Azione di nullità del regolamento contrattuale e litisconsorzio necessario di tutti i condomini

08 Luglio 2021

A fronte di una domanda volta a dichiarare la nullità di alcune clausole del regolamento di condominio di natura contrattuale - nella specie, concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea, in deroga agli artt. 1136 c.c. e 66 disp. att. c.c. - il Supremo Collegio ha ribadito che, nel relativo giudizio, devono essere convenuti tutti i condomini, registrandosi una situazione di litisconsorzio necessario, laddove l'amministratore di condominio è, invece, del tutto privo di legittimazione passiva.
Massima

L'azione di nullità del regolamento contrattuale di condominio è esperibile - non già nei confronti dell'amministratore, carente di legittimazione passiva, bensì - da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in una situazione di litisconsorzio necessario, trattandosi, da un punto di vista strutturale, di un contratto plurilaterale avente scopo comune, sicché la sentenza che eventualmente dichiari la nullità di clausole dello stesso regolamento, accogliendo la domanda proposta nei confronti del solo amministratore, non solo è inidonea a fare stato nei confronti degli altri condomini, ma neppure può essere appellata da alcuno dei pretermessi, benché si tratti degli effettivi titolari (dal lato attivo e passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, potendo detto potere processuale essere riconosciuto unicamente a chi abbia assunto la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la decisione impugnata.

Il caso

La causa, decisa di recente dal Supremo Collegio, originava da un'azione, proposta da alcuni condomini, volta alla declaratoria di nullità di due articoli del regolamento condominiale, nella parte in cui gli stessi consentivano la sostituzione in assemblea dei condomini assenti e non deleganti da parte dei rappresentanti di zona del comparto immobiliare.

Il Tribunale aveva accolto la domanda, nonostante fosse stato convenuto soltanto l'amministratore di condominio.

Proponevano appello altri condomini, lamentando la mancata integrazione del contraddittorio nei loro confronti, stante la necessità del litisconsorzio correlata alla riconosciuta natura contrattuale del regolamento condominiale, predisposto dalla società costruttrice del complesso.

La Corte d'Appello - considerata sottratta alla propria cognizione, in difetto di apposito motivo di gravame, la questione della qualificazione “contrattuale” del regolamento ritenuta dal primo giudice - conveniva sulla legittimazione passiva spettante ai singoli condomini in ordine all'autonoma domanda di nullità degli articoli del regolamento condominiale, e riteneva, peraltro, distinto ed autonomo il diritto spettante ad uno dei condomini impugnanti, pretermesso nel giudizio di primo grado, rispetto alla sentenza resa nei confronti del Condominio, e perciò legittimato a proporre l'opposizione ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. e non, invece, appello.

La questione

Si trattava di verificare se, sussistendo una situazione di litisconsorzio necessario, il condomino, non convenuto nel giudizio di prime cure riguardo all'azione di nullità del regolamento contrattuale di condominio, potesse o meno reputarsi “terzo” rispetto alla sentenza pronunciata nei confronti del condominio, in persona dell'amministratore pro tempore, e perciò legittimato a proporre l'opposizione di terzo al posto dell'appello.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto le doglianze del ricorrente - sostanzialmente vertenti sulla questione relativa alla legittimazione ad appellare - “manifestatamente infondate”.

Si era in presenza di una domanda volta a dichiarare la “nullità” di alcune clausole del regolamento di condominio - ritenuto, con statuizione oramai sottratta al thema decidendum in sede di legittimità - di natura contrattuale - concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea, in deroga all'art. 1136 c.c. ed all'art. 66 disp. att. c.c.

Al riguardo, gli ermellini hanno statuito che il regolamento di condominio c.d. contrattuale, quali ne siano il meccanismo di produzione (interna o esterna) ed il momento della sua efficacia, si configura dal punto di vista strutturale, come un “contratto plurilaterale”, avente cioè pluralità di parti e scopo comune, sicché l'azione di nullità del regolamento medesimo è esperibile - non nei confronti del condominio e, quindi, dell'amministratore, il quale è carente di legittimazione in ordine ad una siffatta domanda, bensì - da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2008, n. 12850; Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1995, n. 12342; Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1990, n. 2590).

Pertanto, nella specie, la sentenza che aveva dichiarato la nullità di alcune clausole del regolamento di condominio contrattuale, accogliendo la domanda proposta nei confronti dell'amministratore di condominio, privo al riguardo di legittimazione passiva, non poteva, perciò, essere appellata da uno o da alcuni singoli condomini - non essendo, comunque, idonea a fare stato nei confronti degli stessi, come, invece, nella fattispecie decisa da Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4436 - seppur costoro siano gli effettivi titolari (dal lato attivo o passivo) del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, alla stregua del principio generale che la legittimazione all'impugnazione, in genere, spetta, fatta eccezione per l'opposizione di terzo, unicamente a chi abbia formalmente assunto la qualità di “parte” nel precedente grado di giudizio conclusosi con la sentenza impugnata, poiché con l'impugnazione non si esercita un'azione ma un potere processuale che può essere riconosciuto soltanto a chi abbia partecipato al precedente grado di giudizio (Cass. civ., sez. VI/I, 29 luglio 2014, n. 17234; Cass. civ., sez. I, 11 settembre 2015, n. 17974; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2006, n. 16100).

Aggiungono, infine, i magistrati del Palazzaccio che non ha rilievo l'insegnamento del supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934, richiamato in memoria dal ricorrente), atteso che esso ha piuttosto ribadito che, nelle controversie condominiali che investono i “diritti reali” dei singoli condomini sulle parti comuni, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale - concorrente con quello dell'amministratore - di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario pro quota.

Osservazioni

A ben vedere, l'art. 1107 c.c. - al pari del successivo art. 1137 in ordine alle delibere assembleari del condominio - si limita a specificare la legittimazione (dissenzienti, astenuti ed assenti) ed il termine (30 giorni), ma nulla dice sulle ragioni sostanziali dell'impugnazione del regolamento di condominio.

Da un lato, è indubitabile che la delibera di approvazione del regolamento sia soggetta, al pari di ogni altra delibera assembleare, all'impugnativa di cui all'art. 1137 c.c., per tutti quei vizi che si risolvano in una situazione di contrarietà alla legge (ad esempio, irregolarità nella convocazione o difetto di quorum deliberativo), e, dall'altro, non ha senso correlare alla mancata impugnazione nel predetto termine l'efficacia del regolamento rispetto a quelle disposizioni che non possono essere approvate a maggioranza (ad esempio, modificazioni ai criteri legali di ripartizione delle spese, anche sull'abbrivio della recente Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839, oppure clausole limitative dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli partecipanti).

Altrimenti, l'impugnazione dovrebbe riguardare soltanto i vizi del regolamento in quanto tale, e non quelli della delibera che lo ha approvato, i quali potrebbero essere fatti valere con l'impugnazione prevista dall'art. 1137 c.c., mentre dovrebbero sfuggire alla sfera di applicazione dell'art. 1107 c.c. ed alla relativa decadenza le impugnative avverso quelle clausole regolamentari che violino i diritti di qualche condomino sulla sua proprietà esclusiva, o che pregiudichino i suoi diritti sulle cose o servizi comuni quali risultino degli atti di acquisto o dalle convenzioni, oppure che contengano disposizioni in contrasto con norme imperative od inderogabili di legge, in quanto l'inefficacia del regolamento potrà essere fatta valere senza limiti di tempo, ed anche mediante accertamento incidentale, in quanto discendente da clausole affette da nullità.

In quest'ottica, non appare corretto distinguere tra l'impugnazione della delibera che approva il regolamento e l'impugnazione avente ad oggetto il medesimo regolamento - anche se così si esprimono gli artt. 1107, commi 1 e 2, e 1138, comma 3, ultima parte, c.c. - o le singole disposizioni regolamentari; è vero che potrebbe esserci una delibera invalida, ossia affetta dai vizi riguardanti il procedimento di formazione - ad esempio, per il mancato rispetto del termine previsto per l'avviso di convocazione, ma stesso discorso vale per le successive fasi della costituzione, votazione, verbalizzazione, ecc. - che ha approvato norme regolamentari valide sotto il profilo contenutistico, per cui, se non impugnata, in quanto invalida, nel prescritto termine di decadenza, tali norme spiegherebbero tranquillamente la loro efficacia, come potrebbe esserci una delibera formalmente inattaccabile che contenga disposizioni regolamentari invalide - ad esempio, vietando una data destinazione all'appartamento - perché aventi ad oggetto materie esulanti dalle competenze assembleari o incidenti nelle posizioni soggettive dei singoli.

È noto, infatti, che l'impugnazione delle delibere assembleari di approvazione del regolamento è regolata dalle regole enunciate nell'art. 1137, comma 2, c.c., che pone a fondamento i vizi consistenti nella contrarietà alla legge o al regolamento, che comportano l'annullabilità della relativa delibera, mentre è generalmente riconosciuta - anche se non prevista dal codice - la figura della nullità consistente nell'illiceità e nell'impossibilità dell'oggetto - v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806, che conferma il revirement inaugurato in materia da Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 31 - ma non per questo, anche per quanto concerne l'impugnazione delle norme regolamentari, occorrerà distinguere le cause di annullabilità e quelle di nullità.

Invero, l'annullabilità attiene agli atti, ossia alle delibere di approvazione del regolamento, e non alle regole contenute nello stesso (riguarda la forma e non la sostanza); in altri termini, il vizio attiene al procedimento formativo della decisione assembleare - convocazione, costituzione, quorum, ecc. - e non al contenuto precettivo della stessa, sicché le norme regolamentari, purché concernenti le materie predeterminate dal comma 1 dell'art. 1138 c.c., possono essere invalidate - non direttamente, ma in via mediata - mediante l'annullamento della relativa delibera di approvazione, assunta senza il rispetto delle regole procedimentali stabilite per la loro formazione.

Laddove, invece, la norma regolamentare abbia un contenuto che esula dalla competenza assembleare, o leda le posizioni soggettive dei singoli, oppure deroghi alle prescrizioni di legge imperative - ad esempio, la clausola, rispettivamente, che autorizzi il collegio a realizzare un ascensore che renda parte dello stabile inservibile all'uso di un condominio, o che interferisca nella destinazione di un appartamento vietandone l'adibizione a studio dentistico, oppure che precluda ai dissenzienti di separare la propria responsabilità in caso di liti - è sempre la delibera che ha approvato il regolamento ad essere viziata, questa volta di nullità, in quanto il suo oggetto, cioè il precetto in essa contenuto, è caratterizzato dall'impossibilità o dall'illiceità; la predetta delibera, proprio perché affetta da nullità, potrà essere impugnata (da chiunque abbia interesse) in parte de qua - che non travolge la restante parte della delibera concernente le altre regole non legate alle prime da nessi di connessione - anche se decorsi i termini ex art. 1107 c.c., non potendo un vizio così grave essere sanato con il mero decorrere del tempo.

Qualche precisazione merita il regolamento contrattuale, oggetto della sentenza in commento, in quanto con il procedimento di “impugnazione” - terminologia impropria ai sensi e per gli effetti del combinato disposto di cui agli artt. 1107 e 1138 c.c. - si fanno, in realtà, valere i vizi del negozio, ossia i vizi della convenzione che approva il regolamento, o della fattispecie negoziale composta dalla clausola di adesione e dal testo regolamentare predisposto dal proprietario-venditore.

In quest'ultima ipotesi, l'impugnazione del regolamento contrattuale è disciplinata dalle regole ordinarie in tema di invalidità dei contratti, nelle tradizionali figure della nullità e dell'annullabilità, con i differenti regimi - mutuabili da quelli relativi alle delibere assembleari - in punto a legittimazione a proporre la domanda, limiti temporali per farla valere, prescrittibilità, rilevabilità d'ufficio, retroattività della sentenza, riflessi rispetto ai terzi, efficacia costitutiva o dichiarativa, e quant'altro.

La prima figura - nullità - ricorre quando sussiste la contrarietà a norme imperative, la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'art. 1325 c.c. (l'accordo delle parti, la causa, l'oggetto e la forma prescritta a pena di nullità), l'illiceità della causa ex art. 1343 c.c. o dei motivi quando le parti si sono determinate a concludere l'atto per un motivo illecito comune ad entrambe ai sensi dell'art. 1345 c.c., oppure la mancanza nell'oggetto dei requisiti richiesti dall'art. 1346 c.c. (possibilità, liceità, determinatezza o determinabilità).

Si è, comunque, riconosciuto che le discussioni e le trattative prolungate che precedono, rispettivamente, le suddette convenzione ed adesione, rendono consapevoli le parti del tenore degli accordi, i quali vengono stipulati in piena consapevolezza e libertà, tanto che raramente il regolamento contrattuale possa essere inficiato dalla dichiarazione non seria, dalla violenza fisica e dall'incapacità di intendere e di volere; altrettanto rari, attese le modalità concrete con cui si perfeziona il suddetto regolamento, sono la mancanza di causa, oggetto e forma prescritta; più probabile, invece, che le parti stipulino accordi in cui si riscontri la contrarietà della causa, dei motivi e dell'oggetto alle norme imperative (ad esempio, quelle inderogabili ex art. 1138, comma 4, c.c.), all'ordine pubblico ed al buon costume (si pensi alle clausole che autorizzino la destinazione dei locali all'esercizio della prostituzione o alla ripresa di film pornografici).

La seconda figura - annullabilità - ricorre allorquando sussistano le ipotesi previste dagli artt. 1425-1440 c.c. relative alla convenzione con cui tutti i condomini stipulano il regolamento, o alla clausola di adesione con cui ciascun acquirente aderisce allo stesso regolamento predisposto dal costruttore-venditore.

In quest'ottica, si può richiamare, ad esempio, l'incapacità di agire, l'incapacità di intendere e di volere, sempre che si provi il pregiudizio per l'incapace - ad esempio, l'imputazione, in misura assolutamente sproporzionata, di spese per la pulizia e l'illuminazione dipendenti dall'adibizione di un appartamento a studio professionale - nonché la mala fede degli altri contraenti, i quali conoscevano lo stato di incapacità naturale ed il pregiudizio per l'incapace, o avrebbero potuto conoscerli con l'ordinaria diligenza (non si nasconde che, quando il regolamento è allegato alla compravendita, si potrebbe ipotizzare l'adesione dell'incapace di intendere e di volere, il suo pregiudizio, la malafede del costruttore-venditore, ecc., ma è più difficile ipotizzare gli stessi vizi nella convenzione stipulata da tutti i condomini, essendo inverosimile che tutti intendano approfittare dell'incapacità di uno dei partecipanti al gruppo).

Si possono richiamare, altresì, i vizi del consenso, ossia qualora la volontà dei contraenti o dell'acquirente sia dichiarata per errore, nei casi di errore di fatto (come falsa rappresentazione della realtà), ed errore di diritto (si pensi al caso dell'ignoranza delle norme di regolamento predisposto dal venditore, che riservino a quest'ultimo la proprietà della facciata dello stabile vietandone l'uso ai condomini, laddove l'acquirente si era indotto a comprare il negozio sito sul fronte strada con l'intenzione di utilizzare la stessa facciata apponendo un'insegna luminosa per pubblicizzare l'attività commerciale svolta in tale locale).

Si possono rammentare, infine, l'errore ostativo (che cade nella dichiarazione esterna), o qualora il consenso sia stato estorto con la minaccia (che, se non fosse stato prestato, sarebbe stato inferto un male alla persona o ai beni dei condomini, acquirenti, e loro familiari), oppure qualora i condomini stipulanti o l'acquirente siano stati indotti in errore da raggiri usati da alcuni condomini, dal venditore o da terzi (purché l'inganno sia tale che, senza lo stesso, le parti non avrebbero concluso il contratto).

Sul versante processuale, dal punto di vista attivo - salvo le ipotesi di nullità sopra delineate - sono legittimati i condomini assenti, i dissenzienti e gli astenuti; atteso che destinatari delle norme regolamentari sono tutti i partecipanti, per il solo fatto di essere vincolati all'osservanza di esse, si è sostenuto che non si presuppone un interesse concreto all'eliminazione della norma regolamentare viziata, nel senso che non occorre che la predetta norma leda un interesse specifico di chi impugna e questi si trovi nella situazione prevista dalla norma di cui si chiede l'eliminazione dal contesto regolamentare (Trib. Firenze 14 marzo 1963).

Dal punto di vista passivo - come ribadito dalla sentenza in epigrafe - stante che il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (esterna o interna), si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto convenzionale del condominio, di cui ne disciplina la vita e l'attività come ente di gestione, come atto volto ad incidere su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente rilevanti per tutti i condomini, l'azione proposta da uno o più condomini per ottenere la declaratoria di nullità del regolamento medesimo, deve avere come contraddittori necessari tutti gli altri condomini, non potendo l'eventuale sentenza di accoglimento ritenersi utiliter data (v., tra le altre, non citate nella relativa motivazione, Cass. civ., sez. VI/II, 9 novembre 2020, n. 24957; Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1992, n. 11626; nella giurisprudenza di merito, si segnala Trib. Milano 11 giugno 1952; contra, per la legittimazione passiva dell'amministratore in quanto l'impugnazione del regolamento è una delle controversie che concernono le parti comuni ex art. 1131, comma 2, c.c., v. Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1978, n. 5769, e, tra le decisioni di merito, App. Bari 3 febbraio 1954; per l'esclusione di tale legittimazione nel solo caso in cui si voglia far valere l'invalidità di disposizioni regolamentari aventi in realtà natura contrattuale, v. Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1972, n. 2605).

Riferimenti

Corona, I regolamenti di condominio, Torino, 2004, 87;

Frigerio, Efficacia vincolante dei regolamenti condominiali approvati con sentenza, in Vita notar., 1994, 649;

Triola, Il regolamento di condominio, Milano, 1992, 131;

Ruscello, I regolamenti di condominio, Napoli, 1980;

Mancini, Formazione del regolamento obbligatorio e poteri del giudice, in Giur. merito, 1979, I, 537;

Salis, Regolamento obbligatorio e poteri dell'autorità giudiziaria, in Riv. giur. edil., 1969, I, 414;

Jannuzzi, Formazione del regolamento di condominio da parte dell'autorità giudiziaria, in Giur. merito, 1969, I, 70;

Andreoli, I regolamenti di condominio, Torino, 1961;

Garbagnati, Sulla legittimazione a contraddire dell'amministratore di un condominio, in Foro pad., 1953, I, 334.

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