall'Amministrazione in sede giudiziale nel caso di impugnazione (salvi i casi nei quali, in dipendenza di una presunzione, l'onere probatorio risulti invertito e gravi sul contribuente)”.

Diverso è il concetto della fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti il quale presuppone che le operazioni “siano state effettivamente effettuate tra soggetti diversi da quelli risultati dalla fattura e da ciò deriva l'inammissibilità logica e giuridica, di considerare soggettivamente inesistenti operazioni mai avvenute e cioè oggettivamente inesistenti”.

Osservazioni

Il distinguo tra operazioni “soggettivamente” e “oggettivamente” inesistenti assume notevole rilevanza ai fini fiscali. Ed infatti, con riguardo alle operazioni inesistenti l'Iva non è detraibile, tanto nel caso in cui le prestazioni siano “oggettivamente inesistenti” quanto nel caso in cui si tratti di fatture “soggettivamente false”: con la differenza che nel caso di operazioni solo “soggettivamente inesistenti” la detraibilità può essere esclusa soltanto se il destinatario era consapevole che l'operazione si inseriva in una evasione d'imposta. Tale consapevolezza va provata dall'Amministrazione, anche in via presuntiva , dimostrando in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l'ordinaria diligenza, in ragione della qualità ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente.

In tema di imposte sui redditi, invece, i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite o meno in una frode carosello) sono deducibili per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui il destinatario della fattura sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che i costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.

Riferimenti giurisprudenziali

Il discrimine tra fatture oggettivamente e soggettivamente inesistenti, ed i relativi oneri probatori, sono stati oggetto di una serie di recenti pronunce della Corte di Cassazione.

Affrontando i temi in esame, il Giudice di legittimità ha affermato cheOve vengano contestate al contribuente operazioni soggettivamente inesistenti, l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare, non solo l'oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l'operazione si inseriva in una evasione dell'imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l'ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza delcontraente mentre, ove l'Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un'operazione volta ad evadere l'imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”.(Cassazione civile, sez. trib., 05/04/2019, n. 9588).

La Corte, con riguardo alla deducibilità dei costi, inoltre ha affermato che ”In tema di imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 14, comma 4-bis, della l. n. 537/1993 (nella formulazione introdotta dall'art. 8, comma 1, del d.l. n. 16/2012, conv. in l. n. 44/2012), che opera, in ragione del comma 3 della stessa disposizione, quale "jus superveniens" con efficacia retroattiva "in bonam partem", sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una "frode carosello"), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell'ipotesi in cui l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che detti costi siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità ovvero relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo.(Nella specie la S.C., in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata che ritenuto "certo" il costo per la mera rappresentazione dello stesso in fattura, senza alcuna valutazione sulla inerenza dello stesso all'attività di impresa). (Cassazione civile, sez. VI, 06/07/2018, n. 17788).

In materia di IVA, invece, “l'Amministrazione finanziaria, allorché contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l'IVA, assumendo l'esistenza di una fatturazione relativa ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l'onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che le operazioni non sono state effettuate o, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, che il contribuente, al momento in cui ha acquistato il bene o il servizio, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, secondo l'ordinaria diligenza, di partecipare ad una operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Ne consegue che, nel caso di cosiddetta "frode carosello", l'Amministrazione finanziaria, che intenda negare il diritto alla detrazione dell'IVA assolta in rivalsa, deve provare sia la frode del cedente, sia la connivenza del cessionario, quest'ultima anche per presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), che possono derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al ruolo di "cartiera" del cedente, incombendo sul contribuente, a fronte di siffatte dimostrazioni, la prova contraria.(Cassazione civile, sez. trib., 05/12/2014, n. 25778).

Quindi, “ai sensi del combinato disposto degli art. 19, 21, comma 7, e 26, comma 3, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, in tema di Iva è precluso al cessionario dei beni, così come al committente del servizio, il diritto alla detrazione o alla variazione dell'imposta nel caso di emissione di fatture per operazioni inesistenti anche solo sotto il profilo soggettivo, poiché, pur essendo i beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell'impresa utilizzatrice la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l'evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata tra altri soggetti” (Cassazione civile, sez. trib., 16/05/2012, n. 7672).