Risoluzione del rent to buy per reciproci inadempimenti
22 Luglio 2021
Massima
Nella locazione traslativa del rent to buy, i rapporti tra azione di risoluzione e di risarcimento integrale, e azione di recesso con ritenzione della caparra si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale sicché, una volta proposta domanda di risoluzione e di risarcimento, non può ritenersene consentita la trasformazione in domanda di recesso con ritenzione di caparra, tali rimedi essendo tra loro alternativi e non cumulabili. Il diritto potestativo di risolvere di diritto il contratto, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, è regolato dal principio di buona fede, quale criterio fondamentale per valutare l'agire dei privati e quale regola di azione per i contraenti in ogni fase del rapporto. Quando, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento in forza di clausola risolutiva espressa sia sollevata eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. - pure essa sottoposta al principio di buona fede - la volontà di avvalersi di tale clausola risolutiva non paralizza o blocca l'eccezione di inadempimento, dovendosi tener conto della logica pregiudizialità di quest'ultima eccezione rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi che discendono in modo automatico dall'accertamento di un inadempimento colpevole ed occorre una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti, avuto riguardo alla loro proporzionalità e alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse. Ove il debitore, convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, si avvalga dell'eccezione ex art. 1460 c.c., a norma dell'art. 2697 c.c. grava su entrambe le parti contrattuali l‘onere della prova dei fatti costitutivi del diritto fatto valere o dell'eccezione e chi agisce per l'adempimento deve provare la fonte del suo diritto ed il termine di scadenza, mentre chi agisce ex art. 1460 c.c., deve provare il fatto che sta alla base della sua eccezione.
Il caso
Con atto di intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la convalida - di cui agli atti non risulta la data - il locatore promittente venditore di un contratto di rent to buy, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, prevista dall'art. 14 del contratto e collegata ad una diffida ad adempiere, adiva il Tribunale di Milano esponendo di avere concesso in godimento al conduttore promissario acquirente, alcune unità immobiliari con contratto del 10 giugno 2016, successivamente integrato in data 2 agosto 2017. Il conduttore si era reso moroso nel pagamento del canone mensile per i mesi di marzo, aprile e maggio 2018 e il pagamento non era stato effettuato neppure dopo la diffida ad adempiere contrattualmente prevista. Persistendo la morosità, il promittente venditore chiedeva convalidarsi lo sfratto per morosità con ingiunzione di pagamento all'intimato dei canoni in corso, oltre ai canoni a scadere, sino all'esecuzione dello sfratto, oltre alla corresponsione di una penale contrattuale. Si costituiva l'intimato, eccependo il difetto di procura del difensore costituito, con conseguente nullità della diffida ad adempiere sottoscritta dal solo procuratore, deducendo altresì che i locali in questione risultavano non ultimati e quindi non fruibili, sicché non poteva configurarsi alcun obbligo di pagamento dei canoni mensili; che era configurabile un inadempimento dell'intimante, non avendo quest'ultimo consegnato, entro il termine pattuito, locali idonei all'uso; che, non essendo stato redatto verbale di consegna, non era avvenuta l'immissione nel possesso, presupposto per la decorrenza dei pagamenti, sicché si opponeva alla convalida e, in via riconvenzionale, invocando la risoluzione per inadempimento dell'intimante ex art. 1460 c.c., chiedeva condannarsi quest'ultimo alla restituzione del doppio della caparra versata. Con provvedimento del 16 ottobre 2018, il Tribunale, ritenuta provata la mancata ultimazione di alcune opere e la mancata consegna entro il termine pattuito, non emetteva ordinanza provvisoria di rilascio e disponeva la conversione della causa nel rito speciale locatizio, ex art. 447-bis c.p.c. Esperita la mediazione, con provvedimento del 7 giugno 2019, il giudice meneghino rigettava la domanda cautelare in corso di causa, con cui la resistente chiedeva autorizzarsi il sequestro conservativo dei beni della parte ricorrente, paventando il pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale in ordine alla restituzione del doppio della caparra versata. Senza l'ammissione delle prove dedotte dal locatore, lo stesso giudice disponeva la trattazione scritta ex art. 83, lett.h), del d.l. n. 18/2020 e, previo scambio di note scritte, la causa veniva trattenuta in decisione sulle seguenti conclusioni: per il ricorrente, dichiarare l'intervenuto recesso dal contratto di rent to buy per esclusivo inadempimento della resistente; di conseguenza dichiarare il diritto della ricorrente a ritenere la caparra confirmatoria; per la resistente, in via riconvenzionale dichiararsi l'intervenuto recesso dal contratto di rent to buy per grave e continuato esclusivo inadempimento della parte ricorrente e per effetto condannarla alla restituzione del doppio della caparra ed alla restituzione, ex art.2033 c.c., di tutte le somme versate in acconto, in forza del contratto di rent to buy. La questione
Per la dottrina, il rent to buy di cui al d.l.n. 133/2014, è configurato come una locazione-vendita, relativamente alle fattispecie in cui si trovino combinati elementi della locazione e della vendita. In particolare, le operazioni di rent to buy sono caratterizzate da una prima fase, nel corso della quale il potenziale acquirente acquisisce il godimento dell'immobile corrispondendo un canone periodico e da una seconda fase, nel corso della quale il medesimo soggetto acquista - sulla base di un obbligo oppure di una semplice facoltà prevista fin dall'inizio - la proprietà del bene, pagando una somma a saldo del prezzo, che tiene conto di quanto anticipato nel corso della prima fase. Con la precisazione che tempi, modalità ed importi dei pagamenti nelle due fasi possono essere variamente definiti dalle parti, in base ai concreti interessi perseguiti. Sempre per la dottrina, il rent to buy presenta innegabili analogie con la locazione con opzione di acquisto e con la locazione collegata ad un preliminare di futura vendita, con obblighi unilaterali o bilaterali, cui dovrà seguire l'atto che produce l'effetto traslativo della proprietà, all'accettazione dell'opzione e del contratto definitivo. In questo senso, l'esigenza alla base delle operazioni di rent to buy è soddisfatta attraverso un contratto di locazione in cui si convenga che al termine del contratto la proprietà della cosa sia acquisita dal conduttore, per effetto del pagamento dei canoni - fermo il disposto dell'art. 1526, comma 3, c.c. - con trasferimento automatico e senza che sia richiesta una successiva manifestazione di volontà. È in ogni caso fuori discussione che il rent to buy si configura come un contratto di locazione atipico, in grado di soddisfare talune esigenze che i contratti tipici non riuscirebbero ad offrire. Per alcuni, il rent to buy, così come il leasing, sarebbe un contratto atipico che, pur senza una disciplina codicistica espressamente riferibile, si veste di una propria tipizzazione, in dipendenza di una causa sociale che risponde alla tutela di interessi diffusi nell'intera collettività e quindi, di una causa socialmente tipica, determinata dalla funzione sociale alla quale essa è chiamata a rispondere. In particolare, nel rent to buy si sarebbe in presenza di uno speciale contratto di locazione, caratterizzato dalla sussistenza di una speciale clausola contenente il diritto del conduttore ad acquistare la proprietà del bene imputando a prezzo, in tutto o in parte, i canoni pagati, ma con uno schema contrattuale a sé stante, rispetto alla normale locazione, caratterizzato da norme speciali rispetto a quelle del codice civile, con una tipologia contrattuale unitaria, differente dalla locazione con collegato preliminare o opzione di vendita e dalla vendita con riserva di proprietà. Nell'ambito di tale impostazione sembra doversi iscrivere la sentenza del Tribunale di Milano in commento, che tra le varie opzioni di applicazione analogica del rent to buy (locazione con collegato preliminare, opzione di vendita, vendita con riserva della proprietà e leasing traslativo) sembra ritenere applicabile - analogicamente a quanto accaduto nel leasing traslativo - il disposto dell'art. 1526 c.c., per il quale la riduzione dell'indennità comporta un meccanismo riequilibratore delle prestazioni delle parti (Cass. civ., sez. III, 7 gennaio 1993, n. 65). Le soluzioni giuridiche
Come anticipato, entrambe le parti in causa dopo aver proposto la risoluzione di un contratto di rent to buy, in sede di conclusioni hanno chiesto rispettivamente l'intervenuto recesso dal contratto e la legittimità della sospensione dei canoni, costringendo con una qualche difficoltà il giudice meneghino ad intervenire sul tema del rapporto tra azione di risoluzione e recesso. In quest'ottica, lo stesso magistrato ha dovuto affermare che non può ritenersi consentita la trasformazione dell'azione di risoluzione in domanda di recesso con ritenzione di caparra, evidenziando che l'azione di risoluzione e l'azione di recesso ex art. 1385 c.c. - quest'ultima non prevista nel contratto tra le parti in causa - si pongono in termini di assoluta incompatibilità strutturale e funzionale. E invero, se le due diverse azioni fossero compatibili, verrebbe a vanificarsi la stessa funzione della caparra, quella cioè di consentire una liquidazione anticipata e convenzionale del danno, volta ad evitare l'instaurazione di un giudizio contenzioso «consentendosi inammissibilmente alla parte non inadempiente di scommettere puramente e semplicemente sul processo senza rischi di sorta». E ciò, anche quando parte non inadempiente sia il promissario acquirente, il quale avrà la possibilità di esigere il doppio della caparra versata ovvero di domandare la risoluzione del contratto, unitamente al risarcimento del danno, secondo i criteri ordinari. Con la conseguenza che la domanda di recesso dell'attore - in forza della clausola risolutiva espressa azionata e in forza della domanda di risoluzione del contratto e di intimazione di sfratto per morosità - e l'eccezione di inadempimento, sollevata dal convenuto, valgono a mantenere le azioni svolte dalle parti nell'ambito di un giudizio solutorio per inadempimenti reciproci. Alla definizione del thema decidendum, ha comunque posto rimedio il magistrato adito, qualificando il recesso dell'attore come attivazione di una clausola risolutiva espressa e il recesso del convenuto come eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. e valutando i reciproci inadempimenti delle parti (mancato pagamento dei canoni a carico del conduttore promissario acquirente e mancata garanzia per i vizi dell'immobile locato per pretesa inidoneità all'uso, a carico del promittente locatore). Nella propria decisione, il Tribunale milanese ha fatto propria la giurisprudenza di legittimità in materia di reciproci inadempimenti contrattuali, applicando i principi stabiliti dalle SezioniUnite della Cassazione n. 13533/2010, secondo cui, in presenza di inadempimenti reciproci, il giudice ove venga proposta dalla parte l'eccezione inadimplenti non est adimplendum, deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti adempimenti, avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, alla loro rispettiva incidenza sull'equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui qualora rilevi che l'inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l'eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza in relazione all'interesse dell'altra parte a norma dell'art. 1455 c.c., il rifiuto di adempiere la propria obbligazione deve ritenersi non avvenuto in buona fede e quindi non giustificato, ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c. In particolare, al fine di stabilire su quale tra i contraenti debba ricadere l'inadempimento colpevole, giustificativo dell'inadempimento dell'altro, il giudice - nei contratti a prestazioni corrispettive - deve procedere ad una valutazione unitaria e comparativa dei rispettivi inadempimenti e comportamenti che, aldilà del pur necessario riferimento all'elemento cronologico degli stessi, si basi sul loro rapporto di dipendenza e sul concetto di proporzionalità, tenendo conto altresì della funzione socio-economica del contratto (Cass. n. 18320/2015). Con la conseguenza che il rifiuto di adempiere, ex art. 1460 c.c., preclude alla controparte non solo la possibilità di proporre domanda di risoluzione giudiziale ex art. 1453, ma anche quella di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all'art.1456 c.c., la cui operatività, pur prescindendo dal parametro della gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., presuppone comunque l'imputabilità dello stesso. E con la conseguenza che l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. deve essere valutata per la sua pregiudizialità logica rispetto all'avverarsi degli effetti risolutivi, normalmente automatici, discendenti dalla clausola risolutiva espressa. Quest'ultima, infatti, non limita la proponibilità di eccezioni ex art. 1462 c.c., ma attribuisce un diritto potestativo di risoluzione immediata del rapporto negoziale, con effetti retroattivi, nel caso di comportamento della controparte costituente inadempimento colpevole, la cui ricorrenza è esclusa nella ipotesi di fondata eccezione di inadempimento. In questo senso, il giudice deve valutare le condotte tenute in concreto dalle parti e se da tale valutazione risulti che la condotta del locatore pur realizzando sotto il profilo materiale il fatto contemplato dalla clausola risolutiva espressa, deve accertare se quest'ultima sia conforme al principio di buona fede. E, dunque, l'inadempimento all'obbligazione contrattualmente previsto come integrativo del potere di provocare in via potestativa la risoluzione del contratto deve essere effettivo, posto che la clausola risolutiva espressa deve essere interpretata ed eseguita in termini di buona fede, senza esimere il giudice dal verificare se l'inadempimento lamentato sussista e sia imputabile al debitore, essendogli preclusa la sola valutazione relativa alla sua gravità (Cass.n. 6634/2012). In particolare, il potere di risolvere di diritto il contratto, avvalendosi della clausola risolutiva espressa, deve necessariamente essere governato dal principio di buona fede, sulla base del dettato normativo (artt. 1175, 1375, 1356, 1366, 1371 c.c.), come regola fondamentale per valutare l'agire dei privati e come concretizzazione delle regole di azione per i contraenti, in ogni fase del rapporto. La buona fede si pone, quindi, come canone di valutazione sia dell'esistenza dell'inadempimento, sia del conseguente legittimo esercizio del potere unilaterale di risolvere il contratto, al fine di evitarne l'abuso e di impedirne l'esercizio, ove contrario alla buona fede. Fermo restando, quanto all'onere probatorio, che, come l'omesso pagamento dei canoni e il relativo onere della prova dell'infondatezza dei fatti assunti a base dell'eccezione di inadempimento grava integralmente sul ricorrente locatore, così l'onere della prova della mancata consegna dell'immobile in condizioni di idoneità all'uso, grava sull'eccipiente conduttore promissario acquirente, richiedendosi, ad entrambe le parti, l'onere di provare il proprio adempimento. In sostanza, come si legge nella sentenza, anche in tale ipotesi trovano applicazione i principi sanciti dalle Sezioni Unite n. 13533/2010, risultando però invertiti i ruoli delle parti in lite: il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento o l'inesatto inadempimento, mentre il creditore agente dovrà dimostrare il proprio esatto adempimento. Si tenga peraltro presente che, nella specie, alla data dell'avvenuta consegna del 19 gennaio 2018 - come da pagina 9 della sentenza in commento - l'immobile non era ultimato ed idoneo all'uso pattuito, perché privo della canna fumaria. Osservazioni
La pronuncia in commento può essere condivisa nella parte in cui fa propria la giurisprudenza di legittimità, adeguandosi ai principi stabiliti dalle Sezioni Unite n. 13533/2010, in tema di obbligo di una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti da parte del giudice, e nella parte in cui - pur non essendosi espressamente pronunciata sul punto - mostra di ritenere che il rent to buy, in quanto locazione atipica, è per analogia disciplinato dalle norme sulla locazione. Mi sia tuttavia concessa qualche considerazione in ordine all'insufficiente motivazione relativa ad alcuni aspetti della vicenda, e in particolare, a quello del persistente godimento dell'immobile da parte del conduttore. E invero, nella specie non sembra essere stato né accertato né disaminato dal giudice il dato relativo al godimento in atto dell'immobile, da parte del conduttore. Sul punto, il giudicante non ha ammesso il capitolato di prove dedotto dal locatore, in ordine al persistente godimento dell'immobile da parte del conduttore, a far tempo dal 19 gennaio 2018. Da tale capitolato - non contrastato ex adverso - risulta che l'immobile era stato consegnato dal locatore ed accettato dal conduttore nello stato di fatto esistente e che, per il completamento e l'ultimazione delle opere mancanti, il conduttore avrebbe dovuto cooperare con il locatore, fornendogli “un progetto di massima dell'arredo, dell'impianto elettrico ed idraulico e per la fornitura del gas”. Tale cooperazione non sarebbe però avvenuta neanche per quanto attiene alla fornitura del gas (che coinvolge la canna fumaria, accessorio indispensabile dell'impianto di riscaldamento e di esalazione dei gas combusti della cottura dei cibi). Se, come assume l'attore, l'immobile era stato accettato nello stato di fatto in cui si trovava, la mancata cooperazione del convenuto, al fine di consentire il completamento dei lavori, non poteva non incidere sui suoi obblighi contrattuali e sulla sua buona fede, in forza della norma locatizia speciale di cui all'art. 1578 c.c. che, per giurisprudenza consolidata, prevale sulla norma generale di cui all'art. 1460 c.c., destinata a valere, per gli altri contratti a prestazioni corrispettive. Tanto più che, a fronte dei vizi che diminuiscono in modo apprezzabile l'idoneità del bene locato all'uso pattuito, il conduttore - anziché sospendere o ridurre il canone - deve alternativamente proporre domanda all'Autorità giudiziaria, dovendosi escludere il suo diritto di autosospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone, in attesa dell'accertamento della fondatezza della domanda da parte del giudice, al quale solo è demandato il compito di valutare l'importanza dello squilibrio tra le prestazione dei contraenti (Cass. n. 13887/2011; Cass. n. 1079/2012; Cass. n. 26540/2014). In questo senso, non condividiamo la pronuncia della Cass.civ., sez. III, 25 giugno 2019, n. 16918, resa in forza di un preteso ma immotivato diritto vivente, per la quale non sussisterebbe alcuna peculiarità propria della normativa locatizia che possa giustificare il divieto - in capo al conduttore che sollevi eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. - di sospendere totalmente o parzialmente il pagamento del canone, come è consentito in tutti gli altri contratti a prestazioni corrispettive, posto che - come si legge nella sentenza - “l'art. 1578c.c. non costituisce uno specifico diniego all'applicazione dell'art. 1460 c.c., nel paradigma locatizio”. In senso contrario alla pronuncia richiamata, una copiosissima e consolidata giurisprudenza (v., tra le tante, Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2012, n. 10639; Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13133; Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2005, n. 14739) è granitica nel ritenere che la materia della locazione è del tutto peculiare, rispetto alle altre figure contrattuali a prestazioni corrispettive, posto che il rapporto locatizio è caratterizzato dalla consegna per il godimento dell'immobile, quale principale prestazione del locatore (art. 1575 c.c.), a fronte della quale corrisponde quella principale del conduttore, rappresentata dal pagamento del corrispettivo convenuto (art.1587 c.c.). In particolare, per Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3341, la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti nella locazione è da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, ma in relazione all'oggettiva proporzione degli inadempimenti stessi, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto e alla buona fede. E, dunque, il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell'immobile per quanto lo stesso presentasse vizi, non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata alla entità del mancato godimento, quando siano applicabili per analogia i principi dettati dall'art. 1584 c.c. Nello stesso senso, per la giurisprudenza di merito (App. L'Aquila n.254/2018) per la quale, la materia della locazione è del tutto particolare a differenza delle altre figure contrattuali a prestazioni corrispettive, laddove si consideri che il rapporto locatizio è caratterizzato dal godimento dell'immobile integrante la prestazione del locatore, a fronte della quale corrisponde quella principale del conduttore rappresentata dal pagamento del corrispettivo convenuto, il che comporta in via generale che la mancata prestazione cui è obbligato il conduttore - che si sostanzia in primo luogo nel pagamento del canone - deve ispirarsi a criteri di correttezza e buona fede, di guisa che non possa produrre un'alterazione del sinallagma contrattuale, determinando uno squilibrio delle rispettive posizioni delle parti. Riferimenti
Tassinari, Dal contratto di rent to buy al contratto di buy to rent: interessi delle parti, vincoli normativi, cautele negoziali, in www.insinium.it; Testa, Il rent to buy: la tipizzazione sociale di un contratto atipico, in Immob. & proprietà, 2014, fasc. 6, 384; Pausilio, Contratti atipici, Padova, 2002, 5; Luminoso, I contratti tipici e atipici, Milano, 1995, 361; Lo Monaco, Questioni in tema di profili fiscali del cosiddetto rent to buy, in Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 490-2013/T. |