Onere della prova in tema di responsabilità medica da infezione da emotrasfusione

28 Giugno 2021

Nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un'infezione in conseguenza di un'emotrasfusione e la Struttura sanitaria ove quest'ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l'ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nell'acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le ‘leges artis' che presiedono alle suddette attività.
Massima

“Nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un'infezione in conseguenza di un'emotrasfusione e la Struttura sanitaria ove quest'ultima venne eseguita, non è onere del primo allegare e provare che l'ospedale abbia tenuto una condotta negligente o imprudente nell'acquisizione e nella perfusione del plasma, ma è onere del secondo dimostrare di avere rispettato le norme giuridiche e le ‘leges artis' che presiedono alle suddette attività. Ne consegue che qualora venga invocata la responsabilità contrattuale della Struttura sanitaria, al paziente spetterà allegare solo una la condotta inadempiente dell'Ospedale”.

Il caso

Nel caso di specie, a seguito di una trasfusione di sangue avvenuta nel 1987 presso una Struttura ospedaliera, una donna contraeva il virus dell'epatite C (virus HCV). Nel 2007, la donna conveniva in giudizio davanti al Tribunale il Ministero della Salute, l'Assessorato per la Sanità della Regione e il Commissario liquidatore dell'Azienda sanitaria, affinché fosse accolta la sua domanda di risarcimento del danno.

Il primo grado si risolveva a favore della paziente.

La pronuncia veniva impugnata dalle due Amministrazioni soccombenti. La Corte d'appello accoglieva l'appello sulla base delle mancate allegazioni, da parte dell'appellata, atte a provare la negligenza della Struttura sanitaria.

La danneggiata ricorreva allora alla Suprema Corte di cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo, tra gli altri motivi, che erroneamente la Corte d'appello avesse a lei addossato l'onere della prova, in particolare l'onere di allegare e provare che l'Ospedale eseguì la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale.

La causa giungeva in Cassazione.

La questione

Nella sentenza qui esaminata, la Suprema Corte si pronuncia ancora sul tema dell'onere della prova in tema di medical malpractice. In particolare, il quesito al quale intende rispondere è il seguente: nella controversia tra il paziente che assuma di avere contratto un'infezione in conseguenza di una emotrasfusione e la Struttura sanitaria, a chi spetta l'onere della prova? Cosa devono provare le rispettive parti in causa?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ritiene fondata le doglianze della ricorrente, rilevando che la stessa, dopo aver invocato la responsabilità contrattuale della Struttura sanitaria, avesse in realtà esaustivamente adempiuto all'onere probatorio, dimostrando di aver patito un danno alla salute (ossia aver contratto il virus dell'epatite C) a causa del trattamento sanitario (la trasfusione).

La Cassazione spiega in particolare che, qualora venga invocata la responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.), l'onere probatorio dell'attore si esaurisce nell'allegazione dei fatti costitutivi della domanda, ossia dell'esistenza del contratto e di una condotta inadempiente del debitore (ossia l'Ospedale). Il creditore dell'obbligazione inadempiuta (il paziente danneggiato), quindi, non ha l'onere di provare la colpa del debitore inadempiente (la Struttura sanitaria), ma deve limitarsi a dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno del quale domanda il risarcimento. Di conseguenza, la danneggiata non avrebbe avuto alcun onere di allegare e spiegare come, quando e in che modo, l'Ospedale si fosse approvvigionato delle sacche di plasma risultate infette.

Per contro, sarebbe stato onere della Struttura sanitaria (e non già del paziente) allegare e dimostrare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., di avere tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza. Nel caso di specie, la Corte d'appello avrebbe, quindi, dovuto accertare in concreto se l'Assessorato (successore dell'Azienda ospedaliera) avesse o non avesse provato la causa non imputabile di cui all'art. 1218 c.c. Intatti, la circostanza che l'Ospedale provvedesse o non provvedesse da sé all'approvvigionamento di plasma non era un fatto costitutivo della domanda, ma era un fatto impeditivo della stessa, che, in quanto tale, andava allegato e provato dall'Amministrazione convenuta.

Trascurando di stabilire se parte convenuta avesse fornito tale prova, pertanto, la Corte d'appello ha violato gli articoli 1218 e 2697 c.c.

In conclusione, secondo la Suprema Corte conformemente all'indirizzo consueto, nel caso di responsabilità contrattuale (come quella tra Struttura sanitaria e paziente), il danneggiato non deve dimostrare la colpa dell'Ospedale, ma semplicemente allegare il suo inadempimento: deve cioè limitarsi a provare la sussistenza di un contratto e provare

allegare

il danno patito (ossia la malattia) in conseguenza della condotta dell'Ospedale. Spetta invece alla Struttura sanitaria, allegare e provare di aver tenuto una condotta diligente o prudente nel rispetto delle norme giuridiche e delle leges artis, in relazione all'acquisizione e perfusione del plasma (v., amplius, D. Spera, Resp. sanitaria contrattuale ed extracontrattuale in Legge Gelli Bianco-premesse fallaci e soluzioni inappaganti).

Osservazioni

Nel caso di specie, la ricorrente lamentava la violazione degli artt. 1176, 1218, 1228 e 2697 c.c., asserendo che la Corte d'appello avesse errato nell'attribuirle l'onere di provare che l'Ospedale avesse eseguito la trasfusione con sacche di plasma prelevate da un proprio centro trasfusionale.

La danneggiata, infatti, aveva ben compiutamente assolto, già in primo grado, l'onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda: tale onere, infatti, quando venga invocata la responsabilità contrattuale, si esaurisce nella prova dell'esistenza del contratto e dell'allegazione della condotta inadempiente.

A fondamento delle proprie ragioni, la donna aveva, oltretutto, allegato che l'obbligo di assistenza sanitaria gravante sull'Ospedale comportava la garanzia del risultato di non infettare il paziente ed aveva invocato il principio res ipsa loquitur, in virtù del quale il fatto stesso dall'infezione dimostrava di per sé che l'Ospedale avesse tenuto una condotta colposa.

La Corte d'appello avrebbe dovuto, quindi, in concreto accertare se l'Assessorato avesse o non avesse provato la “causa non imputabile” di cui all'articolo 1218 c.c., a nulla rilevando che l'attrice non avesse provato la negligenza dell'Ospedale.

Era, infatti, onere della Struttura sanitaria allegare e dimostrare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., di aver tenuto una condotta irreprensibile sul piano della diligenza.

La pronuncia in esame rappresenta una conferma – del più recente filone giurisprudenziale che - in ripensamento delle regole probatorie sancite dalla sentenza della Cassazione n. 577/2008 – è, infine, culminato nelle pronunce di San Martino della Corte di Cassazione dell'11 novembre 2019 (Cass. civ., n. 28992/2019), ai sensi delle quali, in tema di responsabilità contrattuale della Struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari; mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla Struttura dimostrare o l'adempimento o l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza.

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