Il condominio destinato a centro commerciale, composto di negozi e abitazioni, può essere considerato come un “consumatore”
07 Luglio 2021
Massima
Il condominio - centro commerciale, composto da negozi ed abitazioni, salvo il caso in cui tutti i condomini svolgano un'attività imprenditoriale o professionale, mantiene la sua natura di centro di interessi privatistici, volti alla tutela dei beni comuni di un edificio e la qualifica di consumatore, con la conseguenza che il fornitore della collettività condominiale, per recuperare i crediti insoluti derivanti da un contratto di manutenzione ordinaria di un impianto comune, è tenuto a richiedere un decreto ingiuntivo al giudice del luogo ove il condominio-consumatore ha sede.
Il caso
La vicenda, decisa con la sentenza in commento, prendeva l'avvio quando una società chiedeva ed otteneva dal Tribunale di Massa un decreto monitorio nei confronti del condominio - centro commerciale, al quale veniva ingiunto il pagamento dei compensi, contrattualmente pattuiti, per la manutenzione conservativa dell'impianto di scala mobile, eseguita successivamente ad un'alluvione del 2011, in seguito alla quale l'impianto era rimasto fermo. Il condominio, in persona del suo amministratore pro tempore, in via preliminare, proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo in via processuale l'incompetenza territoriale del Tribunale adìto a favore della competenza convenzionale pattuita in contratto (ex art. 28 c.p.c.); in particolare sosteneva di non avere la qualifica di consumatore, trattandosi di un complesso edilizio destinato a centro commerciale, per cui non era applicabile il foro inderogabile stabilito dall'art. 66-bis del Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2015). Nel merito, il centro commerciale si difendeva osservando che, a seguito dell'alluvione del 2011 e del conseguente fermo dell'impianto, il contratto di manutenzione si doveva considerare risolto e, comunque, nessun tecnico dell'ingiungente aveva prestato manutenzione; in ogni caso l'amministratore disconosceva le firme apposte nei contratti. La società appaltatrice insisteva per il rigetto dell'opposizione, la conferma del decreto ingiuntivo e la condanna dell'opponente al pagamento delle spese processuali, rilevando che: l'attività di manutenzione risultava dai rapporti di intervento sul macchinario elevatore e da altra documentazione tecnica di cui chiedeva l'esibizione ex art 210 c.p.c.; la manutenzione della scala mobile, richiesta dopo il fermo, era solo conservativa; i contratti erano stati sottoscritti dalla precedente amministrazione ed il disconoscimento delle firme non era compatibile con l'eccezione di risoluzione. Secondo la stessa società, però, la domanda attrice era da respingere, soprattutto perché il condominio, quale ente di gestione che agiva per scopi estranei all'attività imprenditoriale, doveva essere considerato un consumatore; di conseguenza concludeva che la clausola sul foro esclusivo – pattuizione da considerare vessatoria - sarebbe stata valida solo a seguito di specifica trattativa, che nel caso di specie non vi era stata. Il Tribunale di Massa riteneva infondata l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dall'opponente, atteso che il condominio, nel momento in cui agisce come tale, cioè per la gestione dei beni comuni e strumentali a proprietà solitarie, opera comunque quale soggetto privatistico che persegue fini estranei alla natura imprenditoriale dei suoi componenti; fini che sono semplicemente volti alla fruizione e conservazione delle parti comuni di un fabbricato, in cui la destinazione funzionale delle singole unità che lo compongono non può essere necessariamente identitaria anche della connotazione soggettiva di consumatore. Secondo lo stesso giudice apuano, quindi, correttamente, il decreto ingiuntivo era stato richiesto al giudice del luogo ove il convenuto consumatore aveva sede. In ogni caso, nel merito, il Tribunale notava che - attraverso i contratti non disconosciuti, le schede tecniche e le fatture - risultava provato che, dopo l'alluvione, l'opposta società aveva eseguito manutenzione conservativa della scala mobile. Con due distinti motivi di gravame, il condominio - centro commerciale censurava la sentenza impugnata per aver il Tribunale erroneamente disatteso l'eccezione di incompetenza territoriale, tempestivamente formulata, senza tenere conto che condominio è un autonomo soggetto giuridico, non parificabile alla figura di un consumatore, e che l'amministratore gestisce le cose comuni, volte a soddisfare le esigenze collettive con la conseguenza che il singolo condomino gode di maggiori tutele rispetto al singolo consumatore; in ogni caso, considerava il credito della società di manutenzione non provato per non aver, il giudice di primo grado, tenuto conto delle testimonianze assunte in giudizio in ordine alla mancata funzionalità degli impianti dopo l'evento alluvionale. La questione
Si trattava, quindi, di stabilire se, al fine di stabilire la competenza territoriale a giudicare, un condominio - centro commerciale può essere considerato alla stregua di un comune “consumatore” o se, al contrario, debba considerarsi un autonomo soggetto giuridico, non parificabile alla figura di un consumatore. Le soluzioni giuridiche
La Corte d'Appello di Genova ha rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale riproposta, in sede di gravame, dal condominio - centro commerciale, ritenendo quest'ultimo rientrante nella categoria dei consumatori; secondo i giudici di secondo grado, questa conclusione è coerente con l'orientamento giurisprudenziale consolidato della Corte di Cassazione, secondo il quale al contratto concluso con un professionista da un amministratore di condominio, ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, si applica la disciplina di tutela del consumatore, agendo l'amministratore stesso come mandatario con rappresentanza dei singoli condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. In ogni caso - ad avviso della stessa Corte - non è rilevante stabilire se il condominio possa essere considerato o meno alla stregua di un “soggetto giuridico”, visto che la stessa Corte di Giustizia Europea ha ammesso che la normativa del Codice del consumo risulta, in ogni caso, applicabile ai caseggiati. Per la Corte genovese rilevante è, invece, accertare se il condominio svolga un'attività imprenditoriale o professionale o se tale attività sia svolta da tutti suoi condomini. Secondo la stessa Corte, però, tale situazione non ricorre solo per il fatto che nella denominazione del caseggiato si faccia riferimento ad un centro commerciale, non potendosi escludere che il complesso edilizio sia costituito da negozi ed abitazioni, anziché esclusivamente da persone giuridiche e/o imprenditori. Osservazioni
Con ordinanza del 1 aprile 2019, il Tribunale di Milano ha investito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea della questione relativa alla possibilità di qualificare il condominio come consumatore nell'accezione fornita dalla direttiva 93/13. Secondo i giudici del Lussemburgo il condominio, sebbene non rientrante formalmente nella nozione di “consumatore”, tuttavia, può essere considerato tale dalla giurisprudenza nazionale (sulla scorta delle finalità perseguite dalla direttiva 93/13/CEE), non sussistendo alcun ostacolo che consenta un'interpretazione estensiva della normativa di recepimento della direttiva nel diritto interno (v. sent. della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, 2 aprile 2020, causaC-329/19). Come ha recentemente osservato il Collegio di Roma dell'Arbitro Bancario Finanziario, la sentenza della Corte di Giustizia contribuisce a sostenere la tesi (consolidata in seno all'A.B.F.) secondo cui il condominio è un soggetto giuridico autonomo e distinto rispetto alle persone che lo compongono e tale natura giuridica preclude sia un'interpretazione estensiva della direttiva n. 93/13/CEE del Consiglio del 5 aprile 1993 - che ha trovato ingresso, nel nostro ordinamento, da ultimo con il d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (c.d. Codice del consumo) - sia un'applicazione delle tutele consumeristiche “di riflesso” (Arbitro Bancario Finanziario 10 novembre 2020). Il Tribunale di Milano, invece, prendendo atto della pronuncia dei giudici del Lussemburgo, ma ritenendone gli esiti non soddisfacenti, ha ritenuto opportuno cambiare totalmente impostazione ed esaminare la questione della qualifica del condominio come consumatore non nella prospettiva della teoria del soggetto, ma in quella del rapporto giuridico. Sulla base di tale ragionamento lo stesso Tribunale del capoluogo lombardo ha sostenuto che si debba riconoscere la tutela consumeristica solo a quel condominio che risulti composto da unità immobiliari almeno prevalentemente (ex considerando 17, direttiva 2011/83/CE) di proprietà di persone fisiche e da queste ultime utilizzate per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (Trib. Milano 26 novembre 2020). I giudici di merito, però, sembrano lontani dall'approdare ad una soluzione univoca, invocando, in alcuni casi, un criterio di “prevalenza” riferito ai millesimi occupati da consumatori o professionisti, e sostenendo, altre volte, l'applicazione de plano della disciplina consumeristica, anche ai complessi edilizi in cui sono ubicate solo unità immobiliari destinate ad attività commerciali o professionali, rilevando che l'atto concluso sarebbe “sempre” estraneo all'attività professionale, in quanto finalizzato alla sola gestione delle parti comuni (App. Milano 13 novembre 2019, n. 4500). Appare preferibile, però, prestare maggiore attenzione allo “scopo” dell'atto di consumo, sviscerandone, sul piano applicativo, l'intrinseco contenuto: in altre parole si deve ritenere determinante verificare se le unità immobiliari, facenti parte del caseggiato, siano utilizzate o meno per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Anche la sentenza della Corte d'Appello di Genova sembra correlare la qualifica di consumatore - non ad una “formalistica” condizione permanente del soggetto - bensì alla “sostanziale” attività dello stesso ed alla finalità dell'atto negoziale di consumo posto in essere. Lungo questa linea di pensiero i giudici genovesi escludono che venga considerato consumatore non certo quel complesso edilizio il cui nome faccia riferimento ad un centro commerciale, ma solo quello in cui tutti i condomini svolgono attività commerciale. Se tale situazione non ricorre, tralasciando il discrimen “quantitativo” tra persone fisiche e persone giuridiche proprietarie di unità immobiliari, si può affermare che tutti i “contratti condominiali”, in quanto volti alla conservazione/manutenzione delle parti dell'edificio o al funzionamento dei servizi comuni, non sono mai connessi all'attività imprenditoriale/professionale eventualmente esercitata nella singola unità immobiliare di cui si compone lo stabile in regime di condomino. Di conseguenza, aderente all'orientamento giurisprudenziale maggioritario, deve essere affermata l'applicabilità della disciplina dei c.d. contratti del consumatore (di cui agli artt. 1469-bisss. c.c., poi trasfusa nel Codice del consumo, artt. 33-37 d.lgs. n. 206/2005) a quelli conclusi con il professionista dall'amministratore del condominio e volti alla manutenzione, alla conservazione ed al godimento di parti e servizi comuni dell'edificio condominiale, atteso che l'amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale dagli stessi eventualmente svolta. Le prime decisioni dell'applicabilità delle disposizioni sui consumatori anche ai contratti stipulati dal condominio si ritrovano in decisioni di merito e di legittimità emesse sotto la vigenza del testo originario dell'art. 1469-bis c.c. (Trib. Bologna 3 ottobre 2000; Trib. Pescara 28 febbraio 2003, relative alle penali richieste dalla ditta di manutenzione dell'ascensore per l'anticipato recesso da parte del condominio); ma la medesima soluzione è stata confermata (Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 2005, n. 452) anche dopo l'emanazione delle successive norme emesse a tutela dei consumatori, ed in particolare dal d.lgs. n. 24/2002 sulle garanzie nella vendita, poi confluite in modo organico nel Codice del consumo. Così, a proposito della fornitura di vetri per la facciata del caseggiato, è stato affermato che il condominio - in quanto assimilato al “consumatore” nei rapporti conclusi dall'amministratore con i fornitori per l'acquisto di beni o servizi - può decidere la risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 130, comma 2, del d.lgs. n. 206/2005 solo in via gradata, ovvero quando: 1) riparazione o sostituzione del bene siano impossibili o eccessivamente onerosi; 2) il venditore non abbia provveduto alla riparazione o sostituzione entro un congruo termine; 3) riparazione o sostituzione abbiano prodotto notevoli inconvenienti al consumatore (Trib. Milano 8 settembre 2008). Allo stesso modo, la vessatorietà della clausola che prevede la proroga tacita decennale del contratto di manutenzione dell'ascensore in caso di mancata disdetta comunicata sei mesi prima della scadenza, sottoscritta dall'amministratore del condominio, non è esclusa dalla doppia sottoscrizione, laddove manchi la prova che la stessa clausola negoziale sia stata oggetto di apposita trattativa individuale, applicandosi ai contratti conclusi dal condominio la normativa a tutela del consumatore (Trib. Napoli, 15 gennaio 2018, n. 427). In ogni caso, il condominio - in quanto agisce per scopi estranei all'attività commerciale - è un consumatore, essendo del tutto irrilevante che il contratto sia concluso dall'amministratore; conseguentemente, nelle controversie che ne possano derivare trova applicazione la competenza funzionale ed inderogabile del foro del consumatore, cioè del luogo in cui è sito il condominio (Trib. Milano 21 luglio 2016). Del resto, recentemente è stato nuovamente ribadito quanto affermato nelle precedenti sentenze (Cass. civ., Sez. VI, 28 maggio 2019, n. 14475), ossia che il consumatore risulta essere la parte debole del rapporto contrattuale. Riferimenti
Celeste, Il condominio è un “non consumatore” a dirlo l'arbitro bancario finanziario, in Condominioelocazione.it., 3 marzo 2021; Celeste, Il condominio diventa “consumatore” sia pure solo se le unità immobiliari dell'edificio risultino prevalentemente di proprietà di persone fisiche, in Condominioelocazione.it., 11 gennaio 2021; Celeste, La personalità giuridica del condominio cacciata dalla porta rientra dalla finestra?: alle Sezioni Unite (si spera) l'ardua sentenza, in Immob. & proprietà, 2018, fasc. 2, 92; Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017, 15; Chiesi - Sturiale, Condominio: “essere o non essere” (consumatore)?, in Immob. & proprietà, 2020, 493; Ditta, Condominio-consumatore, in Condominioelocazione.it., 26 settembre 2017; Petrelli, Rimessa la questione alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea sull'applicabilità al condominio della disciplina consumeristica, in Condominioelocazione.it., 21 giugno 2019; Scarpa, Vecchi paradossi e nuove certezze in tema di parziarietà delle obbligazioni condominiali e tutela consumeristica del condominio, in Immob. & proprietà, 2019, fasc. 12, 707; Terzago, Condominio e tutela del consumatore, in Riv. giur. edil., 2001, I, 866. |