Caduta sul pavè: responsabilità da cose in custodia e riparto dell'onere probatorio

Giuseppe Sileci
21 Luglio 2021

Accertato il carattere colposo della condotta tenuta dal danneggiato e l'imprevedibilità / inevitabilità di tale condotta da parte del custode, si assiste ad un'interruzione del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso: l'iniziale (apparente) riconducibilità dell'evento alla cosa in custodia provata (già) dal danneggiato, qualora venga successivamente provato dal custode il caso fortuito...
Massima

Accertato il carattere colposo della condotta tenuta dal danneggiato e l'imprevedibilità / inevitabilità di tale condotta da parte del custode, si assiste ad un'interruzione del nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso: l'iniziale (apparente) riconducibilità dell'evento alla cosa in custodia provata (già) dal danneggiato, qualora venga successivamente provato dal custode il caso fortuito, regredisce a mera occasione o “teatro” della vicenda produttiva di danno, atteso che la condotta colposa del danneggiato assume efficacia causale autonoma e sufficiente per la determinazione dell'evento lesivo, così da escludere qualunque rilevanza alla situazione preesistente (nella specie il Tribunale ha rigettato la domanda perché in presenza di una cosa connotata da pericolosità manifesta e visibile, quale è la pavimentazione in pavé che per sua natura è disconnessa e non uniforme, l'utente non aveva rispettato il minimale e generale obbligo di prudenza e diligenza, che consiste nel guardare dove posa i piedi, così da evitare il pericolo derivante dalla pavimentazione irregolare).

Il caso

Tizio ha adito il Tribunale per sentire condannare il Comune di Milano al risarcimento dei danni che si era procurato cadendo a causa della irregolarità della pavimentazione in pavè della pubblica via. Si è costituita l'amministrazione comunale eccependo l'insussistenza dei presupposti per la operatività dell'art. 2051 c.c. in considerazione del carattere visibile e prevedibile dell'irregolarità del calpestio e, in subordine, il concorso di colpa del danneggiato. Il Tribunale, ritenendo superflua ogni ulteriore attività istruttoria e la causa matura per la decisione, ha rigettato la domanda affermando che il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento dannoso era stato interrotto dal fatto colposo del medesimo danneggiato, a quest'ultimo dovendosi ascrivere in maniera esclusiva l'inciampo e la successiva caduta.

La questione

Quando nella responsabilità da cosa in custodia la condotta del medesimo danneggiato costituisce caso fortuito?

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda del pedone che, inciampando nella pavimentazione irregolare della pubblica via, era caduto procurandosi delle lesioni.

Nel pervenire a questa decisione, il Giudice si sofferma innanzitutto sugli aspetti peculiari della responsabilità da cosa in custodia stabilita dall'art. 2051 c.c., optando subito per l'orientamento prevalente, e cioè che la norma in esame configura una ipotesi di responsabilità oggettiva che prescinde da qualunque connotato di colpa e che l'inquadramento della fattispecie nel suo ambito di applicazione ha rilevanti conseguenze sul piano probatorio: l'attore, infatti, dovrà dimostrare l'esistenza della custodia (e cioè di una relazione tra il convenuto e la cosa) ed il nesso di causalità tra evento e cosa, nel senso di derivazione del primo dalla seconda; assolto il suddetto onere probatorio, il convenuto si libererà dalla responsabilità dimostrando il caso fortuito, ossia un fattore interruttivo del nesso di causa, senza che a tal riguardo rilevi in qualche modo la prova della diligenza nell'esercizio della custodia sulla cosa.

Quindi il Tribunale si sofferma sul caso fortuito, che è quel fatto dotato dei requisiti dell'autonomia, della eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità ed anche idoneo a produrre autonomamente l'evento di danno, la cui origine può individuarsi in un evento naturale, nel fatto del terzo oppure nella condotta dello stesso danneggiato.

Quando si ascrive alla condotta del danneggiato la elisione del caso fortuito, occorre distinguere tra cose seagenti o dinamiche e cose inerti.

Rispetto alle prime, l'apporto concausale della condotta dell'uomo è limitata se non del tutto assente (si pensi al caso dello scoppio di una caldaia, di esalazioni venefiche provenienti da un manufatto, della caduta dalle scale mobili); rispetto alle cose inerti (si pensi al caso di pavimentazioni scivolose o irregolari) la attitudine di queste a provocare il danno richiede necessariamente la interazione della condotta umana e dunque il comportamento del danneggiato è elemento che necessariamente si inserisce nella serie causale.

Se il danno è stato causato da cose inerti, aggiunge il Tribunale che occorre distinguere due ipotesi, e cioè il caso in cui la cosa, pur se inerte, ha una qualificata capacità eziologica rispetto all'evento (c.d. fortuito concorrente), da non confondere con il c.d. fortuito incidente in cui la cosa costituisce mera occasione dell'evento dannoso e la condotta colposa della vittima riveste efficacia esclusiva in termini causali, rilevabile anche d'ufficio dal giudice ai sensi dell'art. 1227, c. 1, c.c..

Non qualunque comportamento del danneggiato è idoneo ad interrompere il nesso causale, però; occorre che la vittima abbia agito con colpa, e cioè in spregio alle comuni regole di prudenza e diligenza.

Ai fini della prova dell'elemento soggettivo rileva la maggiore o minore insidiosità della cosa, nel senso che tanto più questa è insidiosa (e cioè oggettivamente pericolosa e soggettivamente non percepibile) tanto più sarà scusabile la condotta della vittima (si pensi al caso di una chiazza d'olio sull'asfalto non immediatamente percepibile); viceversa, quanto più la pericolosità della cosa sarà visibile, tanto più sarà censurabile il comportamento del danneggiato che, pur potendo prevedere la situazione di pericolo, non abbia adottato le cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze ed esigibili in considerazione del dovere di solidarietà ex art. 2, Cost.

Se per una parte minoritaria della giurisprudenza la dimostrazione della condotta colposa del danneggiato è sufficiente ad integrare il caso fortuito, la giurisprudenza prevalente (alla quale aderisce anche il Tribunale meneghino) richiede anche che il custode alleghi e provi la imprevedibilità e la inevitabilità della condotta colposa del danneggiato.

Tuttavia, l'indagine sulla imprevedibilità ed inevitabilità deve sempre effettuarsi sul piano oggettivo, e non su quello soggettivo, perché essa è finalizzata ad accertare l'eccezionalità del fattore esterno e la conseguente interruzione del nesso causale, non invece l'eventuale colpa del custode.

È imprevedibile quella condotta colposa del danneggiato che costituisca una evenienza non ragionevole o accettabile e, quindi, possa ritenersi eccezionale, inconsueta, inattesa da una persona sensata, in applicazione del criterio della causalità adeguata.

Ed a maggior ragione sarà imprevedibile la condotta abnorme del danneggiato, che si ha tutte le volte in cui è più evidente la divergenza tra la condotta tenuta dal danneggiato e le cautele di cui il custode poteva ragionevolmente attendersi il rispetto da parte della vittima, alla luce delle circostanze concrete ed in considerazione del dovere di solidarietà sociale.

Il giudizio sulla prevedibilità o meno deve essere effettuato in concreto (astrattamente, infatti, qualunque evento sarebbe prevedibile) e cioè tenendo conto di un determinato momento storico e delle circostanze specifiche che connotano la singola fattispecie.

Per accertare se ed in che misura la condotta colposa del danneggiato debba considerarsi imprevedibile si può fare ricorso al criterio della prevenibilità ed evitabilità, avendo cura però di rifuggire dal giudizio controfattuale: l'inevitabilità della colposa condotta del danneggiato, cioè, non richiede la prova della diligenza nella custodia (che è circostanza del tutto irrilevante).

Si pensi al caso della macchia d'olio sull'asfalto lasciata da un veicolo in transito: l'ente proprietario del manufatto si libererà da responsabilità non se proverà di avere effettuato con diligenza la manutenzione della pubblica via al fine di prevenire ed evitare l'insorgenza di pericoli, bensì se dimostrerà che la situazione insidiosa si è creata poco prima del sinistro.

Ebbene, nel caso specifico il Tribunale di Milano non ha accolto la domanda dell'attore ritenendo – alla luce dei superiori principi – che l'inciampo e la successiva caduta del pedone dovessero ascriversi esclusivamente alla colpa del medesimo danneggiato.

E ciò all'esito di una valutazione in concreto in cui il Giudice ha tenuto in debita considerazione innanzitutto il tipo di pavimentazione – nella specie pavé – che è per sua natura disconnessa e non uniforme; inoltre il dislivello e l'usura dei masselli della pavimentazione incriminata erano facilmente visibili, anche in considerazione dell'ora diurna; la situazione dei luoghi, quindi, avrebbe dovuto consigliare al pedone di prestare maggiore attenzione su dove posava i piedi, magari evitando il massello deviando un poco la sua direzione, e rende la condotta di quest'ultimo sia abnorme ma anche inevitabile: i dislivelli tra i masselli e la disomogeneità della superficie degli stessi sono elementi intrinseci della pavimentazione pavé, che peraltro è sottoposta a vincoli dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici e risulta, quindi, neppure facilmente eliminabile da parte del custode.

In definitiva, poiché la cosa in custodia ha costituito una mera occasione dell'incidente ed essendo stata accertata la condotta colposa del medesimo danneggiato (e la sua imprevedibilità ed inevitabilità), il Tribunale ha ritenuto che tale condotta abbia interrotto il nesso causale tra la cosa e l'evento ed ha pure escluso la responsabilità della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 2043 c.c., non essendo stato provato l'elemento soggettivo del dolo o della colpa in capo all'Ente.

Osservazioni

Il Tribunale meneghino opta in maniera convinta per la natura oggettiva della responsabilità del custode stabilita dall'art. 2051 c.c. e non cede alle suggestioni di quella tesi che, invece, preferisce parlare di responsabilità c.d. aggravata.

Aggravata nella misura in cui il custode, per liberarsi da responsabilità, è tenuto “a dimostrare che il danno si è verificato in modo non prevedibile né superabile con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso concreto” (Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2020 n. 11096; Appello Roma, 28 luglio 2020 n. 3818; Trib. Bari, 2 febbraio 2017 n. 617; Trib. Roma, 22 marzo 2016 n. 5858).

Dunque, colui il quale è in una particolare relazione con la cosa dovrà “dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative e già del principio generale del neminem laedere” (Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2020, n. 11096); e risponderà ugualmente delle conseguenze pregiudizievoli causate dalla cosa se non riuscirà a provare che non c'è stato modo di prevedere ed evitare l'evento, nonostante la sua diligenza.

È evidente che – aderendo alla teoria della responsabilità c.d. aggravata – la concreta condotta del custode (del tutto ininfluente per i fautori della responsabilità oggettiva) diviene l'elemento centrale della imputazione, nel senso che intanto occorrerà dimostrare la osservanza di quei doveri di controllo, vigilanza e manutenzione che discendono dalla particolare relazione con la cosa e che tanto non basterà a liberare il custode dall'obbligo di risarcire il danneggiato se non sarà anche dimostrato che il danno si è ugualmente verificato per la azione di fattori esterni “non prevedibili né superabili con lo sforzo diligente adeguato alle concrete circostanze del caso”.

E non a caso la giurisprudenza che preferisce inquadrare la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. nella responsabilità c.d. aggravata si sofferma – nel momento in cui deve valutare il comportamento del danneggiato ai sensi dell'art. 1227, c. 1, c.c. – sulle caratteristiche intrinseche della cosa e, distinguendo “tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada e quelle provocate da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa”, ravvisa il caso fortuito solo nel mutamento repentino della cosa medesima che non ha consentito alcun intervento da parte del custode.

Le conseguenze, a seconda che si opti per la tesi della responsabilità oggettiva ovvero per quella della responsabilità c.d. aggravata, sono tutt'altro che trascurabili.

Si pensi alla fattispecie decisa dalla sentenza in esame.

Lo stato in cui versava la cosa (ossia una pavimentazione in pavé per sua natura disconnessa e non uniforme in quanto costituita da masselli dalla superficie non omogenea) avrebbe dovuto implicare senz'altro la responsabilità dell'ente proprietario della strada qualora questo non avesse dimostrato non solo la propria diligenza nell'esercizio del suo potere sulla cosa ma anche la imprevedibilità ed inevitabilità – nonostante tutto – dell'evento.

Invece il Tribunale – con motivazione assai condivisibile – ha ribaltato letteralmente la prospettiva ed ha escluso la responsabilità dell'Ente ritenendo sufficientemente dimostrato – alla luce delle stesse allegazioni di parte attrice – l'esclusivo fatto colposo del medesimo danneggiato e dunque soddisfatto il caso fortuito.

Invero, a seconda che si prediliga la natura oggettiva ovvero aggravata della responsabilità da cose in custodia, anche la prova liberatoria – cioè il caso fortuito – varia sensibilmente nella sostanza.

La teoria della responsabilità oggettiva non richiede alcuna indagine sulla diligenza del custode, il quale dovrà dimostrare soltanto che nella relazione tra cosa ed evento si è inserita con efficienza causale decisiva un fatto esterno (che può essere un fatto naturale, ovvero il fatto umano del medesimo danneggiato o di un terzo) idoneo ad elidere il nesso di causalità.

La teoria della responsabilità c.d. aggravata, invece, stigmatizza proprio i doveri di vigilanza, controllo e manutenzione che incombono sul custode ed ascrive senz'altro al detto custode il danno derivante dalla cosa se questi non prova di avere agito con la diligenza richiesta dal caso concreto (quindi se non prova di avere esercitato il controllo e la vigilanza sulla res) e – soddisfatto questo presupposto – se non prova che l'evento si è verificato a causa della sua imprevedibilità ed inevitabilità, nonostante gli sforzi fatti.

In entrambe le ipotesi vi è una inversione dell'onere della prova rispetto al paradigma classico della responsabilità aquiliana, solo che in un caso (responsabilità oggettiva) il fortuito (dunque il fatto che libera il custode da responsabilità) è di per sé idoneo ad interrompere il nesso causale, anche qualora sia manifesto che non sono stati osservati i doveri di controllo e vigilanza sulla cosa; nell'altro (responsabilità aggravata) il caso fortuito rilevante è quell'evento che, nonostante la diligente osservanza dei doveri di controllo sulla cosa, il custode non è stato in alcun modo di prevedere e di evitare.

Nella responsabilità aggravata, pertanto, la condotta colposa del danneggiato può tuttalpiù costituire una concausa del danno, ma ben difficilmente sarà da sola sufficiente ad escludere la responsabilità del custode che non abbia provato di essersi attenuto ai canoni di diligenza.

Nella responsabilità oggettiva, invece, il fatto imputabile al danneggiato può essere di per sé idoneo ad interrompere il nesso causale e liberare da responsabilità il custode se – considerate tutte le circostanze concrete e lo stato della cosa – possa dirsi che era prevedibile – secondo il criterio della causalità adeguata – attendersi dalla vittima un comportamento più accorto ed avveduto; e sarà senz'altro imprevedibile la condotta abnorme del danneggiato, che si ha quando – come bene ha messo in evidenza il Tribunale di Milano – “tanto maggiore è la divergenza tra la condotta tenuta dal danneggiato e le cautele di cui il custode poteva ragionevolmente attendersi il rispetto da parte della vittima, alla luce delle circostanze concrete in considerazione del dovere di solidarietà sociale ex art. 2 Cost.”.

Orbene, a me pare che la teoria della responsabilità oggettiva si presti meglio al bilanciamento dei contrapposti interessi perché per un verso appesantisce senz'altro la posizione processuale del custode ma, per altro verso, responsabilizza la vittima del danno addossandogli interamente le conseguenze della sua colpevole disattenzione e/o manifesta imprudenza.

Si vuole dire che, per quanto il custode debba rispondere per il fatto oggettivo della sua relazione con la cosa, si avrà (o si potrà comunque avere) il caso – non infrequente – in cui la cosa, per le sue intrinseche caratteristiche, sia del tutto inoffensiva senza la interazione umana del danneggiato: in queste ipotesi rischierebbe di apparire irragionevole ed iniquo pretendere dal custode un controllo talmente continuo ed intenso sul bene, così da prevenire qualunque variazione nello stato della cosa o la insorgenza di qualunque pericolo, se si può fare ragionevole affidamento sulla attenzione di ciascun consociato ad evitare la propria esposizione a pericoli osservando le regole di comune prudenza.

E mi pare che proprio sul senso di responsabilità del medesimo danneggiato si sia soffermato il Tribunale di Milano per esonerare la amministrazione comunale.

Un'ultima annotazione: il Tribunale affronta e risolve in modo condivisibile l'aspetto forse più problematico della teoria c.d. oggettiva della responsabilità da cosa in custodia.

Questa, infatti, non si limita ad esigere la prova del fatto colposo del medesimo danneggiato, ma richiede anche la dimostrazione della imprevedibilità ed inevitabilità della detta condotta.

È questo l'aspetto più critico perché è facile – nel momento in cui si stabilisce cosa sia imprevedibile ed inevitabile – finire per indagare la diligenza del custode, così trasformando la responsabilità da oggettiva in colposa.

Il Tribunale di Milano, invece, affronta in maniera convincente il problema intanto ribadendo che la condotta colposa del danneggiato deve essere imprevedibile nel senso che essa – secondo un criterio probabilistico di regolarità causale – abbia costituito una evenienza non ragionevole o accettabile e, quindi, possa ritenersi eccezionale, inconsueta, inattesa da una persona sensata: giudizio da effettuare accertando, secondo una prognosi postuma, la prevedibilità ex ante da parte del custode della condotta imprudente del danneggiato.

Viceversa, l'elemento della prevenibilità/evitabilità è considerato dal Tribunale quale criterio “complementare” per l'accertamento della prevedibilità.

Poiché è ragionevole attendersi che qualunque persona di buon senso non si esponga al pericolo di lesioni personali e presti la dovuta attenzione per salvaguardare se stessa, è imprevedibile quella condotta che si discosti da questo agire.

E tanto potrebbe bastare, nel senso che nella imprevedibilità è implicita la non prevenibilità ed evitabilità perché, come opportunamente sottolineato dal Decidente, “la non evitabilità del fattore che si innesta nel decorso causale può, infatti, evidentemente derivare da una sua non prevedibilità in concreto da parte del custode”.

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