Legittimazione passiva dell'amministratore di condominio nella formazione/revisione delle tabelle millesimali: una decisione che non convince
01 Luglio 2021
Massima
La legittimazione passiva rispetto alla domanda, proposta in un giudizio pendente anteriormente alla l. n. 220/2012, volta alla determinazione o alla revisione, ex art. 69 disp. att. c.c., della tabella millesimale, in applicazione aritmetica dei criteri legali, spetta all'amministratore, senza alcuna necessità di litisconsorzio tra tutti i condomini, trattandosi di controversia rientrante tra le attribuzioni allo stesso riconosciute dall'art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali. Il caso
La sentenza della Corte d'Appello, impugnata in sede di legittimità, aveva affermato che la domanda proposta dall'attore configurasse una richiesta di revisione delle tabelle millesimali del Condominio, ed aveva, quindi, rinviato la causa al Tribunale perché venisse integrato il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini. La questione
Si trattava di verificare se, al caso concreto, potesse o meno applicarsi il nuovo disposto dell'art. 69 disp. att. c.c., come sostituito dalla l. n. 220/2012, e, quindi, se fosse corretta o meno l'individuazione del litisconsorzio necessario di tutti i condomini, con le conseguenze processuali di cui agli artt. 354 e 353 c.p.c. Le soluzioni giuridiche
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto fondate le doglianze mosse dal ricorrente. Innanzitutto, si è precisato che non poteva trovare applicazione nel presente giudizio, che attiene a domanda di revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale proposta con citazione del 2004, l'art. 69, comma 2, disp. att. c.c. nella riformulazione conseguente alla l. n. 220/2012; nondimeno, la sostanziale erroneità della decisione della relativa questione di diritto operata dal giudice distrettuale - nella parte in cui la gravata sentenza impugnata ha fatto derivare, dalla riqualificazione della domanda attorea come revisione delle tabelle millesimali, la necessità del litisconsorzio - discende alla stregua dell'interpretazione offerta dal massimo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un. 9 agosto 2010, n. 18477). Invero, tale sentenza ha chiarito che l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., purché tale approvazione sia meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge e, quindi, dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso. I criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall'art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, mediante convenzione, la quale può essere contenuta o nel regolamento condominiale - che, perciò, si definisce “di natura contrattuale - o in una deliberazione dell'assemblea che venga approvata all'unanimità. Viene, quindi, imposta, a pena di radicale nullità l'approvazione di tutti i condomini per le sole delibere dell'assemblea di condominio, con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall'art.1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento contrattuale (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2010, n. 6714; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17101; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126). Ad avviso degli ermellini, dunque, rivela natura contrattuale solo la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, o approvare quella “diversa convenzione”, di cui all'art. 1123, comma 1, c.c., mentre se, invece, sia stata approvata una tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali, e se essa risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni, a tali situazioni può rimediare la maggioranza dell'art. 1136, comma 2, c.c., per ripristinarne la correttezza aritmetica (Cass. civ., sez. VI/II, 25 gennaio 2018, n. 1848; Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2018, n. 27159). La giurisprudenza di vertice ha, altresì, tratto le dovute conseguenze di ordine processuale dall'insegnamento del massimo consesso decidente del 2010, atteso che, una volta affermato il fondamento assembleare, e non unanimistico, dell'approvazione delle tabelle, alcuna limitazione può sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell'amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell'art. 1131, comma 2, c.c., volta alla determinazione giudiziale o alla revisione di una tabella millesimale che consenta la distribuzione proporzionale delle spese in applicazione aritmetica dei criteri legali. Si tratta, pertanto, di controversia rientrante tra le attribuzioni dell'amministratore stabilite dall'art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali dello stesso, senza alcuna necessità del litisconsorzio di tutti i condomini. Riconosciuta, nella sostanza, la competenza gestoria dell'assemblea in ordine all'approvazione ed alla revisione delle tabelle millesimali, non vi può essere - secondo l'autorevole parere dei magistrati del Palazzaccio - resistenza a ravvisare in materia anche la rappresentanza giudiziale dell'amministratore, come, del resto, desumibile dal già richiamato comma 2 dell'art. 69. disp. att. c.c., nella riformulazione conseguente alla l. n. 220/2012, sia pure nella specie non applicabile ratione temporis (Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2017, n. 19651; Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2020, n. 6735). Osservazioni
Quanto al contraddittorio, nelle controversie attinenti alla revisione - come, del resto, anche per quelle concernenti la formazione ex novo - delle tabelle ai sensi dell'art. 69 disp. att. c.c., la giurisprudenza prevalente era concorde nel ritenere che trattavasi di questioni che esplicavano un'immediata incidenza sulle situazioni giuridiche soggettive facenti direttamente capo ai singoli comproprietari, per cui si doveva procedere alla citazione in giudizio di tutti i condomini, poiché la loro legittimazione risultava preordinata alla tutela del diritto di proprietà della porzione di edificio di cui si lamentasse l'illegittima determinazione del valore compiuta mediante un'inesatta valutazione in millesimi (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1978, n. 1846; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma 4 marzo 1997; Trib. Roma 11 aprile 1995). Qualche dubbio poteva sussistere in ordine alla legittimazione passiva dell'amministratore. In un primo momento, la stessa era stata affermata in aggiunta a quella dei singoli condomini, essendo la domanda preordinata anche alla tutela di cose ed interessi comuni, stante che la precisazione, nel regolamento condominiale, dei valori di piani o porzioni di piano, ragguagliati in millesimi a quello dell'intero edificio, si rifletteva sulle cose comuni, costituendo essi il parametro su cui dovevano commisurarsi il godimento delle cose stesse e dei servizi comuni, la partecipazione delle spese relative e l'entità della partecipazione, nonché l'espressione del voto dei condomini nella costituzione delle assemblee e nelle deliberazioni da prendere in esame (Cass. civ., sez. II, 20 maggio 1966, n. 1307). In un secondo momento, al contrario, si era esclusa la legittimazione passiva dell'amministratore, poiché risultava sempre limitata alle sole azioni relative alle parti comuni dell'edificio, ossia ai rapporti giuridici scaturenti dall'esistenza delle medesime parti comuni, mentre, quando la domanda giudiziale di un condomino era volta all'accertamento dell'invalidità ed inefficacia della tabella millesimale, la relativa azione doveva essere necessariamente proposta esclusivamente nei confronti di tutti i condomini, in quanto si era presenza di questioni attinenti all'accertamento dei valori millesimali delle quote di proprietà singola, che incidono su obblighi esclusivi dei singoli condomini (Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3967; tra le pronunce di merito, si segnalavano: Trib. Milano 30 gennaio 1997; Trib. Sanremo 28 luglio 1993). Più di recente, la Cassazione - specie a partire da Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1994, n. 3542, passando da Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2008, n. 14951, per arrivare, più di recente, a Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2012, n. 11757 - sembra aver recepito tali ultime considerazioni, in quanto ha precisato che occorre operare una distinzione tra impugnazione della delibera che, a maggioranza, approva/modifica le tabelle millesimali, ed impugnazioni delle tabelle medesime; in ordine alla prima, che costituisce un'azione di accertamento dell'impossibilità dell'oggetto per difetto di competenza dell'assemblea, è legittimato passivamente soltanto l'amministratore (inizialmente, la giurisprudenza aveva ritenuto, invece, che la domanda volta all'accertamento dell'invalidità della delibera doveva essere proposta nei confronti di coloro che avevano deliberato l'atto impugnato, e cioè nei confronti di tutti gli altri condomini dell'edificio, v. Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1992, n. 4405; Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3920; Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1978, n. 1846); in ordine alla seconda - come in tutte le azioni dirette ad ottenere una modificazione in sede giudiziale delle tabelle - sono legittimati passivi tutti i condomini, stante la natura contrattuale dell'atto di approvazione delle tabelle millesimali (nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Bergamo, 25 giugno 1998). In sostanza, le tabelle de quibus possono essere impugnate quando ricorrono i presupposti di cui all'art. 69 disp. att. c.c., mentre, invece, l'impugnazione della delibera che ha modificato tali tabelle non trae fondamento dalle inesattezze originarie o sopravvenute delle stesse, ma dai vizi concernenti l'atto e la sua formazione; invero, la delibera implica la riunione in assemblea e l'osservanza delle disposizioni procedimentali, riassunte dal metodo collegiale e dal principio maggioritario, sicché la stessa può essere impugnata - oltre che per la violazione delle disposizioni di legge o del regolamento condominiale - anche per le nullità derivanti dai vizi di contenuto, concernenti (l'illiceità e) l'impossibilità dell'oggetto, tra i quali - per quel che qui rileva - rientra il difetto di competenza dell'assemblea, nel caso di materie non assegnate al collegio e riservate all'autonomia dei singoli partecipanti. Stando così le cose, e precisato che la domanda giudiziale diretta ad impugnare la tabella millesimale configura un'azione diversa rispetto alla domanda, concernente l'impugnazione della delibera condominiale, che modifica la tabella, ne consegue che deve essere diversa nelle due ipotesi anche la legittimazione passiva: la prima deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, posto che la determinazione dei valori millesimali viene ad incidere sui diritti e sugli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, per contro l'amministratore è sempre legittimato a resistere contro le impugnazioni delle delibere assunte dall'assemblea, senza la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, in quanto l'impugnazione costituisce un'azione di accertamento dell'impossibilità dell'oggetto per difetto di competenza dell'assemblea, poiché rientra nell'àmbito dei poteri rappresentativi demandati all'amministratore la tutela del condominio in relazione alla difesa della legittimità di una delibera, qualunque ne sia il contenuto, restando inteso che la dichiarazione di invalidità della statuizione emessa nei confronti dell'amministratore produrrà i suoi effetti direttamente in capo ad ogni singolo partecipante, determinando l'inapplicabilità delle tabelle approvate. Sul punto, in senso innovativo, è intervenuta la Riforma del 2013, che, al comma 2, dell'art. 69 disp. att. c.c., ha precisato che, “ai soli fini della revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale allegata al regolamento di condominio ai sensi dell'articolo 68, può essere convenuto in giudizio unicamente il condominio in persona dell'amministratore”. Una volta, però, inquadrata la natura delle tabelle millesimali nell'àmbito negoziale, sarebbe dovuta conseguire de plano l'individuazione dei legittimi contendenti nel processo volto alla loro formazione/revisione, ossia tutti i proprietari delle unità immobiliari dello stabile interessato (questione, peraltro, non affrontata ex professo dal supremo organo di nomofilachia nella pronuncia del 2010, anche se poteva trarsi dalla stessa il logico corollario sul versante processuale). Invece, l'aver individuato, al riguardo, la legittimazione passiva dell'amministratore “ai soli fini” della revisione delle medesime tabelle (quali esse siano) sembra configurare di un mero escamotage compromissorio, perché, da un lato, si ribadisce la necessità del consenso unanime per l'approvazione/revisione delle tabelle millesimali - salve le ipotesi eccezionali sopra delineate nei nn. 1) e 2) dell'art. 69, comma 1, disp. att. c.c. - dall'altro, si opta per tale semplificazione processuale considerando le difficoltà conseguenti all'integrazione del contraddittorio, ex art. 102 c.p.c., nei confronti di tutti i partecipanti al condominio (situazione processuale non agevole da mantenere anche nei successivi gradi di giudizio). Per meglio dire, si ritiene che la formazione delle tabelle integri un negozio plurilaterale di accertamento, richiedente il consenso di ogni singolo condomino, nessuno escluso, in quanto costituisce un atto totalmente estraneo alla sfera decisionale dell'assemblea, nel senso che può, occasionalmente, determinarsi in sede assembleare, ma comunque prescinde del tutto dai meccanismi deliberativi propri dell'organo gestorio; essendo funzione della tabella quella di precisare, in termini matematici, l'entità della “quota” di cui ciascun condomino è titolare nella comunione delle parti comuni dell'edificio (riguardo agli artt. 1117 e 1118 c.c.), non si reputa che possa riconoscersi alla maggioranza il potere di determinare, a suo arbitrio, anche le quote dei condomini di minoranza, con il rischio del prevalere di una maggioranza “interessata”, che approva volutamente una tabella non conforme, ad libitum o ancorché di pochi millesimi, ai valori reali, ai danni dei condomini più deboli economicamente o semplicemente impreparati sul punto. D'altronde, nel caso di specie, l'attore si era lamentato che il valore proporzionale della sua proprietà fosse pari a 18,21 millesimi, anziché a 23,67 millesimi, ma come si fa a verificare se l'approvazione (o la revisione) erano avvenute “con funzione meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge” oppure si era inteso “derogare al regime legale di ripartizione delle spese”? Nuova linfa a tale tesi potrebbe venire dal recente arresto del supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un. 14 aprile 2021, n. 9839), che si è occupato della questione riguardante il tipo di invalidità che inficia la delibera dell'assemblea condominiale che ripartisca le spese tra i condomini in violazione dei criteri dettati negli artt. 1123 ss. c.c. o dei criteri convenzionalmente stabiliti, confermando l'orientamento tradizionale (consacrato da Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806) sia pur con i doverosi distinguo. Per quel che qui interessa, si precisa che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell'oggetto ove l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere - oltre che per il caso oggetto della delibera - anche “per il futuro”, mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi “nel singolo caso deliberato”. In proposito, si osserva che le attribuzioni dell'assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., alla verifica ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l'art. 1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio. Ne consegue che l'assemblea, la quale deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative), si troverebbe ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”, mentre, al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell'assemblea la delibera che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta delibera non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dagli artt. 1123 ss. c.c. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative, sicché tale delibera deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137, comma 2, c.c. Ma la “approvazione” delle tabelle millesimali non è altro che la ripartizione delle spese valevoli “in astratto e per il futuro”, sicché, dovendosi approvare all'unanimità dei condomini, non costituendo un mero atto gestorio, il precipitato processuale dovrebbe essere il difetto di legittimazione passiva dell'amministratore, salvo derogarvi, per espressa previsione di legge, solo per la “revisione” e per fattispecie post 18 giugno 2013. Riferimenti
Izzo, Alle Sezioni Unite il contrasto sulla formazione e revisione delle tabelle millesimali e sulla legittimazione passiva dell'amministratore del condominio, in Giust. civ., 2009, I, 874; De Renzis - Ferrari - Nicoletti - Redivo, Trattato del condominio, Padova, 2008, 913; De Tilla, Sull'impugnativa delle tabelle millesimali, in Arch. loc. e cond., 2000, 596; Branca, Millesimi e amministratore, legittimazione passiva, in Foro it., 1978, I, 1368; Salis, Impugnazione di tabella millesimale approvata a maggioranza, in Giust. civ., 1966, I, 1950. |